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Nazioni Unite

Agenda 2030, l'obiettivo "Fame Zero" è un fallimento

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Nel 2015 l'Onu ha ufficialmente dichiarato guerra alla malnutrizione e a fronte dei miliardi stanziati la situazione è persino peggiorata stando al Rapporto 2024 sulla sicurezza alimentare. Non bastano i finanziamenti se si trascurano le cause.
- Famiglie italiane, un reddito da povertà, di Andrea Zambrano

Attualità 05_09_2024 English
IMAGOECONOMICA - SARA MINELLI

Molti pensano che non si possa esportare la democrazia se mancano le condizioni culturali e sociali che ne hanno reso possibile l’adozione in determinati Paesi. Deve essere effetto di un processo interno che si realizza o per iniziativa di una leadership politica o in seguito a istanze espresse dal basso. Solo allora il sostegno della comunità internazionale diventa utile. Si citano casi clamorosi di fallimento, ad esempio quello dell’Afghanistan.
Nessuno invece mette in dubbio che si possa “esportare” la sicurezza alimentare e quindi che la comunità internazionale lo debba fare continuando a realizzare, come fa da decenni, programmi alimentari e agricoli affidati alle agenzie delle Nazioni Unite, alle organizzazioni non governative e alla cooperazione bilaterale.

Il secondo dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030 presentata nel 2015 – un colossale, ambiziosissimo programma per la realizzazione del quale si stanno investendo miliardi di dollari – si propone di porre fine alla fame e alla malnutrizione in tutto il mondo entro il 2030.
Ormai mancano solo sei anni al termine dell’Agenda Onu 2030. Se non tutti, certo molti obiettivi non saranno raggiunti e questo solleva seri interrogativi sull’efficacia dei metodi pensati per realizzarli. Un rapporto appena pubblicato dalle Nazioni Unite rivela addirittura il totale fallimento del secondo obiettivo, Fame Zero. Si tratta del Rapporto 2024 sullo stato della sicurezza alimentare e della alimentazione nel mondo, redatto a cura di cinque agenzie Onu: Fao (Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), Unicef (Fondo Onu per l’infanzia), Wfp/Pam (Programma alimentare mondiale) e Who (Organizzazione mondiale della sanità, Oms l’acronimo italiano).

Il rapporto indica che nel 2023 tra 717 e 757 milioni di persone, su un totale di otto miliardi, hanno sofferto la fame, una ogni 11 a livello globale, una su cinque in Africa, il continente più colpito. Ancora maggiore è il numero delle persone – 864 milioni – che non hanno avuto accesso a una alimentazione adeguata, espressione con cui si intende uno stato di «grave insufficienza alimentare che comporta talvolta essere senza cibo per una giornata intera o più». Aggiungendo le persone che hanno sofferto di insicurezza alimentare moderata, che cioè vivono nella costante incertezza di potersi procurare cibo sufficiente e sono costrette nel corso dell’anno a ridurre in certi periodi quantità e qualità della loro alimentazione, il numero sale a 2,33 miliardi, pari al 28,9% della popolazione mondiale. Infine, considerando anche la qualità del cibo, quindi la malnutrizione, risulta essersi trovato in questa situazione più di un terzo degli abitanti del pianeta, 2,8 miliardi.
«Sebbene abbiamo fatto qualche progresso – commentano gli autori del rapporto – i progressi sono stati irregolari e insufficienti. Abbiamo assistito a miglioramenti nei Paesi più popolosi, con economie in crescita, ma la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione continuano ad aumentare in molti Paesi del mondo. Il fenomeno colpisce milioni di persone soprattutto nelle aree rurali dove povertà estrema e insicurezza alimentare rimangono profondamente radicate. Se persisteranno le tendenze finora rilevate, entro il 2030 milioni di persone saranno ancora denutrite». In realtà saranno centinaia di milioni di persone, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite circa 582 milioni, metà dei quali africani e per la maggior parte, allora come adesso, donne e bambini.

La gravità del problema è resa ancora più evidente se si guarda agli andamenti degli ultimi anni. Nel 2023, rispetto al 2022, il problema della fame si è aggravato nell’Asia occidentale, nei Caraibi e soprattutto in Africa dove la popolazione afflitta dalla fame è aumentata del 20,4%. Andando indietro nel tempo, il dato allarmante è che negli ultimi tre anni il numero complessivo delle persone affamate non è diminuito nonostante gli sforzi prodigati e gli investimenti cospicui. Ma rispetto al 2015, l’anno in cui l’obiettivo Fame Zero è stato incluso nell’Agenda Onu 2030, la situazione risulta addirittura nettamente peggiorata. Nel 2015 le persone denutrite erano 570,2 milioni, pari al 7,7% della popolazione mondiale, nel 2023, assumendo il valore medio di 733 milioni persone, sono state il 9,1%. L’aumento maggiore, davvero drammatico, è stato registrato in Africa: da 192,1 milioni nel 2015 a 298,4 milioni. In termini percentuali e al confronto dell’intero pianeta: nel 2015, il 16,0% degli africani mentre il tasso globale era del 7,7%; nel 2023, rispettivamente il 20,4% e il 9,1%. 

Di fronte a situazioni così gravemente negative, tutta l’attenzione dovrebbe andare alle cause, Paese per Paese: le guerre, come in Sudan, Somalia, Sudan del Sud, Yemen, che insieme alla persecuzione di minoranze etniche e religiose in molti Paesi hanno portato il numero dei profughi, sfollati e rifugiati, a oltre 117 milioni, la corruzione e il malgoverno che privano centinaia di milioni di persone di assistenza, impediscono lo sviluppo umano e lasciano immensi territori e chi ci abita alla mercé di fenomeni atmosferici avversi…
Uno dopo l’altro, nel presentare il loro rapporto, i direttori delle cinque agenzie Onu hanno invece posto l’accento sulla necessità di ulteriori finanziamenti. Qu Dongyu, direttore generale della Fao, e Cindy McCain, direttrice esecutiva del Pam, a nome di tutti fanno appello ai più ricchi Paesi del G20, Alvaro Lario, presidente dell’Ifad, sollecita più investimenti e una riforma finanziaria globale per convogliare nuove risorse e finanziamenti meno onerosi ai Paesi che più ne hanno bisogno, Catherine Russell, direttrice esecutiva dell’Unicef, e Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, chiedono di incrementare urgentemente i finanziamenti.



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