Anche la Russia, adesso, ha il suo presidente "eterno"
Vladimir Putin è stato rieletto presidente della Russia. Il suo prossimo mandato durerà fino al 2024. Con l'oppositore Navalnij escluso dalla magistratura, non aveva rivali competitivi. Il dato sull'affluenza deludente: 67%. In ogni caso anche la Russia, come la Cina e la Turchia, ha ora il suo "presidente eterno".
“Mi ricorda gli anni '80 dell'Unione sovietica, quando andare a votare era una festa: il partito comunista distribuiva cibo e bevande, c'era la musica, tutti andavano a votare, ma per fare provviste”, così ricorda Evgheni Tuytkov, pensionato, all’agenzia Agi. Le elezioni in Russia, per l’elezione del presidente, sono state, in diversi seggi, una specie di festa del paese, con animatori che intrattengono i bambini, gadget in vendita, cibo e bevande per tutti. Il risultato era scontato: Vladimir Putin ha vinto con una maggioranza di due terzi (oltre il 76% dei voti). E anche questo ricorda i tempi dell’Unione Sovietica. Ora non si vota più un sistema a partito unico. Ma ci siamo quasi.
L’unico rivale credibile, che avrebbe potuto dar filo da torcere al presidente uscente, è stato escluso dalle elezioni per volontà della magistratura. Aleksei Navalnij, con la sua campagna anti-corruzione, le sue numerose denunce degli abusi di potere degli uomini del Cremlino e la raccolta fondi in giro per la Russia, stava creando una base in grado di sfidare Putin. Tuttavia, nel 2016 è arrivata per lui una condanna per un vecchio caso di corruzione che riguarda anche il fratello. La Corte Europea dei Diritti Umani, a cui ha Navalnij aveva fatto ricorso, gli aveva dato ragione ma la magistratura russa non ha ancora rivisto la sentenza e il candidato dell'opposizione risulta ineleggibile ancora fino al 2028. Dunque non solo per queste elezioni presidenziali, ma anche per le prossime, quelle del 2024. Gli altri candidati partivano decisamente in svantaggio. Fra questi c’era il nuovo leader del Partito Comunista Pavel Grudinin, successore del più famoso Zhijuganov, il vecchio ultra-nazionalista (anche a capo di un partito che si definisce “Liberaldemocratico”) Vladimir Zhirinovskij, famoso negli anni 90 per i suoi discorsi incendiari e Ksenia Sobchak, giovane e avvenente presentatrice televisiva e attivista liberale, figlia del primo sindaco non comunista di San Pietroburgo. Nei secondi ranghi, fra i candidati ancor più privi di ogni speranza, figurava anche Grigorij Javlinsij, ultimo sopravvissuto della generazione di riformatori democratici della Russia post-comunista.
Il risultato per gli oppositori di Putin era altrettanto scontato: quello che ha retto maggiormente è stato Grudnin, che ha raccolto il 13% dei voti, mentre Zhirinovskij meno della metà (6%) e la Sobchak, che un sondaggio pre-elettorale dava addirittura per non candidabile, è l’unica dei candidati minori che è riuscita a raccogliere più dell’1%. Gli altri sono tutti sotto l’1%. I risultati dimostrano che non c’erano candidati in grado di competere con l’immensa macchina propagandistica messa in piedi dal Cremlino per la rielezione di Putin. L’unico ostacolo, semmai, era il dato dell’affluenza. E anche su questo, la campagna è stata martellante. I manifesti elettorali erano soprattutto mirati a far andare la gente alle urne. Così come invitava a votare un video diventato virale (anche se la sua origine è ignota), estremamente politically scorrect secondo gli standard occidentali: un uomo si ripromette di non andare a votare il giorno dopo e sogna di svegliarsi in un mondo che riunisce tutti gli incubi del russo medio, che vanno dall’essere reclutato in tarda età nella rinnovata Armata Rossa, al dovere “adottare un gay abbandonato dai suoi genitori”, pagare quattro milioni di rubli per la retta scolastica del figlio e non poter stare in bagno per più di una manciata di minuti a causa delle nuove leggi a protezione dell’ambiente. “Poi non lamentarti se l’esito delle elezioni non ti piace”, è il messaggio telegrafato. Una chiara propaganda contro tutti i nemici ideologici di Putin, anche se dissimulata in uno spot che invita a votare.
Ma nonostante questi spauracchi, in molti seggi sono stati denunciati episodi di voto praticamente forzato. A Mosca sono arrivati grupponi di elettori portati con i bus. Sono stati osservati numerosi episodi di votanti scortati dalla polizia o dai loro datori di lavoro. A Khabarovsk venivano distribuiti ai seggi coupon per sconti. Era frequente vedere elettori fotografarsi di fronte al seggio. Non era semplicemente narcisismo o selfie-mania: l’organizzazione non governativa russa Golos, osservatorio sulle frodi elettorali, denuncia casi di dipendenti costretti al voto dai loro datori di lavoro e studenti universitari spediti alle urne dai professori: tutti loro dovevano portare una foto come prova. Entro la fine della giornata, Golos ha raccolto segnalazioni per 2263 irregolarità ai seggi. Nella maggior parte dei casi riguardano dati sull’affluenza alle urne gonfiati. A Makhachkala, capitale del Dagestan, il caso peggiore finora denunciato: un seggio è stato invaso da una banda di picchiatori che hanno buttato fuori gli scrutatori e riempito le urne di schede pre-compilate. Eppure l’affluenza non ha raggiunto quel 70% sperato da Putin, per ottenere una legittimazione indiscutibile. Il dato proclamato (per lo meno stando ai dati diffusi finora) è poco oltre il 67%.
E adesso? La Russia avrà ancora Putin presidente fino al 2024. Difficilmente le denunce di cui sopra produrranno una protesta, come quella del 2011. A prescindere dai metodi dubbi impiegati nella democrazia “controllata”, la popolarità del presidente in carica è indiscutibilmente alta. Prima la guerra in Ucraina (il 18 marzo, oltre al voto, si celebrava anche l’annessione della Crimea alla Russia), poi quella in Siria, infine la guerra di spie con il Regno Unito scoppiata due settimane fa, hanno prodotto ondate successive di patriottismo in Russia, a tutti i livelli, anche fra i ceti urbani più istruiti e occidentalizzati. Ma da qui al 2024? Formalmente vige ancora la regola dei due mandati. Vladimir Putin è stato presidente per due mandati consecutivi dal 2000 al 2008, quando il mandato durava 4 anni. Poi ha presieduto il governo quando alla presidenza c’era Dmitri Medvedev (membro del suo stesso partito e alleato di ferro) e dalla sua posizione ha potuto cambiare la Costituzione per allungare il mandato da 4 a 6 anni. Il primo di questi mandati è finito ieri, dopo essere iniziato nell’ormai lontano 2012. Da oggi inizia il secondo mandato con la nuova legge, il quarto in senso lato per Putin: il presidente più longevo nella storia contemporanea sovietica e russa, secondo solo a Stalin. In questi sei anni, il presidente dovrà selezionare un successore che governi la Russia dal 2024 al 2030. Dopodiché esclude una sua ricandidatura nel 2030, anche per motivi di età: essendo nato nel 1952, sarebbe a quel punto il primo “gerontocrate” nell’era post-sovietica.
Sebbene all’apparenza più pluralista e democratico, il metodo di selezione presidenziale russo ricorda sempre più da vicino quello della Cina. Dove il presidente Xi Jinping è appena stato eletto alla carica di presidente a vita, senza limiti sul rinnovo del suo mandato. E non è dissimile dal sistema che Recep Tayyip Erdogan ha creato in Turchia, con un presidenzialismo fortissimo accentrato nelle sue mani. E’ il nuovo volto dell’autoritarismo, non più sorretto a forza di baionette, ma legittimato da periodici plebisciti, nel partito o nel popolo. Sistemi che usano poco (e in modo estremamente selettivo) la violenza contro i loro cittadini, perché esprimono la “pancia” dei loro popoli. Ma non per questo pacifici, poiché molto ambiziosi nei loro disegni egemonici internazionali e pronti a usare la forza se qualcuno li mette in discussione.