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TERRORISMO

Al Harith, da vittima di Bush a carnefice dell'Isis

Jamal Al-Harith: ex prigioniero a Guantanamo, risarcito con 1 milione di sterline, oggetto di compassione e ammirazione da parte di sceneggiatori e giornalisti che ne hanno fatto un caso esemplare di vittima degli abusi dell’anti-terrorismo. Si è fatto esplodere la settimana scorsa in Iraq.

Esteri 03_03_2017
Jamal al Harith prima dell'attentato suicida

Ex prigioniero a Guantanamo, scarcerato grazie alla mediazione del governo britannico, risarcito con 1 milione di sterline, oggetto di compassione e ammirazione da parte di sceneggiatori e giornalisti che ne hanno fatto un caso esemplare di vittima degli abusi dell’anti-terrorismo. Si è fatto esplodere la settimana scorsa in Iraq, come attentatore nelle fila dell’Isis. E’ il caso, realmente esemplare, di Jamal Al-Harith, nome islamico del giamaicano-britannico Ronald Fiddler.

Il suo era considerato un caso di giustizia kafkiana, una vittima dell’assurdità della guerra al terrorismo. Fiddler si era convertito all’islam nel 1994. Dopo una breve relazione con Samantha Cook, figlia di un senatore australiano, all’inizio del 2001, alla vigilia dell’11 settembre, si era recato in Pakistan per un viaggio low cost. Qui, vicino al confine con l’Afghanistan, viene catturato dai talebani, imprigionato a Kandahar, poi liberato dagli americani assieme a diversi altri cittadini stranieri dopo la caduta della città. Ed è in questa circostanza che gli americani non lo lasciano andare. Si insospettiscono di lui, lo interrogano, lo deportano a Guantanamo. Nel campo di prigionia extraterritoriale a Cuba viene interrogato dalla Cia e dall’Mi5, il servizio segreto britannico. Anche il servizio segreto australiano, vista la sua recente relazione, sospetta su di lui e conduce la propria indagine. Dopo due anni di prigionia, non viene ritenuto un elemento sufficientemente pericoloso per prolungare la detenzione. Lo stesso governo Blair, messo alle strette da un’opinione pubblica sempre più ostile alla guerra al terrorismo (soprattutto dopo la guerra in Iraq nel 2003), si adopera per il rilascio dei cittadini britannici. D’altronde sono internati in un campo che è un buco nero giuridico: né prigionieri di guerra, né prigionieri comuni, senza processo, senza incriminazione formale. Gli Usa rilasciano Al-Harith nel 2004 assieme ad altri sospetti terroristi, fra cui i tre inglesi chiamati “Tipton Three”.

Dal 2004, Al-Harith e gli altri connazionali catturati dagli americani sono diventati, appunto, dei simboli dell’abuso della guerra al terrorismo. Assieme ai “Tipton Three” ha sporto denuncia al segretario alla Difesa statunitense di allora, Donald Rumsfeld, accusandolo di tecniche di interrogatorio illegali e tortura. La celebre class action di Guantanamo, Rasul vs. Rumsfeld (dal nome del primo querelante, Shafiq Rasul, uno dei Tipton Three) dura cinque anni e finisce con un nulla di fatto. Viene rimbalzata da un grado all’altro della giustizia americana, fino alla Corte Suprema e da questa ancora al primo grado che archivia il caso perché nel 2002-2004 nemmeno la tortura era considerata illegale come tecnica di interrogatorio. Anche per evitare ulteriori complicazioni diplomatiche con gli Usa, il governo britannico ha risarcito Al-Harith con l’ingente somma di 1 milione di sterline. Nella veste di vittima, Al-Harith compariva nello spettacolo teatrale inglese Guantanamo: Honor Bound to Defend Freedom, basato anche sulle sue interviste. Sui cittadini britannici internati a Guantanamo è stato realizzato anche il film documentario The Road to Guantanamo, diventato celebre in tutto il mondo.

Ma la vittima di Guantanamo non aveva, a quanto pare, alcuna intenzione di vivere di rendita sul risarcimento governativo. E non intendeva passare il resto dei suoi giorni scrivendo autobiografie e tenendo conferenze sul suo caso. Passato Bush, arrivato Obama, morto Bin Laden, ritirate tutte le truppe dall’Iraq e scoppiate le primavere arabe, Al Harith si è… arruolato nell’Isis. Nel 2014 è partito per la Siria e non è più tornato. E’ diventato un soldato del jihad con il nome di battaglia Abu-Zakariya al-Britani. La sua famiglia lo ha seguito, poi però è fuggita dalla Siria grazie all’aiuto di alcuni contrabbandieri, un anno dopo. Al-Harith, ora Al Britani, era invece convinto della causa ed è rimasto. Due anni dopo si è fatto esplodere con un’autobomba contro la base militare irachena di Tal Gaysum, presso Mosul. Il fratello Travor, nella sua intervista al Guardian dichiara che la famiglia è sempre stata convinta della sua innocenza, ma ora dubita della sua sincerità, sospetta di essere stata ingannata per tutti questi anni di battaglie civili e legali. Trevor spiega anche la sua perplessità, a vent’anni di distanza, su quella conversione all’islam, unico caso in una famiglia cristiana. Se lo chiedono, probabilmente, anche politici, avvocati, giornalisti e artisti che hanno seguito il suo difficile caso, facendone una bandiera.