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AFRICA

Anche a Sud del Sahara la terra trema

Se il Nord Africa insorge, non è migliore la situazione nell'Africa subsahriana, dove 800 milioni di personi vivono in condizioni di grande instabilità.

Attualità 24_02_2011
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Se il Nord Africa insorge, a maggior ragione dovrebbero gli 800 milioni di persone in Africa subsahariana che vivono in condizioni tali da far apparire al confronto invidiabili quelle dei cittadini di Tunisia, Libia, Egitto e Algeria: per averne un’idea, la Libia ha un PIL pro capite annuo di 16.999 dollari e la Tunisia di 8.509; la Repubblica Democratica del Congo, benché ricchissima di materie prime, ha un PIL pro capite di 327 dollari e lo Zimbabwe di soli 187. Assai più poveri, gli africani a sud del Sahara assistono impotenti al sistematico saccheggio delle risorse nazionali da parte dei loro governi e si considerano fortunati se l’avidità dei loro leader non scatena cruenti conflitti per l’esclusivo controllo dei profitti ricavati dal petrolio e da altre ricchezze.

In Uganda, andata al voto il 18 febbraio, i cittadini hanno conferito al primo turno un quarto mandato al presidente uscente Yoweri Museveni: meglio il vecchio leader, appagato da tanti anni di governo (è capo di stato dal 1986), devono aver pensato, piuttosto che un nuovo arrivato ansioso di arricchirsi, tanto più ora che sta per iniziare lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio del Lago Alberto. Oppure hanno ragione i missionari secondo i quali il sentimento dominante nel paese è ormai la rassegnazione.

Lo stesso stato d’animo deve aver prevalso in Repubblica Centrafricana, andata alle urne il 23 gennaio scorso per eleggere capo di stato e parlamento. Il 7 febbraio la Commissione elettorale, quando restava da esaminare il 27% delle schede, ha annunciato la vittoria di Francois Bozizé, presidente uscente, in carica dal 2003 grazie a un colpo di stato. Tra i parlamentari eletti figurano la moglie del presidente, due suoi figli, uno dei quali è già ministro della Difesa, e un suo nipote, già ministro delle miniere. Malgrado le liste elettorali scorrette, i seggi spostati o soppressi, i verbali scomparsi, le schede rubate, il voto mancato nelle regioni controllate dall’opposizione armata e altri problemi, la popolazione è tornata senza ribellarsi alla propria tribolata vita di sempre, in un paese in cui il PIL pro capite è passato dai 1.037 dollari l’anno del 1980 agli attuali 766.

Così è stato in Ciad dove alle legislative del 14 febbraio, vinte dal partito di governo, tra le irregolarità riscontrate durante lo spoglio figurano persino in certi seggi più preferenze rispetto al numero degli iscritti al voto. Il presidente Idris Deby è uno di quelli che hanno ottenuto la soppressione del limite di due mandati presidenziali e ad aprile concorrerà quindi anche lui per la quarta volta alla massima carica.

Invece in Benin, che andrà alle urne il 6 marzo, il 21 e il 22 le strade della capitale Cotonou si sono riempite di manifestanti che protestavano contro il modo in cui è stato compilato il registro degli aventi diritto al voto dal quale mancano i nomi di 1,3 milioni di cittadini, a quanto pare dei distretti in cui l’opposizione è in maggioranza. Polizia e militari hanno disperso la folla con i gas lacrimogeni, ma si attendono nuove proteste. Dato il un clima sempre più teso, la speranza, spiega suor Léonie Dochamou, segretario generale della Caritas Benin, è che il voto sia almeno pacifico.

Più grave ancora è la situazione in Gabon e in Camerun. In Gabon, nella capitale Libreville, il 22 febbraio le forze dell’ordine hanno disperso una nuova manifestazione per chiedere le dimissioni del presidente Ali Bongo organizzata dai sostenitori di André Mba Obame, l’esponente dell’opposizione che il 25 gennaio si era proclamato presidente nel corso di un tentativo di colpo di stato. La recente divulgazione di alcuni documenti sembra indicare che Bongo, succeduto al padre alla carica di capo di stato dopo la sua morte e poi risultato vincente alle presidenziali del 2009, avrebbe in realtà ribaltato a proprio favore i risultati elettorali. Inoltre Bongo è uno dei capi di stato africani, insieme a Denis Sassou N’Guesso, presidente della Repubblica del Congo, e a Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, presidente della Guinea Equatoriale nonché presidente di turno dell’Unione Africana, su cui la Cassazione francese ha aperto un’indagine accogliendo le denunce di corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici sporte da alcune organizzazioni non governative francesi.

In Camerun, sempre il 22 febbraio, dopo una settimana di scioperi e proteste contro l’aumento dei prezzi svoltesi nelle città roccaforti dell’opposizione, è stata indetta nella capitale Yaoundé una marcia “della rivoluzione” per chiedere le dimissioni del presidente Paul Biya, al potere da 29 anni, che ha deciso di ricandidarsi alle prossime presidenziali di ottobre, il cui esito in tal caso appare scontato dati i poteri di cui Biya e il suo apparato dispongono. In vista di una sollevazione popolare che potrebbe iniziare nei prossimi giorni, ‘Code’, la diaspora camerunese, ha rivolto un appello all’esercito affinché si astenga dall’aprire il fuoco sui dimostranti e disobbedisca agli ordini di Biya.