Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Rosa Venerini a cura di Ermes Dovico

CONFERENZA STAMPA

Anche il Papa «non è Charlie»

Sull'aereo che lo portava alle Filippine, papa Francesco ha conversato con i giornalisti intervenendo anche sui fatti di Parigi: ha condannato le derive fondamentaliste che portano a uccidere, ma nello stesso tempo ha mostrato che il Pontefice «n'est pas Charlie» e non ha simpatie per le vignette blasfeme.

Ecclesia 16_01_2015
Il Papa sull aereo per le Filippine

Il 15 gennaio 2014 il Papa è partito dallo Sri Lanka ed è arrivato nelle Filippine. In aereo non si è riposato, ma ha risposto alle domande dei giornalisti, non sottraendosi a un giudizio sulla tragedia parigina di Charlie Hebdo. Il Papa ha condannato con parole molto forti le derive fondamentaliste che portano a uccidere, ma nello stesso tempo ha mostrato che il Pontefice di Roma «n'est pas Charlie» e non ha nessuna simpatia per le vignette violente e blasfeme. Ha anche citato il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, tanto spesso menzionato in questi giorni solo per le poche righe dedicate all'islam, cioè a una religione che rischia la negazione della ragione in nome della fede, dimenticando che la sua parte centrale - quella appunto da cui Francesco ha tratto una citazione - critica l'Illuminismo occidentale, che nega la fede in nome della ragione.

«Credo - ha risposto Francesco a un giornalista francese - che tutti e due siano diritti umani fondamentali, la libertà religiosa e la libertà di espressione. Parliamo chiaro, andiamo a Parigi! Non si può nascondere una verità: ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente e così vogliamo fare tutti». Da una parte, condanna senza appello dei terroristi: «non si può uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio». Ci sono stati casi in passato in cui anche i cristiani sono «stati peccatori su questo, ma non si può uccidere in nome di Dio, questa è una aberrazione». 

La critica delle religioni, però, «si deve fare con libertà senza offendere». Certo, la libertà di espressione è un diritto: «Ognuno ha non solo la libertà e il diritto ma anche l'obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. Se un deputato non dice quella che pensa sia la vera strada da percorrere, non collabora al bene comune». Ma questa libertà di critica va espressa «senza offendere, perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli spetta un pugno. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri». Dunque condanna senza appello del terrorismo e delle bombe, ma quando offendono in modo blasfemo e violento le religioni forse ogni tanto si può ricorrere a «un pugno», che penso il Papa intenda in senso metaforico, come reazione energica, senza escludere i tribunali cui il cardinale Bergoglio si rivolse quando il celebre artista argentino Leon Ferrari espose a Buenos Aires opere che l'attuale Pontefice considerava blasfeme.

Il Papa ha citato il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, non appunto nella famosa frase sull'islam, ma nel suo nucleo centrale di critica della «mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava a credere che le religioni o le espressioni religiose sono un sorta di sottoculture, tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminista. E questa è un'eredità dell'illuminismo». Quello di chi offende la religione è illuminismo pratico, seppure di bassa lega. «Tanta gente che sparla, prende in giro, si prende gioco della religione degli altri. Questi provocano e può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro mia mamma. C'è un limite, ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana, io non posso prenderla in giro. Ho preso questo esempio del limite per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti, come (nell'esempio) della mia mamma».

È una verità scomodissima, negata da tutti i «Je suis Charlie» di questo mondo: «Nella libertà di espressione ci sono limiti». E la libertà religiosa comprende il diritto delle religioni a non essere offese. 

Non c'è neppure bisogno di dire che il modo corretto di reagire alle offese è chiedere alla politica e al diritto che tutelino la libertà religiosa, non ricorrere alla violenza e al terrorismo. Il Papa sa che del terrorismo potrebbe diventare un bersaglio lui stesso. «Alcune volte mi sono chiesto - confida -: ma se accadesse a me? Ho soltanto chiesto al Signore la grazia che non mi faccia male perché non sono coraggioso davanti al dolore, sono molto timoroso». 

Il terrorismo non può mai essere oggetto di comprensione. È il male. Anzi a Francesco «viene da dire che dietro ogni attentato suicida c'è un elemento di squilibrio umano, non so se mentale, ma umano. Qualcosa che non va nella persona, quella persona ha uno squilibrio nella sua vita. Dà la vita ma non la dà bene. C’è tanta gente che lavora, come per esempio i missionari: danno la vita, ma per costruire. Il kamikaze invece dà la vita per distruggere». 

Oggi il terrorismo usa anche i bambini, come si è visto in Nigeria e in Iraq. I bambini, commenta il Papa, «sono usati dappertutto per tante cose, sfruttati nel lavoro, come schiavi, sfruttati sessualmente. Alcuni anni fa con alcuni membri del senato in Argentina abbiamo voluto fare una campagna negli alberghi più importanti per dire che lì non si sfruttano i bambini per i turisti, ma non ci siamo riusciti... A volte quando ero in Germania, mi sono caduti sotto gli occhi articoli che parlavano delle zone del turismo erotico nel Sud Est asiatico e anche lì si trattava di bambini. I bambini sono sfruttati anche per questo, per gli attentati kamikaze. Di più non oso dire».

La via per rispondere al terrorismo, insiste Papa Francesco, passa per il dialogo tra le religioni. Per questo nello Sri Lanka ha voluto visitare, fuori programma, un tempio buddhista guidato da un monaco «molto amico del cardinale Ranjith», arcivescovo di Colombo. «Poi, ieri - ha aggiunto il Pontefice - ho visto una cosa che mai avrei pensato a Madhu: non c'erano solo cattolici, c'erano buddisti, islamici, induisti e tutti vanno lì a pregare e dicono che ricevono grazie». Questa «interreligiosità» popolare è molto importante. Ricordando che sua nonna, di fronte alle donne dell'Esercito della Salvezza che il piccolo futuro Papa scambiava per suore, gli diceva che  «sono protestanti, ma sono buone», Francesco ha affermato che «questa interreligiosità è una grazia».

Il Papa ha toccato anche il tema delle catastrofi naturali, dallo tsunami nello Sri Lanka all'enciclica sul rispetto della natura che dovrebbe uscire tra giugno e luglio, ripetendo una tesi già esposta altre volte: «Non so se del tutto, ma in grande parte è l'uomo che dà schiaffi alla natura ad avere una responsabilità nei cambi climatici. Ci siamo un po' impadroniti della natura, della madre terra. Un vecchio contadino mi ha detto: Dio perdona sempre, gli uomini qualche volta, la natura mai. L'abbiamo sfruttata troppo». Trattando degli autori che ha letto preparando l'enciclica - forse anche per smentire i tanti che hanno fatto propaganda a testi propri assicurando che saranno «fonti» del documento pontificio - il Papa ha citato solo il patriarca ortodosso Bartolomeo e il teologo italo-tedesco «Romano Guardini [che] parlava di una seconda “incultura”, che accade quando tu ti impadronisci del creato, e così la cultura diventa incultura». 

Annunciando che la povertà sarà al centro del viaggio nelle Filippine, e confermando che la riconciliazione - ma anche la ricerca della verità sulle atrocità commesse dalle varie fazioni - dopo la guerra civile è stata un tema importante delle giornate nello Sri Lanka, Francesco ha spiegato perché ha scelto la strada della canonizzazione «equipollente» - cioè senza bisogno di un miracolo accertato - per san Giuseppe Vaz, l'apostolo di Ceylon, e per Junipero Serra, l'apostolo della California che canonizzerà a settembre negli Stati Uniti, come del resto ha fatto anche per altri nuovi santi. Vaz e Serra sono spesso stati accusati di etnocentrismo da chi considera la proposta della conversione al cattolicesimo come impropria e come disprezzo delle culture locali. Ma il Papa non è d'accordo: «Sono figure che hanno fatto una forte evangelizzazione e sono in sintonia con la spiritualità della "Evangelii gaudium"».