Aiuti Ue alla Palestina, quasi due miliardi sono spariti
Negli ultimi quattro anni, sono spariti quasi 2 miliardi di euro di aiuti alla Palestina, "sprecati, sperperati o persi nella corruzione", come recita il rapporto della Corte dei Conti europea. Ennesimo esempio di come non funziona la cooperazione allo sviluppo.
Proprio quando Mahmoud Abbas si reca in visita da Papa Francesco e lo invita in Terra Santa, veniamo a sapere che l’Autorità Palestinese ha “sprecato, sperperato o perso nella corruzione” almeno 1,95 miliardi di euro in aiuti donati dall’Unione Europea fra il 2008 e il 2012. La fonte è ufficiale: è la Corte dei Conti europea ad affermarlo. Il rapporto redatto dall’organismo di controllo non è ancora stato pubblicato, l’anticipazione proviene dal quotidiano Sunday Times britannico ed è stata rilanciata, come prevedibile, dalla stampa israeliana. In Italia la notizia non è circolata un granché. Anche se sarebbe potenzialmente esplosiva. Un miliardo e 950 milioni di euro sono tanti. Sono una mini-manovra finanziaria, quasi pari all’intero gettito della seconda rata dell’Imu, la cui mancata riscossione ha comportato l’aumento di un punto dell’Iva. Quasi due miliardi persi in corruzione, nepotismo e sperperi nelle caotiche istituzioni dell’Autorità Palestinese, costituiscono l’ennesima conferma di come (non) funzioni la cooperazione allo sviluppo.
Nel rapporto della Corte dei Conti europea, Bruxelles si assume la responsabilità, ammettendo di non aver controllato con sufficiente attenzione come i suoi fondi venissero destinati e spesi dai palestinesi. È nell’Autorità di Ramallah, comunque, che si trova l’origine del problema. Almeno dal 2007 il parlamento è in stallo, diviso da una guerra civile (a volte fredda, talvolta anche guerreggiata) tra le sue due fazioni principali. La Palestina è fisicamente divisa in Gaza e Cisgiordania. Politicamente divisa fra i due partiti Hamas (islamista) e Fatah (nazionalista). Questa situazione di ingovernabilità fa sì che il potere esecutivo, gestito da Mahmoud Abbas (successore di Yassir Arafat) possa gestire i fondi europei in modo illimitato e incontrollato. Come in tutti gli Stati arabi non democratici, una buona fetta dei fondi pubblici sparisce nelle tasche di favoriti, clientes e funzionari. Secondo il sondaggio di Transparency International, che redige la classifica annuale della corruzione in tutto il mondo, il 71% dei palestinesi è convinto che l’Autorità Palestinese sia corrotta e il 57% pensa che la corruzione sia dilagante anche entro il territorio di Gaza controllato da Hamas. Che pure aveva vinto la sua battaglia politica contro Fatah nel nome della lotta alla corruzione.
Mahmoud Abbas scarica tutta la colpa su Israele, come di consueto. Parlando, sabato scorso, a commento dell’ultimo rapporto della Banca Mondiale, ha ribadito: «La situazione economica è molto difficile e il motivo centrale di questo è l’occupazione israeliana. Israele sfrutta le nostre risorse, il che genera direttamente un aumento del deficit con cui dobbiamo fare i conti». Ma la giustificazione anti-israeliana non basta a spiegare una catastrofe economica senza paragoni: la Palestina è uno dei Paesi più poveri del mondo nonostante abbia ricevuto il più imponente piano di aiuti umanitari della storia. L’anno scorso, ogni cittadino ha ricevuto 3100 dollari. Paragonati ai 174 dollari a testa ricevuti dai congolesi e ai 74 dollari dei pakistani, sono un’enormità. Nel periodo in cui sono spariti i 1,95 miliardi di euro, pagati dai contribuenti europei, l’Autorità Palestinese ha ricevuto 33 miliardi di euro in aiuti umanitari da tutti i suoi donatori, Ue compresa. Giusto per fare un confronto, il Piano Marshall, che ci risollevò dopo la Seconda Guerra Mondiale, ammontava a 6 miliardi di euro attuali destinati all’Italia. Da più parti (Berlusconi compreso, quando era premier) si sente parlare di “Piano Marshall per la Palestina”. Ebbene, solo negli ultimi 4 anni, la Palestina ha ricevuto 5 volte gli aiuti umanitari a suo tempo incassati dall’Italia con il Piano Marshall. E senza ottenere risultati. Serve rivedere la cooperazione e sviluppo e i suoi meccanismi, certamente. Ma almeno sapere dove i nostri soldi, generosamente offerti, vanno a finire.