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RITARDI E INEFFICIENZE

Africa, vaccini sprecati. Ma a far paura è ancora Ebola

L'Oms sostiene che nei paesi che aderiscono al progetto Covax solo un quarto dei vaccini viene inoculato. I restanti vengono lasciati scadere per l'inefficienza della rete sanitaria di alcuni stati come il Congo dove, con 1,7 milioni di dosi ricevute, sono stati vaccinati in 5000. Ma a far paura è ancora Ebola. 

Esteri 14_05_2021

Si allarga in Africa lo scandalo dei vaccini anti Covid inutilizzati, lasciati scadere, sprecati. In totale solo poco più dell’1 per cento della popolazione continentale ha ricevuto la prima dose di vaccino rispetto al 20 per cento dell’Europa e al 25 per cento degli Stati Uniti. Ma non è perché mancano i vaccini. 42 stati su 54 sono assistiti dall’iniziativa Covax, il progetto che fornisce vaccini ai paesi a reddito medio e medio-basso grazie alle dosi e ai fondi messi a disposizione dai paesi ricchi. Gli stati africani non inclusi nel Covax, come ad esempio il Sudafrica, lo Zimbabwe e il Gabon, ricevono i vaccini dall’Unione Africana, che ha assicurato la disponibilità di 870 milioni di dosi da somministrare entro il 2021, e se li procurano secondo accordi presi direttamente con le ditte produttrici.

L’Oms sostiene però che al momento 22 paesi africani hanno usato meno di un quarto delle dosi ricevute. Dei 18,3 milioni di vaccini consegnati dal Covax  ne sono stati utilizzati meno di otto milioni. Il Kenya, ad esempio, a febbraio ha ricevuto 1,2 milioni di dosi, ma sono state vaccinate solo poco più di 916.000 persone. Il ministero della sanità ha annunciato l’11 maggio che cercherà di ridistribuire almeno 200.000 dosi, trasferendole dai depositi attuali in città e contee dove è più facile che vengano somministrate. “Non ci possiamo permettere che le dosi scadano nei magazzini – ha spiegato il ministro della sanità Mutathi Kagwe – non oltre il 10 per cento già messo in conto”. Il problema, ha detto, non sono solo le date di scadenza. Si è costretti ad eliminare anche le fiale inutilizzabili perché conservate male, senza controllare che fossero trasportate e immagazzinate alla temperatura prescritta.

La Repubblica democratica del Congo è il caso più eclatante. Dal Covax di vaccini ne ha ricevuti 1,7 milioni all’inizio di marzo, ma dopo due mesi sono state vaccinate solo 5.000 persone su quasi 90 milioni di abitanti. Come è stato annunciato a fine aprile, vista la situazione si stanno distribuendo ad altri paesi africani 1,3 milioni di dosi, sperando che così siano utilizzate prima della scadenza che cade a fine giugno. 

L’inadeguatezza dei sistemi sanitari nazionali è la prima causa dell’enorme, forse incolmabile ritardo con cui procedono le operazioni di vaccinazione in Africa. Il Kenya dispone di 0,16 medici ogni mille abitanti, la Repubblica democratica del Congo ne ha 0,07. Poi c’è la carenza di infrastrutture: i mezzi e le vie di trasporto insufficienti e in cattive condizioni, ma anche, ad esempio, il limitato accesso all’energia elettrica, di cui quasi metà della popolazione africana non dispone, con frequenti interruzioni nell’erogazione persino nelle città maggiori. Un terzo fattore che ostacola l’operato del personale sanitario è l’insicurezza nei territori in cui si combatte, controllati da gruppi e bande armati: movimenti antigovernativi, cellule jihadiste, organizzazioni criminali.

Servirebbero ministeri e amministrazioni capaci di organizzare le campagne di prevenzione e intenzionati a farlo. Scandalo sono lo spreco, l’incuria di cui sono i primi responsabili. “È una corsa contro il tempo – dice Ayoade Alakija, capo della unità operativa per i vaccini dell’Unione Africana – c’è il rischio di una diffusione incontrollata del virus tra le persone non vaccinate che potrebbe portare a mutazioni del Covid-19 e alla comparsa di una forma più aggressiva della malattia”.

La dottoressa Alakija riporta il punto di vista dell’Oms. Ma se si considera la pandemia da un’altra prospettiva, quella africana, non si avverte lo stesso senso di urgenza e di catastrofe incombente. I dati, per quanto possano essere sottostimati, confermano che l’Africa finora è stata ampiamente risparmiata dal coronavirus. Con oltre 1,3 miliardi di abitanti, il continente registra al 12 maggio quasi 4,7 milioni di casi e 125.704 decessi. Per un confronto, in Europa, che ha 748 milioni di abitanti, i casi superano i 45 milioni e i morti sono 1.042.407; in Italia i casi sono 4,1 milioni e i morti 127.640.

Ma la maggior parte degli africani molto probabilmente questo non lo sanno. Se mostrano con le parole e i fatti di non temere così tanto il Covid-19 è perché hanno altro di cui preoccuparsi: in Congo, ad esempio, dove emergenze sociali, politiche e sanitarie determinano da anni una situazione di crisi permanente, specie in alcune regioni. Il 30 aprile il presidente Felix Tshisekedi ha addirittura dichiarato lo stato d’assedio nelle province orientali del Nord Kivu e dell’Ituri, nelle quali milizie armate e violenza etnica non danno tregua. Dall’inizio dell’anno più di 300 civili vi hanno perso la vita. Gli sfollati sono oltre 1,5 milioni.

Le autorità sanitarie hanno appena annunciato la conclusione della quinta epidemia di Ebola scoppiata in meno di tre anni. Nello stesso periodo il morbillo si è portato via più di 7.000 persone, in gran parte bambini, e continua a colpire in tutto il paese. Una serie di interviste realizzate dalla Bbc a Goma, il capoluogo del Nord Kivu, hanno colto le sensazioni della gente comune. “Non ho mai visto nessuno morire di Covid – dice una addetta alle pulizie – e non mi fa paura, al contrario di Ebola”. “La guerra uccide molta più gente del coronavirus” dice un taxista. Uno studente ha risposto di pensare solo a studiare e trovare poi un lavoro. “Abbiamo sentito dire che il Covid-19 uccide tanta gente – spiega un uomo senza lavoro – ma i problemi di gran lunga più gravi qui sono l’insicurezza e la disoccupazione. Non sappiamo nemmeno se domani saremo ancora vivi”.

Nessuna di queste persone ha fretta di vaccinarsi contro il coronavirus, e tante altre come loro. Le tende dell’Oms e dell’Unicef di Goma restano vuote mentre si riempirebbero di persone ansiose di essere vaccinate se scoppiasse una nuova epidemia di Ebola.

“Tantissime persone non hanno capito l’importanza del vaccino – dice un operatore sanitario – è il solo modo per salvare vite umane”. Nel caso del Covid-19 però, a differenza di Ebola e di altre malattie, le vite umane a rischio sono quelle anziane, è dimostrato. Il programma Covax da solo si propone di vaccinare almeno il 20 per cento della popolazione africana entro la fine del 2021. Sarebbe più realistico ed efficace programmare di vaccinare, come si fa in Europa e in altri continenti, la popolazione partendo dagli anziani, stato per stato, e concentrandosi su di loro. Gli africani di 65 anni e oltre sono soltanto 46,7 milioni, circa il 3,5 per cento.

Un tempo, per il rispetto dovuto tradizionalmente agli anziani, e per il potere da essi detenuto sarebbero indubbiamente venuti per primi._