Anche a Santo Domingo l’impostazione era diversa
A santo Domingo Giovanni Paolo II propose la “nuova evangelizzazione” che – diceva - “non consiste in un ‘nuovo vangelo’, che deriverebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura, dalla nostra analisi delle necessità dell’uomo. Perché questo non sarebbe “vangelo”, ma pura invenzione umana e non vi sarebbe in esso salvezza.
Concludiamo la nostra trilogia sui discorsi di apertura dei Pontefici alle Conferenze dei vescovi latinoamericani e dei Caraibi per vedere se l’impostazione dell’attuale sinodo dell’Amazzonia sia in linea con essi oppure no. Dopo l’esame di quanto detto da Benedetto XVI ad Aparecida (2007) e da Giovanni Paolo II a Puebla (1979), diamo ora uno sguardo al discorso inaugurale di Giovanni Paolo II a Santo Domingo il 12 ottobre 1992.
In questo caso la diversità di impostazione risulta molto evidente. Su tutto spicca il titolo della Conferenza: “Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre”. È un chiaro riferimento alla assolutezza e sovratemporalità della realtà cristiana e nello stesso tempo un chiaro punto di partenza non dalle situazioni contingenti del continente latinoamericano – che pure nel discorso non vengono dimenticate – ma da Cristo stesso, il Dio fatto Uomo che rinnova con ciò la faccia della terra. Se confrontiamo questo titolo con quello del sinodo dell’Amazzonia ci accorgiamo della grande differenza di impostazione: “Nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”. L’ecologia, pur essendo “integrale”, non ha lo stesso peso della centralità salvifica di Cristo anche per l’Amazzonia, e l’espressione “nuovi cammini della Chiesa” non dice molto sulla necessità e urgenza dell’annuncio nella sua integrità dottrinale. Più che da Cristo qui si parte dai problemi dell’Amazzonia.
Il discorso di Giovanni Paolo II a Santo Domingo era scandito da alcuni paragrafi dai titoli assolutamente controcorrente rispetto ad oggi. Il primo parlava di “Gesù Cristo ieri, oggi e sempre”, il secondo di “nuova evangelizzazione”, il terzo di “promozione umana” e il quarto di “Cultura cristiana”. Solo a leggere questi titoletti si comprende che si assegna alla fede cristiana un compito di creazione di cultura e di civilizzazione per dare vita ad una nuova evangelizzazione del continente, secondo un approccio che sembra opposto a quello assunto dai lavori del sinodo attuale.
Il giudizio sulla civiltà cristiana in America latina – diversamente dall’Instrumentum laboris del sinodo dell’Amazzonia - è positivo. Il papa pronunciava il suo discorso nell’anniversario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo e adoperava queste parole: “In questo singolare progresso, l’anno 1492 segna una data chiave. Infatti, il 12 ottobre – oggi ricorrono esattamente cinque secoli – l’Ammiraglio Cristoforo Colombo, con le tre caravelle provenienti dalla Spagna, giunse in queste terre e su di esse piantò la croce di Cristo. L’evangelizzazione propriamente detta, senza dubbio, ebbe inizio con il secondo viaggio degli scopritori, accompagnati dai primi missionari. Incominciava così la semina del dono prezioso della fede. Come, quindi, non ringraziare Dio per questo insieme a voi, cari fratelli Vescovi, che oggi rendete presenti a Santo Domingo tutte le Chiese particolari dell’America Latina? Come non rendere grazie per i frutti copiosi nati dai semi piantati durante questi cinque secoli da tanti e tanto coraggiosi missionari!”. Pochi i dubbi sulla positiva lettura teologica dell’evangelizzazione del continente latinoamericano.
A santo Domingo il papa propose la “nuova evangelizzazione” che – diceva - “non consiste in un ‘nuovo vangelo’, che deriverebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura, dalla nostra analisi delle necessità dell’uomo. Perché questo non sarebbe “vangelo”, ma pura invenzione umana e non vi sarebbe in esso salvezza. Né si tratta di tagliare fuori dal Vangelo tutto ciò che sembra difficilmente assimilabile alla mentalità odierna. Non è la cultura la misura del Vangelo, ma è Gesù Cristo la misura di ogni cultura e di ogni azione umana. No, la nuova evangelizzazione non nasce dal desiderio di “piacere agli uomini” o di “guadagnare il loro favore” (cf. Gal 1, 10), ma dalla responsabilità verso il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, nel quale abbiamo accesso alla verità su Dio e sull’uomo, e alla possibilità della vita autentica”. L’Instrumentum laboris però parte proprio dalla “nostra analisi delle necessità dell’uomo” per rileggere il Vangelo.
Esaminando il tema della “cultura cristiana” Giovanni Paolo II aveva già notato che “esempi di inculturazione del Vangelo sono costituiti anche da certe manifestazioni socioculturali che stanno sorgendo in difesa dell’uomo e del suo ambiente e che devono essere illuminate dalla luce della fede. È il caso del movimento ecologista a favore del rispetto per la natura e contro lo sfruttamento disorganizzato delle sue risorse, con il conseguente degrado della qualità della vita”. Come si vede è il tema emerso con forza al sinodo dell’Amazzonia ora in corso. Però a ciò aggiungeva che lo sforzo di comprensione e illuminazione delle culture “dev’essere sempre accompagnato dall’annuncio della Buona Novella, in modo che la penetrazione del Vangelo nelle culture non sia un semplice adeguamento esteriore, bensì “un processo profondo e globale che investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della Chiesa” rispettando sempre le caratteristiche e l’integrità della fede”.
Le grandi Conferenze dell’episcopato latinoamericano non possono naturalmente essere ridotte ai discorsi inaugurali dei Pontefici. Tuttavia credo non si possa negare che la loro lente getti sui problemi una luce particolarmente affidabile. Secondo le poche osservazioni fatte in questi ultimi tre blog penso sia difficile parlare di continuità rispetto alla impostazione del sinodo ora in corso a Roma.