«Aleppo, i martiri di una guerra che è artificiale»
«Migliaia di persone sono state assassinate in Siria. La convivenza tra esseri umani infestata con odio, sfiducia e violenza. Ho visto con i miei occhi azioni spaventose Ma davanti a questa tragedia, ho visto anche il carattere del popolo siriano e particolarmente dei cristiani. Una fede infrangibile, una testimonianza chiara e diretta di Gesù Cristo». Padre Rodrigo Miranda, sacerdote cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato, dal 2011 è stato parroco ad Aleppo.
Padre Rodrigo Miranda, sacerdote cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato, dal 2011 è stato parroco ad Aleppo. Per 4 anni. Lo contattiamo per sapere di questa esperienza, a suo modo unica; per capire cosa succede là, dove tanti scappano per arrivare in Europa. Lui è arrivato ad Aleppo poco prima che la tragedia esplodesse e l'ha vissuta in prima persona, sulla sua pelle.
Padre Rodrigo, cosa ha visto in questi quattro anni di missione in Siria?
«Quando sono arrivato in Siria ho visto un bellissimo Paese, prospero, indipendente e pacifico. E ora è distrutto, in molti modi. Migliaia di persone sono state assassinate. La convivenza tra esseri umani infestata con odio, sfiducia e violenza. Ho visto con i miei occhi azioni spaventose, fino allo spargimento di molto sangue, perfino tra persone di una stessa famiglia, o tra amici. Vite sconquassate fisicamente e spiritualmente. Sequestri e assassini in massa. Assedio: non c'è acqua, elettricità, combustibile, alimenti basilari. E poi il silenzio colpevole da parte dell’Occidente che ferisce la popolazione e fa crescere il rancore e la disperazione. Bugie dall'esterno che ostacolano intenzionalmente una possibile soluzione e di fatto cooperano con i crimini più terribili. Interessi politico-economici che creano sistematicamente più conflitti nella regione».
È guerra di religione?
«Ho visto un uso immorale della religione e del nome di Dio. E d'altra parte un continuo inganno per tentare di creare una visione moderata, in opposizione a un casuale fanatismo. Ma davanti a questa tragedia, ho visto anche il carattere del popolo siriano e particolarmente dei cristiani. Una fede infrangibile, una testimonianza chiara e diretta di Gesù Cristo: la solidarietà in tempi di grave pericolo, la carità reciproca, pure esponendo le loro vite per concretarla. Testimonianze innumerevoli fino allo spargimento di sangue».
C'è, nel ricordo, un momento particolarmente duro, il punto che ha segnato il non ritorno?
«Senza dubbio. Il momento più duro che ho vissuto è stato il bombardamento alla città universitaria di Aleppo. Molti morti. Circa 450, in un lasso di tempo di appena 15 minuti. A mezzogiorno, nel posto più transitato di quella zona della città. Ho ancora negli occhi le tante vittime innocenti, giovani, bambine, e poi le famiglie che chiedevano ospitalità per fuggire dalla morte. Ma oltre alla tragedia in sé, quell'orrenda mattina ha prodotto un terribile danno alle anime. Da quel momento abbiamo sperimentato cosa significa vivere costantemente in pericolo di morte. Gli attacchi potevano essere in qualunque zona e in qualunque momento. E così è stato. Ad esempio, (tra molte storie attestate) i ribelli attaccarono un sabato a mezzogiorno una fermata di autobus, dove stavano i ragazzini del nostro oratorio infantile nell'attesa di andare a giocare alla parrocchia dei preti salesiani. Li assassinarono tutti».
Se possibile, c'è stato, invece, un momento particolarmente bello?
«Fu quando i miei parrocchiani si alzarono con più forza, dando testimonianza al mondo delle cose più importanti. Cominciarono ad esprimere un'allegria che il mondo non comprende. L'allegria, in quella realtà, dipende solo da Dio. Perfino quando hanno sperimentato la debolezza nelle situazioni più avverse di morte, perdita dei cari, mancanze d’ogni tipo, c'è sempre stato qualcuno di loro che ha preso forza e coraggio per esortare gli altri. Le nostre Chiese cominciarono a riempirsi. Pregavano, cantavano, si riunivano. Per partecipare alla Santa Messa alcuni camminavano circa 45 minuti correndo il rischio concreto di essere uccisi. I giovani e i bambini continuavano gli studi, desiderosi di fare qualcosa per il loro Paese».
Si dice che la Siria è divisa in quattro: Isis, curdi, Assad e Al-Qaeda. Lei, in altre sue interviste, ha parlato di conflitto “artificiale”. Perché?
«La Siria non è divisa. Si mantiene come un blocco e quello è ciò che dà loro forza. Quello fa anche arrabbiare chi la vuole distruggere. Il popolo non ha mai chiesto questa catastrofe in nome di chissà quale libertà. Chi vuole la distruzione della Siria? Gruppi terroristici finanziati e, spesso, composti da stranieri, appoggiati dalle potenze dell’Occidente, con un gruppo manipolato e minimo di siriani. In quelli che vengono chiamati “ribelli” ci sono circa 33 diversi gruppi, composti da quasi 83 Paesi diversi. Dall'altra parte si trova il governo e il popolo siriano. Il conflitto in Siria è stato conformato in questo modo fin dall'inizio e non con l'arrivo di Isis. Per questo dico che è un conflitto “artificiale”, perché è stato creato ad hoc da vari anni, premeditato da amministrazioni di Paesi che oggi tentano di apparire come i salvatori del Medio Oriente, ma che sono i colpevoli (identificati da tutti laggiù) della sofferenza».
Il cardinale di Milano, Angelo Scola, ha definito Aleppo la Sarajevo del XXI secolo. Ogni giorno ci sono bombe. Come vivono oggi i suoi parrocchiani ?
«Qualche tempo fa è stato fatto un dvd dove suor Guadalupe, missionaria della nostra famiglia religiosa del Verbo Incarnato, racconta la situazione in Siria. Il dvd è stato intitolato: "Appesi alla speranza". Ecco come si vive oggi ad Aleppo, appesi alla speranza. I cristiani hanno lo sguardo rivolto “alle cose di lassù”, e in Lui confidano per tutto. Se qualcuno deve tragicamente partire per la patria celeste, quelli che rimangono sanno che va all'incontro con Dio come "vittima" di soave aroma. Martiri. Ma le loro vite non sono il riflesso di una “spiritualità disincarnata”, perché questa speranza, insieme alle altre virtù teologali, fede e carità, si manifesta nel concreto, giorno per giorno. Porta frutto nella vita quotidiana, quando condividono le mancanze e i dolori. Pensano costantemente a Gesù Cristo che soffrì per loro e con loro. Pensate che nei peggiori momenti, mi sono arrivati a dire che sanno che questa guerra è una purificazione per i peccati personali, e di tutta la società siriana. Come ha detto un giovane a sua madre, poco tempo prima di essere assassinato dai ribelli: "Mamma, non abbiate paura di chi ammazza il corpo, perché non può ammazzare l'anima." È una visione molto soprannaturale».
Cosa chiedono alla comunità internazionale?
«Loro chiedono alla comunità internazionale che comunichino con verità quello che realmente succede. Che li aiutino senza creare un patto con gli estremisti. Che non forniscano più armi, né creino conflitti. Che ascoltino la coscienza e non ammettano il male. Che aiutino i cristiani perché essi non ricevono niente da nessuno. Che preghino per loro, ma che preghino molto, affinché Dio abbia pietà di loro e dei loro assassini».