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Africa penalizzata? Per i suoi leader è colpa della geografia

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Mea culpa mancato per i politici africani, che reclamano per il Continente il giusto posto sulle mappe ma glissano sulla propria corruzione. Meglio prendersela con la proiezione di Mercatore.

Esteri 23_09_2025
(AP Photo/Sunday Alamba) Associated Press/LaPresse

La corruzione in Africa è il cancro che ne consuma le risorse, umane e naturali. Agli immensi danni materiali che ne derivano, si aggiungono quelli morali: generazioni di giovani che a ragione diffidano di chi li governa e di tutto ciò che proviene dalle istituzioni governative, privi di una guida, tentati di seguire l’esempio di chi sceglie a sua volta di approfittare del clima generale e di farsi strada nella vita con ogni mezzo e a qualsiasi costo.

In Sierra Leone, il 19 settembre, padre Peter Konteh, presidente dei sacerdoti cattolici, ha denunciato la crescente avidità che regna tra i giovani che per questo «ricorrono a scorciatoie nella ricerca della ricchezza». Lo ha fatto commentando l’omicidio di padre Augustine Amadu, ucciso il 30 agosto probabilmente perché il suo impegno contro la corruzione e l’illegalità gli aveva creato molti nemici. «Questa tragedia – ha detto – ci costringe a riflettere sulle cause profonde della criminalità nella nostra società. Troppi dei nostri giovani cercano una ricchezza facile e senza fatica. Desiderano denaro, ma rifiutano la dignità del lavoro. La nostra terra è ricca, ma sottoutilizzata. Con la giusta guida e il giusto supporto, i nostri giovani possono incanalare le loro energie in attività produttive come l’agricoltura, l’artigianato, l’imprenditorialità, per costruire vite dignitose piuttosto che distruttive».

«Corruzione e malgoverno sono le cause fondamentali dei problemi dei nigeriani – si legge nel comunicato della Conferenza episcopale della Nigeria, diffuso al termine della seconda Assemblea plenaria annuale svoltasi dall’11 al 19 settembre – la corruzione, questo marciume morale, come un cancro mortale si è diffusa senza trovare ostacoli in tutti gli ambiti della nostra vita nazionale, distruggendo in modo aggressivo il tessuto della nazione». «Non possiamo chiudere gli occhi sulla realtà del nostro Paese – ha detto a sua volta il presidente della Conferenza episcopale dell’Angola e di Sao Tomé e Principe, monsignor Manuel Imbamba, aprendo il 17 settembre i lavori della seconda Assemblea plenaria annuale – la nostra povertà non è soltanto materiale. È soprattutto sociale, politica, civile, culturale e spirituale. La mancanza di fiducia nelle istituzioni e il sentimento di disperazione hanno pervaso la vita degli angolani, soprattutto dei giovani».
Monsignor Imbamba inoltre ha aggiunto: «la trasformazione dell’Angola dipende da un impegno reale per la pace e la giustizia e questo richiede una conversione del cuore e dello spirito da parte di tutti, senza eccezioni. Dobbiamo pentirci dei nostri errori dicendo: è per mia colpa, mia grandissima colpa se l’Angola è così com’è».

Ma una ammissione di colpa è proprio quello che chi governa rifiuta di riconoscere. Al contrario, i politici africani cercano sempre nuovi argomenti per attribuire ad altri la responsabilità dei problemi che affliggono i loro Paesi. Lo fanno incolpando gli avversari, le altre tribù e, in questo unanimi e alleati, rappresentando l’Africa come vittima di secolari ingiustizie.
Gli africani – sostengono – non sono ancora riusciti a riprendersi dai danni provocati dall’impatto con l’Europa nel XV secolo, che ha interrotto lo sviluppo di tutto il continente, e dalle sue conseguenze: la tratta transatlantica degli schiavi e la colonizzazione europea. I governi africani, divisi e antagonisti su altre questioni, su questo presentano un fronte unito: i discendenti delle vittime della tratta e i Paesi danneggiati dalla colonizzazione devono essere risarciti e questo richiede una radicale ridefinizione del rapporto economico con l’Occidente. Insieme alla cancellazione del debito estero, il risarcimento dei danni causati dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo europei è stato al centro del 38° vertice dell’Unione Africana svoltosi lo scorso febbraio, durante il quale i 54 Paesi membri hanno scelto come tema dell’UA per il 2025: «Giustizia per gli africani e le persone di discendenza africana attraverso le riparazioni».

È difficile calcolare l’entità dei risarcimenti dovuti, posto che lo siano, lo riconoscono anche i leader africani, ma questo non li ferma. Invece hanno già quantificato l’ammontare, che però aggiornano di anno in anno, di quanto ritengono sia loro dovuto per rimediare ad altri danni: quelli prodotti dal cambiamento climatico di origine antropica – peraltro una congettura non dimostrata – di cui, di nuovo, incolpano l’Occidente, per il modo di produzione e il modello di vita che ha creato e “imposto” al pianeta. L’Unione Africana e i leader africani unanimi, durante il secondo Vertice africano sul clima svoltosi ad Addis Abeba dall’1 al 6 settembre, hanno stabilito che da adesso al 2030 servono di più di tre miliardi di miliardi di dollari e hanno detto che li vogliono principalmente a titolo di dono e non sotto forma di prestiti, per non peggiorare la loro crisi debitoria.

L’Unione Africana di recente, il 14 agosto, ha formalmente fatto propria anche un’altra rivendicazione, quella riguardante le dimensioni del continente africano sulle carte geografiche e sui mappamondi. Per effetto della proiezione di Mercatore, il cartografo olandese del XVI secolo, l’Africa vi compare tuttora piccola rispetto alle sue reali dimensioni. La proiezione di Mercatore, che ha permesso di tracciare rotte di navigazione precise, ha infatti ingigantito i territori vicini ai poli e rimpicciolito quelli attraversati dall’equatore. L’Unione Africana pertanto vuole che governi e organismi internazionali smettano di usare le carte geografiche attuali e le sostituiscano con altre che rendano giustizia al continente. «Può sembrare una mera questione di mappe – ha spiegato la vicepresidente della Commissione dell’Unione Africana, Selma Malika Haddadi – ma non è così, è in gioco la percezione stessa dell’Africa. La proiezione di Mercatore ha alimentato la falsa impressione che il continente sia "marginale", mentre invece è secondo per superficie, ha 54 stati e ci vivono oltre un miliardo di persone». Bisogna restituire all’Africa il suo posto sulle carte e nell’immaginario globale, sostengono da tempo le organizzazioni non governative che si sono prese a cuore la questione. Se un continente viene rappresentato più piccolo, è anche meno importante, meno potente, meno centrale. Questa visione eurocentrica che fa torto agli africani, deve essere corretta… e chissà che non si possa avviare un’altra richiesta di risarcimento di danni.

Quale che sia l’esito delle campagne per il risarcimento dei danni, per i leader africani riuscire a convincere almeno una parte dei connazionali che devono prendersela con l’Occidente e non con loro è già un eccellente risultato.



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