Ambrogio, la recognitio conferma storia e tradizione
I primi risultati dello studio sui resti dei Santi Ambrogio, Protaso e Gervaso. Qualcosa è già stato reso noto delle analisi sugli scheletri e si tratta di conferme di ciò che la tradizione ha tramandato sui tre santi. Altezza, presenza di fratture e segni del martirio: tutto è coerente con la storia che ci è pervenuto di loro.
Un ricovero un po’ sui generis, forse l’unico della loro vita, con tanto di TAC, alla veneranda età di 1678 anni l’uno e più di 1700 anni gli altri. Matusalemme non c’entra: stiamo parlando del grande Padre e Dottore della Chiesa d’Occidente Sant’Ambrogio e dei santi Martiri Protaso e Gervaso.
Il 2 ottobre scorso, nella Sala Capitolare della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, sono stati resi noti i primi risultati dello studio sui resti dei Santi Ambrogio, Protaso e Gervaso. A motivare in partenza l’apertura del sarcofago era stato il sospetto della presenza di un fungo che potesse danneggiare le sacre ossa; timore fortunatamente fugato: “Per quel che riguarda lo stato di conservazione – si apprende da un comunicato rilasciato per la stampa -, le ossa stanno bene e non presentano alcun segno di degradazione attiva”. L’analisi delle reliquie, i cui risultati completi saranno presentati il prossimo 30 novembre, comprende diversi approcci: una prospettiva medica, che include la ricognizione ed esame antropologico dei resti, la tomografia assiale computerizzata ed una valutazione dello stato di conservazione degli scheletri; una prospettiva archivista e storiografica ed infine un esame del sarcofago in porfido, voluto dal vescovo Angilberto II (+ 859), e ritrovato nel 1864, che ha custodito le preziose reliquie fino al 1874, quando venne sostituita dalla nuova urna in argento e cristallo.
L’équipe, coordinata dalla prof.sa Cristina Cattaneo, Ordinario di Medicina Legale e direttrice del Centro LabAnOf, dell’Università Statale di Milano, comprende medici ed esperti della stessa Università, dell’Istituto Ortopedico Galeazzi, della Cattolica di Milano, sotto la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Presenti anche alcune monache benedettine dell’Isola di San Giulio, nel Lago d’Orta, per il restauro dei paramenti dei tre santi, e dell’Abbazia di Viboldone di San Giuliano Milanese per il restauro di documenti cartacei, ritrovati dentro l’urna.
Ma qualcosa è già stato reso noto delle analisi sugli scheletri e si tratta di conferme di ciò che la tradizione ha tramandato sui tre santi. Il governatore dell’Emilia-Liguria, proclamato vescovo nel 374 dalla voce del popolo, è rappresentato nel mosaico del Sacello di S. Vittore in Ciel d’Oro (V secolo) come un uomo non proprio bello, dal volto asimmetrico; in particolare, risalta la disimmetria degli occhi. Ed in effetti, le analisi confermano che quest’uomo alto circa 1,70 m è caratterizzato “una marcata asimmetria del volto sotto le orbite, da attribuire forse ad un esito traumatico ancora in corso di studio”. Un’altra conferma riguarda l’età probabile del decesso, cioè circa sessant’anni; ed in effetti la nascita di Ambrogio è datata tra il 339 ed il 340, mentre la sua morte è avvenuta il 4 aprile del 397: 57-58 anni al massimo. Un rilievo interessante è poi la frattura alla clavicola destra, causa di dolore e difficoltà di movimento, lamentati dal Santo nelle confidenze epistolari con la sorella.
Anche il referto dell’analisi delle ossa dei fratelli martiri conferma diversi dati della tradizione. Anzitutto, la loro statura: due giovani uomini, di età compresa tra i 23 e i 27 anni, di oltre 180 cm. Due marcantoni che colpirono lo stesso Ambrogio: “invenimus mirae magnitudinis viros duos”, scriveva alla sorella Marcellina. Due martiri, dei quali, come riporta Paolino di Milano, “erano sconosciuti sia la sepoltura sia lo stesso nome, al punto che sui loro sepolcri camminavano tutti coloro che volevano”.
I corpi giacevano nella zona oggi compresa tra la caserma della Polizia di Stato e l’Università Cattolica, allora zona cimiteriale, senza che nessuno ne fosse a conoscenza. Fu un “presagio”, secondo l’espressione usata dallo stesso Ambrogio, una rivelazione dei Santi Protaso e Gervaso, secondo Paolino di Milano, una visione o un sogno, secondo sant’Agostino. Fatto sta che “il Signore mi concesse la grazia. Nonostante che lo stesso clero manifestasse qualche timore, feci scavare la terra nella zona davanti ai cancelli dei santi Felice e Nabore”, secondo quanto confidò a Marcellina. Che fossero due martiri, Sant’Ambrogio se ne avvide subito, a motivo del sanguinis plurimum ancora presente, nonostante il martirio fosse avvenuto circa un secolo prima.
Ed in effetti alcuni dati emersi dalle indagini confermano che si tratti effettivamente di martiri, e la modalità del martirio è quella narrata dalla tradizione. Uno dei due scheletri “presenta segni di decapitazione e peculiari lesioni alle caviglie”, probabile esito di una prigionia forzata, dati compatibili con la morte per decapitazione di san Protaso, come tramandato dalla pseudo-ambrosiana Epistula de inventione Gervasii et Protasii; l’altro riporta “lesioni da difesa e fratture costali”, aspetti conciliabili con la morte di san Gervaso, avvenuta, sempre secondo la stessa fonte, per colpi di flagello. Inoltre appaiono confermate anche la loro professione militare, a motivo di fratture guarite alle gambe ed ai piedi di entrambi gli scheletri, e la tradizione che fossero gemelli, o quantomeno fratelli: entrambi riportano infatti difetti congeniti alle vertebre.
“Ti ringrazio, Signore Gesù, perché hai suscitato per noi gli spiriti così potenti di questi santi martiri, in un momento in cui la Chiesa sente il bisogno di più efficace protezione”: così aveva pregato Sant’Ambrogio quel venerdì 19 giugno del 386, giorno della traslazione delle reliquie martiriali nella Basilica ambrosiana. Di martiri e di difensori della fede numquam satis.