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EDITORIALE

Almeno capire che ci hanno dichiarato guerra

Attentati in Europa e Califfo alle nostre porte: cos'altro serve per rendersi conto che la minaccia è terribilmente seria? Eppure si continua a sottovalutare il problema del terrorismo islamico. E il presidente americano Obama insiste che i cambiamenti climatici sono una minaccia più grave.

Editoriali 16_02_2015
Attentato a Copenhagen

L’attentato di Copenhagen dopo quello di Parigi, gli uomini del Califfo che avanzano in Libia e minacciano apertamente l’Italia. Bisognava giungere a tanto prima che qualcuno anche da noi si svegliasse e almeno cominciasse a percepire un pericolo prossimo. Ma non illudiamoci: il risveglio sarà lungo e rischia di produrre effetti quando sarà troppo tardi per qualsiasi risposta. Perché la situazione è già gravemente compromessa e non si è arrivati a questo punto per distrazione (il che sarebbe già molto grave per chi è chiamato a guidare dei popoli) ma per deliberata affermazione di ideologie fuorvianti e di assurde politiche strategiche.

Come non ricordare la cervellotica ostinazione con cui la Francia si è portata dietro numerosi paesi per eliminare quel Gheddafi che, da mandante di attentati internazionali, si era trasformato in un baluardo contro il jihadismo (e vogliamo ricordare a proposito della guerra alla Libia le responsabilità dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e l’entusiasmo con cui il presidente Napolitano ci spinse a dare man forte alla Francia)? E prima ancora, bisognerebbe ricordare il drammatico errore di prospettiva con cui si è brindato alla cosiddetta “primavera araba”.

Ma ancor più preoccupante è la cecità procurata dalle ideologie che dominano da decenni in Europa, e che continuano a produrre effetti devastanti. A cominciare dal multiculturalismo che, associato a un processo di secolarizzazione dell’Europa, ha portato a favorire la nascita di mini-stati etnici autonomi all’interno dei nostri Stati europei, fino all’accettazione dell’uso della sharia nelle controversie legali tra musulmani (è il caso di Germania e Inghilterra, tra l’altro). È un’ideologia che ha fortemente sottovalutato le implicazioni di una forte immigrazione, come quella islamica, la cui caratteristica è la volontà di non-integrazione nelle società occidentali. Ricordiamo tutti il linciaggio mediatico a cui fu sottoposto l’allora arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, quando in un discorso alla città nel 2000 sollevò appunto il tema della politica sull’immigrazione proponendo una selezione che favorisse le culture più facilmente integrabili nel nostro paese. Ancora attendiamo che qualcuno gli chieda scusa e dovremo attendere ancora a lungo visto l’indirizzo tuttora prevalente davanti al problema dell’immigrazione clandestina.

Peggio ancora è però la convinzione che «i cambiamenti climatici siano una minaccia più grave del terrorismo internazionale», un ritornello iniziato poco dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, che ha portato a dirottare su controproducenti politiche climatiche importanti risorse politiche ed economiche. Lo slogan fu spinto inizialmente da alcune organizzazioni ecologiste ma ben presto fatto proprio dai maggiori leader internazionali. Uno dei principali sostenitori di questa tesi è stato sir David King, consigliere scientifico dell’allora premier britannico Tony Blair, al punto che nel luglio 2005 il G8 di Gleaneagles (Scozia) aveva in testa all’ordine del giorno proprio i cambiamenti climatici mentre nella metropolitana di Londra si consumava un atto terroristico.

In quei primi anni del 2000, tale argomento serviva soprattutto a contrastare il presidente americano George Bush jr, colpevole non solo della guerra al terrorismo ma anche del rifiuto di firmare il Protocollo di Kyoto. Progressivamente la politica internazionale ha concentrato sempre maggiori energie sui temi climatici, al punto che nel luglio 2011 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è arrivati a discutere della possibilità di allargare le missioni di peacekeeping al contrasto delle conseguenze dei cambiamenti climatici, con l’istituzione dei “caschi verdi”.

L’effetto è stato la costante sottovalutazione del terrorismo anche nel dibattito politico-militare, al punto da arrivare a situazioni paradossali, come un mese fa in Pakistan: in un paese la cui popolazione è costantemente minacciata da attentati e i taleban rischiano di rovesciare il governo di Islamabad, il Vice presidente dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale Qamaruzzaman Chaudry – ex vice-direttore del Met Office britannico – è andato a spiegare come anche in Pakistan la minaccia più grave siano i cambiamenti climatici.

La cosa più preoccupante è però ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti: nell’ottobre scorso il Pentagono ha pubblicato un rapporto in cui si dichiara che il cambiamento climatico costituisce un «rischio immediato» per la sicurezza nazionale e si spiega i piani per proteggere le basi e prepararsi ai disastri umanitari su scala globale. Così mentre la Difesa americana si prepara a fronteggiare ipotetiche alluvioni, si abbassa la guardia sul terrorismo derubricato alla stregua di isolati casi criminali che vanno trattati quindi con normali azioni di polizia. È questa la sconcertante tesi sostenuta dal presidente americano Barack Obama appena pochi giorni fa, il 9 febbraio, in un’intervista televisiva in cui ha ripetuto che i cambiamenti climatici sono una minaccia maggiore del terrorismo. Da notare peraltro che mai una volta Obama parla esplicitamente di terrorismo o fondamentalismo islamico, come se fosse ignota la matrice di quanto sta avvenendo, per non dire dell’ignobile parallelo che ha fatto recentemente tra la violenza dell’Isis e le Crociate.

Inutile illudersi, questa è la leadership dei nostri paesi occidentali, che sembrano più preoccupati di arrivare a un accordo alla prossima conferenza sul clima che si svolgerà a fine anno a Parigi che non ad affrontare seriamente quanto sta avvenendo all’interno dell’Europa e ai suoi confini. I terroristi islamici hanno così buon gioco nel promuovere la loro agenda: gli attentati di Parigi e Copenhagen  hanno avuto obiettivi non casuali - vignettisti “blasfemi” ed ebrei - per suggerire l’idea per cui gli attentati sono una reazione agli attacchi che i musulmani subiscono. È una propaganda vincente che serve ad eccitare ulteriormente gli animi della popolazione musulmana in Europa e in Medio Oriente e a generare un senso di colpa nella popolazione occidentale. Le vignette blasfeme in realtà non sono la causa ma il pretesto per un attacco all’Europa che, come dimostra l’articolo odierno di Valentina Colombo, è parte di un disegno strategico che accomuna le diverse anime del fondamentalismo islamico.

Sperare che i nostri governanti capiscano questo disegno è forse troppo, ci accontenteremmo di vedere che almeno si cominci a rendersi conto della gravità della situazione e a studiare immediatamente il da farsi.