Africa, la nascita di un ceto medio locale
Crescono gli investimenti in Africa, in paesi stabili come il Ghana e non solo. Perché il "continente nero" è in crescita da anni. Con l'aumento del Pil, diventa più numeroso un nuovo ceto medio. Che però è quello che emigra verso l'Europa, perché appartenere alla classe dei nuovi ricchi non è facile come sembra.
“Vadoinafrica”, un networking group che esorta gli italiani a investire in Africa e fornisce servizi per chi decide di farlo, nei giorni scorsi ha pubblicato l’intervista – “Venite a investire in Ghana!” – a un cittadino italiano che vive e lavora in quel paese dal 2014, titolare di una società che assiste i connazionali intenzionati a realizzarvi investimenti produttivi.
La stabilità politica e sociale, si legge nell’intervista, è una garanzia importante, “il paese è assolutamente sicuro sotto tutti i punti di vista”. Il Ghana proprio per questo, prosegue l’intervista, si sta sviluppando a ritmi sostenuti ed è interessante anche come base operativa per tutta l’Africa occidentale: “in soli tre anni ho visto con i miei occhi una crescita incredibile, moltissimi brand internazionali hanno aperto sedi e negozi... per certi versi questo paese è più avanti rispetto all’Italia”.
Un’altra italiana emigrata condivide l’entusiasmo per il Ghana: “c’è spazio per chiunque voglia creare qualcosa da zero in molteplici settori”. Di più. “In tutto il continente – dice – ci sono opportunità appassionanti”. Un articolo pubblicato di recente sulla pagina web di “Vadoinafrica” spiega che “i piccoli imprenditori italiani sono molto apprezzati se hanno una logica dell’investimento e del lungo termine” e che in quell’immenso continente “ogni settore economico è in vorticosa evoluzione”.
I dati economici lo confermano. Negli scorsi decenni l’Africa ha registrato una notevole, costante crescita economica. Il Prodotto interno lordo continentale negli ultimi 20 anni è aumentato in media del 4,4% all’anno. L’incremento minore si è avuto nel 2016: 2,2% soltanto. Ma nel 2017 si prevede una crescita del 2,6%.
La rappresentazione dell’Africa come di un continente popolato da gente povera, disperata, bisognosa di tutto, ad eccezione, in ogni paese, di un pugno di famiglie al potere, potenti e ricche, da molto tempo dunque non corrisponde più alla realtà. È vero che crescita economica non vuol dire sviluppo umano, e la storia dell’Africa lo dimostra. Tuttavia la percentuale delle persone povere è nettamente diminuita, anche se non quanto si sarebbe sperato: dal 50% nel 1981 al 41% circa nel 2015, e continua a scendere. Contemporaneamente il ceto medio, in prevalenza urbano, ha raggiunto dimensioni consistenti. Per la Banca mondiale sono di “ceto medio” gli africani che dispongono di un reddito da 20 a 50 dollari al giorno per persona. Si stima che ormai siano circa 350 milioni, pari a un terzo della popolazione.
Proprio dalla crescita del ceto medio dipende in buona misura l’aumento dei flussi migratori nel continente, anche di quelli illegali. È nelle città, tra le masse urbane, che chi emerge matura il progetto di emigrare, anche clandestinamente. Lo sviluppo economico moltiplica infatti le persone in grado e desiderose di farlo: perché dispongono dei mezzi necessari e perchè aspirano a migliorare ulteriormente la loro condizione, se necessario emigrando.
Inoltre in Africa la condizione di chi vive molto al di sopra della soglia di povertà spesso è assai meno rosea di quanto si potrebbe immaginare. Innanzi tutto il maggiore accesso all’informazione e gli accresciuti contatti con altri stili di vita (ricchi e/o Occidentali) grazie all’educazione, ai mass media e alla pubblicità modificano la concezione della vita, aumentano la propensione al consumo. Che Papa Giovanni Paolo II, durante il viaggio pastorale in Africa del 1995, mettesse gli Africani in guardia dal consumismo aveva lasciato tutti un po’ perplessi. Invece San Giovanni Paolo II si rivolgeva a quel ceto medio nascente che oggi si indebita, spendendo ben oltre il limite delle proprie disponibilità, per acquistare e ostentare beni materiali e simboli di status: abiti, apparecchi televisi, telefoni cellulari, automobili eccessivamente costosi, e inoltre viaggi, feste e cerimonie dispendiose.
Per di più ogni persona, ogni famiglia che raggiunge il benessere o quanto meno la sicurezza economica si trova letteralmente assediata da famigliari e amici meno fortunati che si aspettano, e pretendono, aiuto. Negarlo non è facile sia perchè spesso il bisogno è reale sia perchè, anche quando il denaro richiesto serve per spese del tutto superflue, si teme, rifiutando, l’ostracismo sociale e la vendetta dei parenti delusi. Una parte cospicua delle entrate viene impiegata in questo modo e allora poco rimane a disposizione del parente ricco.
Un ulteriore fattore di disagio e di ansia è il sistema clientelare su base tribale in contesti di corruzione dilagante. Il posto di lavoro sicuro e ben retribuito in un ente pubblico o in una impresa privata, la buona clientela di una attività – un negozio, una officina, un distributore di benzina... – dipendono in parte, e a volte del tutto, dal fatto di appartenere al clan del sindaco, alle tribù dei parlamentari in carica e del governo al potere. Perdere le elezioni può voler dire perdere il lavoro, veder fallire la propria impresa mentre altri approfittano della situazione.
Sono le ragioni per cui l’economista kenyana esperta in sviluppo Anzetse Were preferisce chiamare il ceto medio “elite povera”.