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COVID-19

Anche il Vietnam è riuscito a fermare l’epidemia

Stando ai dati ufficiali, che però potrebbero essere manipolati dal governo, nel paese si registrano 268 casi e nessun decesso grazie alle misure severe adottate già a partire dal 1° febbraio

 

Svipop 20_04_2020

Corea del sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong… all’elenco dei paesi asiatici che riescono a limitare la diffusione del Covid-19 si sta aggiungendo il Vietnam. Il paese, a differenza degli altri stati, non è in grado di effettuare test diagnostici di massa e non è dotato di un buon sistema sanitario: Ho Chi Minh City (Saigon), ad esempio, dispone solo di 900 posti di terapia intensiva su una popolazione di otto milioni. Il governo comunista ha quindi optato per un rigoroso sistema di sorveglianza simile a quello cinese e lo ha fatto tempestivamente, introducendo norme e regole di contrasto al virus fin dal 1° febbraio: scuole e università chiuse, sospesi i voli da e per la Cina, quarantena per una provincia, Vinh Phuc, dove abitano molti emigranti che lavoravano a Wuhan, quarantena di due settimane per tutti gli stranieri provenienti da aree a rischio. Il sistema sembra aver funzionato. Ufficialmente, ma i numeri vanno presi con riserva come nel caso della Cina, al 18 aprile risultano solo 268 casi di contagio e nessun morto. Anche dal punto di vista economico le prospettive al momento sembrano meno serie che per altri stati. L’Fmi nel 2020 prevede recessione per Thailandia e Malaysia e crescite intorno allo 0,5 per cento per Filippine e Indonesia mentre  nel 2020 il Pil vietnamita crescerà del 2,7%, per tornare molto probabilmente nel 2021 ai livelli di crescita degli anni scorsi. Nel 2019 il tasso di crescita è stato di poco superiore al 7 per cento, un valore attorno al quale si aggirano anche le performance degli anni precedenti. Tra il 2002 e il 2018 hanno superato la soglia di povertà 45 milioni di vietnamiti, quasi metà della popolazione. L’agenzia di stampa AsiaNews osserva che sull’andamento economico del paese influirà anche la “grande fuga” dalla Cina a cui si apprestano molte imprese di Stati Uniti, Giappone, Sud Corea ed Europa.