Anche la fame è un’arma nella guerra civile in Sudan
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Il conflitto in corso dal 2023 ha provocato la peggiore crisi alimentare e sanitaria del mondo. A fronte dell’impegno internazionale in soccorso della popolazione sudanese, altri Paesi soffiano sul fuoco schierandosi con i due generali in lotta.
In nessun Paese al mondo ci sono tante persone che patiscono la fame come in Sudan. La guerra scatenata nell’aprile del 2023 da due generali avversari – Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo – ha provocato la peggiore crisi alimentare del mondo e degli ultimi decenni. Su circa 50 milioni di abitanti, ormai quasi 26 milioni patiscono gravissime carenze alimentari e hanno estremo, vitale bisogno di aiuto. Le persone in condizioni peggiori sono quelle che sono state costrette a fuggire per sottrarsi ai combattimenti, più di 11 milioni: hanno perso tutto. Ma la fame colpisce spesso anche chi è rimasto, che rischia la vita se si avventura fuori casa perché per le strade si continua a sparare, e quindi non può occuparsi di raccolti e bestiame, e anche chi vive nelle città a lungo sotto assedio, dove non arriva più niente. Prima i prezzi dei generi alimentari salgono alle stelle. Poi non rimane più nulla e la gente si riduce a mangiare foglie, erba e persino la terra.
A tutto questo si aggiunge un’emergenza sanitaria senza precedenti. Uno dopo l’altro decine di ospedali, centinaia di ambulatori hanno sospeso l’attività: privi di personale perché quasi tutti i dipendenti sono fuggiti o sono impossibilitati a raggiungere il posto di lavoro a causa dei combattimenti, senza energia elettrica per ore e giorni, senza macchinari con cui sostituire quelli che si guastano o vengono danneggiati dai bombardamenti, senza rifornimento di medicinali quando le scorte si esauriscono. Nella capitale Khartoum, nell’unico reparto di ginecologia superstite, i medici a volte sono stati costretti a eseguire tagli cesarei alla luce dei cellulari dei colleghi. La gente muore di malattie curabili e in seguito all’aggravarsi di affezioni che richiedono terapie invece sospese.
Il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate e della giunta militare che ha preso il potere con un colpo di Stato nel 2021, ha a sua disposizione più di 120mila militari governativi. Il generale Mohamed Hamdan Dagalo, che fino all’aprile del 2023 era il suo vice, comanda le Forze di supporto rapido (Fsr), un organismo paramilitare composto da circa 100mila unità. Entrambi lasciano che i loro uomini infieriscano con ferocia sui civili. I loro eserciti sono accusati di crimini di guerra per il modo in cui si accaniscono sulla popolazione e perché usano la fame come arma di guerra, impedendo agli aiuti internazionali di raggiungere chi ne ha bisogno e si trova in territori controllati dagli avversari. Le Fsr inoltre sono ritenute responsabili anche di crimini contro l’umanità e di pulizia etnica nel Darfur, una regione dove già in passato, a partire dal 2003, avevano fatto strage delle etnie sedentarie africane per far spazio a quelle di origine araba dedite alla pastorizia, in esecuzione del piano di arabizzazione voluto dell’allora presidente Omar al Bashir (contro cui proprio per questo la Corte penale internazionale nel 2009 e poi di nuovo nel 2010 aveva emesso un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, peraltro mai eseguito).
Ci sono guerre cosiddette “dimenticate”. Mass media e comunità internazionale sono accusati di non occuparsene abbastanza. Non è il caso della guerra del Sudan. In tutti i mesi trascorsi dall’inizio del conflitto l’impegno internazionale a soccorrere la popolazione è stato generoso, costante, coraggioso. Ma non è una “guerra dimenticata” anche in un altro senso. Contribuiscono infatti a farla continuare l’intervento di Paesi terzi. Dagalo riceve aiuti militari e finanziari in particolare dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Russia. Al-Burhan li riceve soprattutto dall’Egitto, dall’Iran e, a quanto pare, anche dall’Ucraina.
Le richieste internazionali di tregua e cessate il fuoco finora non hanno avuto esito. Al Burhan e Dagalo ripetono che intendono combattere fino alla sconfitta totale dell’avversario. Tuttavia il 18 novembre il Regno Unito e la Sierra Leone hanno fatto un nuovo tentativo. Hanno proposto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione che chiede la sospensione immediata delle ostilità e l’avvio di colloqui con l’obiettivo di arrivare a un cessate il fuoco. 14 dei 15 Stati membri del Consiglio hanno espresso voto favorevole alla bozza. Invece la Russia ha posto il veto e così la risoluzione non è passata.
La motivazione, ha detto il rappresentante della Russia all’Onu, Dmitry Polyanskiy, è che la sovranità sudanese è stata ignorata, che quello britannico è stato solo «un tentativo di intromettersi negli affari del Sudan». Poi su X ha scritto: «Regno Unito, vergogna! Per aver cercato di far passare una risoluzione che getta benzina sul fuoco nella crisi sudanese e lascia a beneficio dei Paesi occidentali quelle acque torbide che loro amano così tanto nelle ex colonie».
«Chiedo in tutta coscienza al rappresentante russo seduto lì al telefono – ha replicato il ministro degli Affari Esteri britannico David Lammy – quanti altri sudanesi devono ancora essere uccisi? Quante donne devono ancora essere violentate? Quanti altri bambini devono rimanere senza cibo?».
Qualcuno, ogni giorno, sarebbe la risposta, e ogni giorno qualcuno di più perché gli abitanti del Sudan sono esausti e non soltanto a causa dei 19 mesi dell’attuale conflitto. Dall'indipendenza, nel 1956, a oggi, il Sudan è stato in guerra per 54 anni su 68. Per 30 anni, sotto il governo di al-Bashir, i sudanesi hanno sofferto una dittatura brutale e spietata. Inoltre, hanno vissuto e preso parte a 35 tra colpi di Stato, tentativi di colpo di Stato e complotti di colpo di Stato, più di qualsiasi altro Paese africano. La minaccia della fame incombe da sempre su di loro. Nel 2022, prima dell'inizio della guerra, oltre il 30% di loro già soffrivano di denutrizione cronica. La guerra ha solo aggravato una crisi alimentare le cui radici affondano in decenni di cattiva gestione economica e guerre devastanti.
Alcuni giorni fa Jan Egeland, direttore dell’agenzia umanitaria Norwegian Refugee Council, ha detto che il Sudan rischia di diventare l’ennesimo «Stato fallito» perché la società civile si sta disintegrando in una proliferazione di gruppi armati. In realtà lo è già, lo è sempre stato.
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