Alluvioni nel Mediterraneo: nulla di nuovo, l'importante è prepararsi
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Dopo Dubai, tocca al Mediterraneo? La nostra area è da sempre esposta a eventi estremi, per cause naturali. L'importante è essere sempre pronti al peggio, come si fa per i terremoti.
L'evento estremo di Dubai (vedi qui) ci porta a formulare alcune riflessioni per l’area del Mediterraneo e per l’Italia. L'area è per sua natura esposta a eventi pluviometrici estremi in quanto:
- presenta una imponente sorgente di masse d’aria caldo-umida (il Mar Mediterraneo) ed è inoltre prossimo a regioni sorgenti di masse d’aria fredda (Atlantico settentrionale, Polo Nord, Areale siberiano) e qui va ricordato che è dal contrasto fra masse d’aria calda e fredda che nascono le perturbazioni atmosferiche
- è sede di una imponente orografia (Pirenei, Alpi, Appennini, Atlante, Alpi Dinariche, Monti del Pindo, ecc.) che spinge le masse d’aria in arrivo a salire, intensificando così le piogge.
Sappiamo inoltre che più una zona è arida e povera di precipitazioni e più elevata è la percentuale di pioggia che cade in forma di evento pluviometrico estremo. Al riguardo si pensi all’evento terribile che ha recentemente devastato Derna in Libia o ai morti che tradizionalmente si verificano in Nord Africa per le piene degli uadi, per la grandissima parte dell’anno desolatamente asciutti.
La bibliografia indica inoltre che le fasi fredde (es: il periodo freddo compreso fra 1311 e 1850, noto come “piccola era glaciale”) sono più esposte di quelle calde a eventi pluviometrici estremi. Al riguardo e per restare a un periodo più recente e non sospetto di global warming antropogenico, ricordiamo il “big one” cui si è assistito nel 1951, anno in cui si ebbero ben 4 eventi luttuosi e cioè la notissima alluvione del Polesine del 14 novembre cui si aggiungono 3 alluvioni meno note e verificatesi a ottobre per effetto di un vortice mediterraneo di inusitata potenza che produsse la pioggia che di norma cade in tre anni. La conseguenza furono l’alluvione di Sicca d’Erba in Sardegna (oltre 1536 millimetri piovuti in in 5 giorni), quella di Nicolosi in Sicilia orientale (1366 millimetri in 3 giorni) e quella della Calabria (oltre 1500 millimetri in 3 giorni).
Di fronte a eventi di intensità analoga, sempre possibili nel Mediterraneo per le ragioni fisico-geografiche sopra esposte, c’è da domandarsi cosa direbbero oggi i media, e qui sono quasi certo che i poveri morti sarebbero sacrificati sull’altare del global warming, usato come foglia di fico per nascondere insufficienze tecnico-operative o più semplicemente per non dover confessare di essersi trovati di fronte a fenomeni troppo potenti per essere affrontati con mezzi umani.
Insomma, a livello di protezione civile contro gli eventi pluviometrici estremi occorrerebbe orientarsi verso un atteggiamento analogo a quello che si sta faticosamente affermando per i terremoti e cioè che occorre essere preparati al peggio adottando politiche preventive adeguate, ad esempio a dighe e casse d’espansione per laminare le piene, a sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali e ancora a interventi per evitare l’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli. A ciò si aggiunga che per centri abitati troppo esposti al rischio aluvionale occorrerebbe adottare impopolari politiche di evacuazione preventiva degli abitanti ovvero attivare sistemi di allerta rapida basati ad esempio su sirene, non bastando l’allarme lanciato sui telefonini, troppo spesso spenti o non raggiungibili.
Utile sarebbe soprattutto un’azione educativa nei confronti della popolazione che dovrebbe essere posta al corrente dei luoghi di raccolta predisposti per eventuali emergenze e resa cosciente del fatto che prima si salvano le persone e poi se possibile i beni: non è infatti tollerabile che nostri concittadini anneghino nei garage per salvare l’automobile.
In sostanza se volete pensare che le “bombe d’acqua” siano una peculiarità del nostro tempo (cosa non vera, alla luce dei dati) siete del tutto liberi di farlo: l’importante è che si faccia tutto quanto è in potere di ciascuno di noi per mettere a punto azioni preventive e curative volte a salvare in primis le persone e poi, ove possibile, i beni.
Concludiamo però con una nota di ottimismo: l’Istituto Irpi del Cnr mantiene aggiornata una statistica nazionale sugli eventi idro-geologici estremi (frane e alluvioni) e in figura si riporta il grafico che riassume i dati raccolti da 1915 al 2022. Da esso si colgono con immediatezza gli anni più terribili (ad esempio il già citato 1951, il 1963, anno del Vajont e il 1966, anno dell’alluvione di Firenze). Si noti inoltre che non si colgono tendenze all’aumento della frequenza di tali eventi e delle relativa mortalità, il che da un lato ci dice che il clima non è a tutt’oggi impazzito e dall’altro che in complesso è stato fatto un buon lavoro da parte delle autorità responsabili della protezione civile a livello nazionale e regionale.
Figura – Numero di eventi alluvionali e franosi e numero di morti e feriti (serie storica 1915-2022 – fonte: CNR IRPI).
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La solita tendenza a dare la colpa all'uomo, per ogni disastro naturale, si è rivista anche in occasione della grande tempesta nel Golfo Persico che, negli Emirati Arabi Uniti, ha provocato 20 morti e immensi danni. Si accusano il riscaldamento globale antropico (come sempre) e l'inseminazione delle nubi.