Ai catto-gender piacciono i giochi di parole
Da «il gender non esiste» si è passati a «esiste, ma c'è anche quello buono». La diocesi di Padova e Avvenire sono la dimostrazione di un cambiamento di strategia. Ma l'antropologia cristiana e l'ideologia di genere sono incompatibili. Ecco le prove.
"Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana..."
Così cominciano gli episodi della serie Star Wars, nei quali si narra di come i senatori della repubblica (galattica) si uniscano – sempre con ottime e legittime ragioni – al «lato oscuro della forza»; e di come i cavalieri jedi, monaci guerrieri al servizio della pace e della giustizia, vengano braccati e sterminati uno ad uno, e i superstiti ridotti a vivere in clandestinità.
Come ci informa Stefano Fontana (clicca qui) la Diocesi di Padova scende in campo sull'ideologia di genere (clicca qui). Per combatterla? No! Per combattere «posizioni preconcette e barricate ideologiche», fermare «inutili, se non nocivi, allarmismi», ripristinare la fiducia nelle «competenti autorità ministeriali» e impedire che i ribelli abbiano possibilità di diffondere le loro ragioni («Chiediamo, pertanto, che quanti nella Diocesi di Padova hanno in animo di organizzare dibattiti o incontri su tale questione abbiano a confrontarsi con l’Ordinario diocesano, i competenti Uffici pastorali e, per quanto riguarda le connessioni con l’ambito scolastico, l’Ufficio diocesano di pastorale dell’educazione e della scuola»).
Questo editto fa riferimento al «contributo di Chiara Giaccardi Non solo ideologia: riappropriamoci del genere, pubblicato su Avvenire del 31 luglio u.s., che offre una equilibrata lettura del tema, sotto tutti i profili», che i lettori della Bussola già conoscono (clicca qui).
Perché dedicare altro spazio a queste posizioni, già riprese e commentate su questo media? Per un motivo molto semplice: esse ci mostrano come si evolve la strategia comunicativa di chi vuole «riappropriarsi del genere».
Ricorderete il primo (primitivo) argomento utilizzato per contrastare le reazioni all'ideologia di genere: essa «non esiste!» (clicca qui).
Bene, adesso esiste, ma «è alquanto complessa: in essa vengono ricondotte varie teorie frutto dell’elaborazione di diverse correnti di pensiero», ci dicono dalla Diocesi di Padova; «[...] gli studi di genere sono diversificati al loro interno; hanno dato importanti risultati e molti possono ancora favorirne in termini di giustizia sociale; non sono esclusivamente né principalmente focalizzati sulla questione del 'genere sessuale come scelta' che prescinde dalla natura», istruiva la professoressa Giaccardi nel già citato articolo; «Il punto nodale della questione – già indicato in diverse occasioni su queste colonne, e che Giaccardi sottolinea molto bene – è che non esiste 'una' teoria del gender, ma tutta una costellazione di temi, che vanno dal sociologico allo psicologico, dallo storico al giuridico, dal religioso al filosofico, dal politico al sociale, dall’etnologico al biologico», facevo eco il professor D'Agostino.
In sintesi, esisterebbero diverse teorie del gender. «Non bisogna però cadere nell’errore della 'cattiva sineddoche': prendere una parte del dibattito, la più discutibile, come il tutto e buttare il bambino con l’acqua sporca», spiegava la professoressa Giaccardi. Quindi bisogna distinguere il grano dal loglio, e salvare il buon frumento delle teorie del gender: «Gli studi di genere [...] hanno dato importanti risultati e molti possono ancora favorirne in termini di giustizia sociale».
Prendiamo dunque sul serio l'invito della professoressa Giaccardi e sciogliamo questa “cattiva sineddoche”. Sulla questione femminile distinguiamo tre filoni fondamentali.
Il primo è la (ora scomoda) antropologia cattolica. Come spiega in maniera chiara Ignace Meyerson (Psicologia storica, Nistri-Lischi 1989), è stato il cristianesimo ad inventare il concetto di persona. La parola “persona”, nata ad indicare dapprima una maschera teatrale, poi un personaggio, è passata ad indicare l'essere umano, individuo e dotato di ragione, in seguito alle discussioni sulla Santissima Trinità. Persona è innanzitutto Dio, Cristo e, per analogia, l'essere umano.
Il concetto di persona non deve essere dato per scontato. Ancora oggi si fa di tutto per dire che l'embrione è un essere umano, ma non persona (altrimenti l'aborto sarebbe un omicidio); Mario Palmaro ci informa (Ma questo è un uomo, San Paolo 1996) che il 6 marzo 1857 la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che «i negri, a norma delle leggi civili, non sono persone»; nelle civiltà non occidentali il concetto di persona è sconosciuto (si pensi alle culture nei quali l'essere umano esiste solo in funzione del clan o della tribù) o stenta ad affermarsi (pensiamo all'Estremo Oriente, nonostante l'occidentalizzazione occorsa durante il secolo scorso).
Se l'umanità conosce il concetto di persona lo deve al cristianesimo. E, se le donne sono considerate esseri umani, lo devono al cristianesimo. Nell'antica Roma, ad esempio, le donne non avevano un nome proprio, ma solo il nome della gens (della famiglia): Cornelia, Lucrezia, Flavia, Claudia... Proprio così: le prime, più efficaci e durature lotte per l'emancipazione femminile si devono ai discepoli di Colui che si intratteneva con le donne, persino eretiche o di facili costumi, trattandole da persone, e non da cose. Queste lotte non sono terminate con l'affermazione del cristianesimo, anzi: l'emancipazione femminile ha avuto forse il suo momento più alto con l'affermazione della Cristianità, durante il vituperato Medioevo. Lo dimostrano gli studi della storica francese Régine Pernoud (La donna al tempo delle cattedrali, Rizzoli 1986).
Il Magistero si è occupato della questione femminile, soprattutto con Giovanni Paolo II (Mulieris dignitatem, 1987; Lettera alle donne, 1995). É stato Giovanni Paolo II a lanciare la locuzione ecclesiale “nuovo femminismo”. Attenzione: “nuovo” femminismo, cioè un femminismo diverso da quello liberale; e ha lanciato questa locuzione al termine dell'enciclica Evangelium vitae (§ 99), dedicata alla tutela della vita nascente.
Il secondo filone è rappresentato dal femminismo liberale. Nato durante la Rivoluzione Francese con Olympe de Gouges e Mary Wallstonecraft, il primo femminismo è essenzialmente liberale, perché vuole uguali diritti per individui diversi. L'uomo e la donna sono infatti essenzialmente diversi, anche se la società deve riconoscere loro l'uguaglianza giuridica. Il femminismo liberale ebbe il suo massimo sviluppo con il movimento delle “suffragette”, così chiamate perché volevano l'estensione del diritto di voto (il suffragio) alle donne. A questo femminismo (non al “nuovo femminismo” di Giovanni Paolo II) si rifanno le “femministe della differenza” (da una locuzione della filosofa belga Luce Irigaray).
Il terzo filone è quello del femminismo radicale. Raggiunti gli obiettivi prefissati (più per merito delle Guerre Mondiali che delle lotte femministe), nella seconda metà del dopoguerra il movimento femminista si trovò davanti ad un bivio: sciogliersi o darsi nuovi obiettivi. In questo momento nacque il femminismo radicale (o lesbico), distinto dal femminismo liberale perché non chiedeva più uguali diritti per individui diversi, ma uguali diritti per individui uguali. Caratteristica di questo modello di femminismo è infatti la negazione della differenza tra uomo e donna. Partendo dagli scritti della filosofa bisessuale Simone de Beauvoir, le femministe radicali (le principali sono tutte con orientamento omosessuale) utilizzarono lo strutturalismo per rifiutare, negare ogni differenza non biologica tra uomini e donne, rubricandola come «socialmente costruita». Questo è il nocciolo dell'attuale ideologia di genere, e questo è ciò che distingue l'antropologia cattolica, il femminismo liberale e le teorie del gender. La negazione di qualsiasi differenza non biologica tra i due sessi è il tratto distintivo di questo filone, e non si ritrova negli altri.
Abbiamo quindi distinto i diversi pensieri che si sono occupati della questione femminile, così come ci è stato richiesto. L'esito l'abbiamo visto. Possiamo dunque concludere che rubricare come «studi di genere» ogni pensiero che si sia occupato dell'emancipazione femminile è una cattiva sineddoche: prendere una parte del dibattito, la più discutibile, come il tutto e salvare l'acqua sporca con il bambino. Un conto è l'antropologia cristiana, un conto il femminismo liberale, un altro l'ideologia di genere. Confonderle significa rendere un cattivo servizio alla verità.
Cosa c'entrano, dunque, i senatori della repubblica (galattica) e i cavalieri jedi citati all'apertura di questo articolo? Niente, solo un'associazione bislacca che mi è venuta in mente mentre riflettevo su queste cose... Comunque che la Forza sia con noi.