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BALCANI

Albania e Serbia, dopo la partita è scontro sul Kosovo

La tensione fra Serbia e Albania non si limita solo ai campi di calcio e alle tifoserie violente. Anche la visita di Edi Rama, premier albanese, a Belgrado, ha creato un incidente diplomatico. L'Albania perora la causa del Kosovo e dialoga anche con le minoranze albanesi in Serbia. Belgrado non lo digerisce.

Esteri 14_11_2014
Rama e Vucic

Può una partita di calcio (sospesa per violenze) avere strascichi lunghi settimane? Nei Balcani pare proprio di sì.

Durante la conferenza organizzata con i giornalisti accorsi ad assistere alla prima visita dopo 68 anni di un leader albanese a Belgrado, infatti, il Primo Ministro Edi Rama ha dichiarato, senza giri di parole e ad un metro dal suo ospite, che “la questione del Kosovo è risolta ed esso è indipendente”, aggiungendo che si tratta di una realtà immutabile. Immediata la reazione del padrone di casa, il premier serbo Aleksandar Vučić che, visibilmente innervosito e stupito, ha ribadito con forza che l’ex provincia autonoma è tutt’ora parte integrante del suo Paese e che non si aspettava assolutamente un’affermazione del genere da parte del suo invitato, soprattutto perché il Kosovo e Metohija (chiamato volutamente con il suo nome originale) “non ha mai avuto né mai avrà alcuna relazione con l’Albania”. Per concludere, il primo ministro ha aggiunto che era fortemente stupito per la decisione del suo omologo di parlare di temi non all’ordine del giorno e che suo obbligo è quello di impedire che la Serbia venga umiliata.

Edi Rama, però, non ha voluto smentire le proprie esternazioni, tanto da ribadire gli stessi concetti altre due volte nel corso della conferenza e invitando la Serbia ad accettare la realtà, come già fanno, a suo dire, molti Paesi partner di Belgrado. Interrogato sugli incidenti avvenuti durante la partita di qualificazione degli Europei di calcio, egli non ha voluto rispondere, limitandosi a proporre di organizzare una speciale amichevole fra i due paesi. Alla stessa domanda non ha voluto, però, sottrarsi Vučić, che ha accusato pesantemente gli organizzatori del gesto, promettendo che questi verranno puniti.

Quindi, sebbene il meeting fosse iniziato sotto i migliori auspici, con gli auguri del premier serbo affinché i due Paesi fossero finalmente capaci di guardare avanti e con una serie di dichiarazioni rassicuranti del Governo di Belgrado, la conclusione è stata di tono opposto. Rama, prima di partire, ha infatti rilasciato un’intervista anche al sito di informazione B92, ripetendo quanto affermato in precedenza e aggiungendo che trovava “affascinante come il tema [del Kosovo] riesca a provocare sempre in tal modo i serbi”, che dovrebbero, secondo lui, accettare quanto prima la realtà e riconoscere l’indipendenza di Priština. Vučić, al termine della giornata, ha cercato di ribadire l’utilità del meeting, augurandosi che segni l’inizio di una nuova fase nelle relazioni bilaterali, salvo poi affidare ad un tweet la delusione per il comportamento del suo omologo di Tirana.

Come era prevedibile, comunque, le parole del premier albanese hanno creato un notevole polverone politico, che ha portato quasi tutti i leader locali a prendere posizione contro le sue parole. Il Presidente Serbo Tomislav Nikolić, ad esempio, ha definito “irresponsabile” il primo ministro ospitato, ribadendo che la Serbia, a differenza dell’Albania, da anni si impegna affinché il Balcani diventino una regione prospera e sicura in Europa.

Al di là dei commenti politici, ciò che risulta evidente è che le parole di Rama erano fuori luogo. Se, come egli aveva dichiarata prima di partire, l’obiettivo del suo viaggio era quello di riallacciare i rapporti fra i due Paesi e calmare la situazione di tensione creatasi in seguito alla già citata partita di calcio (che ha causato violenze da ambo le parti), con tali affermazioni ha ottenuto esattamente il contrario, gettando benzina sul fuoco. Il Kosovo, infatti, non è solo un’ex provincia autoproclamatasi indipendente, ma una zona di forti scontri interetnici, che recentemente sono sfociati nuovamente in atti intimidatori contro la minoranza serba, e religiosi, come conferma l’avanzata dell’estremismo islamico all’interno del giovane Stato. A ciò si aggiungono anche lo scandalo da poco scoppiato attorno alla missione Europea Eulex, che sta screditando quanto sino ad ora fatto dall’istituzione che, in teoria, avrebbe dovuto traghettare verso la stabilità la nuova repubblica e i dissidi politici interni che vedono l’ex leader del movimento terrorista dell’UCK e attualmente presidente del Kosovo Hashim Thaçi attaccato da più fronti.

Come riportato da alcuni commentatori, quindi, appare chiaro che il reale interesse di Rama sia stato far capire a Belgrado che egli si sente in grado di parlare a nome di tutti la popolazione albanofona dei Balcani, indipendentemente dal fatto che questa viva al di fuori dei territori amministrati da Tirana. A conferma di ciò sembra rientrare anche la visita nella zona di Preševo (nella Serbia del sud) per portare la propria solidarietà ai suoi connazionali lì stanziati. Tale politica, di sicuro impatto presso la popolazione albanese, rischia di avere degli effetti estremamente negativi, poiché giustificherebbe nuovamente le rivendicazioni di qualunque etnia insoddisfatta dagli attuali confini.

L’Unione Europea, quindi, dovrebbe tenere in considerazione questi sviluppi, soprattutto perché Bruxelles sembra essere ancora concentrata a contenere il nazionalismo serbo (ormai ridimensionato), ma poco propensa ad accettare che altre etnie rivendichino un ruolo nuovo e più rilevante nel contesto balcanico. Ignorare queste avvisaglie, quindi, rischia di far passare il messaggio che, per tutti fuorché Belgrado, sia legittimo rivendicare una “versione ingrandita” del proprio paese, senza che vi sia il rischio di incorrere in sanzioni. Questa idea, già in parte diffusa in alcune aree, potrebbe avere dei risultati estremamente negativi, soprattutto perché la forte presenza albanese in Montenegro, Macedonia e Grecia ha già dato segno di aspirare ad un ordine diverso da quello attuale (basti pensare ai recenti disordini avvenuti a Skopje).

L’Italia, dal canto suo, in quanto storico partner di alcuni delle realtà coinvolte, dovrebbe far sentire la propria voce e riproporsi come paese interessato alla stabilità dell’area, soprattutto alla luce dell’attivismo tedesco e, più recentemente, francese che hanno finito per limitare l’importanza di Roma in queste aree.