Afghanistan, la prima tregua ufficiale del lungo conflitto
Dopo quasi diciannove anni di guerra in Afghanistan, è iniziata questo fine settimana la prima tregua ufficiale. Si tratta in ogni caso di una tregua parziale, che prevede un rallentamento delle ostilità e non un cessate-il-fuoco totale. Ma è segno che le trattative procedono. Il problema è che lo stesso governo di Kabul è diviso e in crisi.
E’ in vigore dalla mezzanotte del 21 febbraio la prima tregua ufficiale nella storia del conflitto afghano iniziato dopo gli attacchi terroristici contri gli Stati Uniti l’11 settembre 2001.tra Talebani e forze governative
In realtà si tratta solo di una tregua parziale (cioè in cui le ostilità non cesseranno ma si ridurranno) e della durata di una sola settimana, come ha ufficializzato il Consiglio per la sicurezza nazionale afghano, ma in molti sperano possa costituire un punto di partenza per giungere a un cessate il fuoco stabile e al pieno inserimento dei Talebani tra le forze politiche “legittime” afghane. Un obiettivo prioritario per Washington che preme per ritirare i suoi ultimi 13mila militari schierati nel paese centro-asiatico, un po’ meno per il governo di Kabul che di questa tregua ha solo preso atto non essendo stato coinvolto nei negoziati tenutisi a Doha, in Qatar, a cui hanno partecipato solo statunitensi e Talebani.
L’intesa, confermata da tre esponenti della guerriglia islamica, è stata infatti raggiunta dagli Stati Uniti e dai Talebani come precondizione per la firma di un accordo di pace tra le due parti e l’avvio di futuri negoziati tra gli attori afghani impegnati nel conflitto. Finora i talebani si sono sempre rifiutati di trattare con le autorità di Kabul, ritenendole delle “marionette” degli Usa. Nei prossimi giorni i Talebani dovrebbero “ridurre” il ricorso alla violenza, senza lanciare attacchi nei centri abitati, contro le basi Usa, delle altre forze internazionali (Nato) e contro quelle delle forze governative afghane.
Anche le principali strade del Paese e soprattutto la Ring Road che attraversa in cerchio l’intero paese, dovrebbero essere risparmiate da imboscate e ordigni esplosivi. Allo stesso tempo, i militari americani, i loro alleati della coalizione e le truppe afghane dovranno astenersi dal condurre offensive contro i miliziani limitandosi all’autodifesa se attaccati. La missione delle Nazioni Unite nel Paese (UNAMA) ha reso noto ieri che sono oltre 10.000 i civili uccisi o rimasti feriti nel 2019 in seguito alla guerra in Afghanistan. Secondo l’Onu il conflitto ha causato l’anno scorso la morte di 3.404 civili, mentre altri 6.989 sono rimasti feriti, per un totale di 10.393persone. Si tratta di un calo del 5% rispetto al bilancio del 2018, ma il 2019 è stato comunque il sesto anno consecutivo in cui i morti ed i feriti hanno superato la soglia delle 10.000 unità mentre i soli morti dell’intera guerra dal 2001 a oggi sono quasi 150mila di cui circa un terzo civili.
La tregua in vigore da sabato non coinvolge le altre formazioni jihadiste presenti in Afghanistan quali al-Qaeda o lo Stato Islamico del Korashan (ramo afghano dell’IS) e i Talebani pakistani. Il governo afghano ha però smentito l’annuncio fatto dai Talebani che uno scambio di prigionieri avverrà prima dell’inizio di trattative di pace.
In passato ogni tentativo di giungere a una tregua era fallito e un precedente negoziato tra Washington e i talebani, iniziato in Qatar nel 2018, è fallito lo scorso settembre quando sembrava sul punto di dare frutti positivi. Il processo di pace, che dovrebbe concludersi con il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, impegna i Talebani a tagliare i legami con le altre organizzazioni jihadiste, a deporre le armi e a partecipare alla vita politica del Paese. "Ora è giunto il momento per i leader politici dell'Afghanistan di riunirsi a sostegno del processo di pace. Sono necessari calma, dialogo e compromesso, non azioni unilaterali. Questa opportunità per la pace non dovrebbe essere sprecata" recita un tweet apparso sull'account ufficiale della missione Nato in Afghanistan (Operazione Resolute Support) che schiera 16 mila militari di cui la metà statunitensi e gli altri appartenenti a una ventina di paesi alleati incluso 1.300 tedeschi (Berlino ha appena rinnovato il mandato della missione fino al febbraio 2021), 1.100 britannici e 800 italiani impegnati nell’addestramento e sostegno alle forze di Kabul.
Altri 5mila militari statunitensi operano invece in Afghanistan nell’ambito dell’operazione di combattimento Freedom Sentinel, esclusivamente americana. “Accolgo con favore l’annuncio di oggi che è stata raggiunta un’intesa su una significativa riduzione della violenza in Afghanistan” ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, precisando che “questo è un test critico della volontà e della capacità dei talebani di ridurre la violenza e contribuire alla pace in buona fede. Ciò potrebbe spianare la strada a negoziati tra afghani, pace sostenibile e garantire che il paese non sia mai più un rifugio sicuro per i terroristi”.
La tenuta della tregua parziale è però minacciata non solo dalla sa precarietà e dall’inaffidabilità dei Talebani e dalla anche dall’instabile quadro politico emerso dopo la conferma alla presidenza di Ashraf Ghani, proclamato ufficialmente vincitore (cinque mesi dopo il voto del 28 settembre 2019) per un secondo mandato con il 50,64% dei suffragi. Ma il suo rivale, Abdullah Abdullah, non ci sta, e si è proclamato vero vincitore, accusando Ghani di essere un “frodatore” e annunciando la formazione di un “governo parallelo”. Si ripete così lo stesso copione che dopo le presidenziali del 2014 impose agli Stati Uniti di mediare tra i due rivali. Anche allora Abdullah, perdente alle urne, scatenò proteste a Kabul risoltesi con un accordo per un governo “condiviso”. Anche i talebani si sono espressi contro Ghani, definendo chiamando la sua vittoria “illegittima”.