Afghanistan, la guerra che non si può vincere
Il Washington Post è entrato in possesso di 2000 pagine di documenti finora segreti sulla guerra in Afghanistan, la più lunga della storia americana. Ne emerge un quadro desolante: i vertici militari e civili non hanno mai voluto dire in pubblico che la guerra, a loro avviso, non può essere vinta. Ne verrà favorita la tendenza isolazionista
Tre amministrazioni e i vertici militari statunitensi avrebbero nascosto la verità sul conflitto afghano per quasi 20 anni, riferendo di progressi nella guerra in realtà inesistenti ma alimentando una propaganda che ha permesso agli Usa di continuare a mantenere truppe nel Paese asiatico, ma senza reali prospettive di vittoria.
Lo ha rivelato il Washington Post, entrato in possesso grazie al Freedom Of Information Act di documenti riservati quali un rapporto di duemila pagine in cui figurano le analisi mai rese pubbliche di 400 funzionari, generali e diplomatici impegnati in Afghanistan di cui il governo ha cercato di proteggere l'identità. Il Washington Post è riuscito a ottenere il documento integrale al termine di una battaglia legale durata tre anni. "Eravamo privi delle conoscenze basiche sull'Afghanistan" - ammise nel 2015 il generale Douglas Lute, che tra il 2004 e il 2006 ricoprì l’incarico di direttore delle operazioni presso il Central Command, responsabile dei conflitti in Iraq e Afghanistan. Successivamente e fino al 2010, Lute venne nominato vice Consigliere per la sicurezza nazionale con le Amministrazioni Bush e Obama. “Non sapevamo cosa stavamo facendo, non ne avevamo la minima idea" aggiunse ricordando le circa 2.400 perdite umane subite dalle forze statunitensi.
Lute puntò il dito contro Congresso, Pentagono e Dipartimento di Stato: "Chi dirà che questa guerra è stata vana?". Dal 2001, all' indomani della strage dell'11 settembre, 775mila soldati americani sono stati impiegati in Afghanistan. 2440 sono morti (a oggi) e 20.598 sono rimasti feriti ma se si considerano anche le truppe alleate, per lo più europee, i caduti salgono a 3.584 e i feriti a oltre 30mila. Nelle relazioni scritte i presidenti George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump, nonchè i comandanti a Kabul, abbiano fallito nel conseguire la vittoria nel conflitto più lungo della storia statunitense. "Abbiamo speso mille miliardi" - disse in una intervista Jeffrey Eggers, un veterano dei Navy Seal e ex membro degli staff di Bush e Obama. “Dopo aver ucciso Bin Laden, dissi che Osama nella sua tomba in fondo al mare probabilmente se la rideva a sapere quanti soldi avevamo speso in Afghanistan".
I documenti sembrano smentire le dichiarazioni ufficiali che annunciavano progressi nel conflitto. Molti intervistati hanno ammesso che era norma manipolare le statistiche in modo da dare l'impressione che gli americani stavano vincendo. "Ogni dato veniva migliorato - ammise il colonnello Bob Crowley – tutto doveva apparire giusto, per tutelare la nostra immagine”. Per il diplomatico James Dobbins “in Afghanistan abbiamo chiaramente fallito" nel tentativo di pacificare il paese. Nel rapporto appare anche il segretario alla Difesa della presidenza Bush, Donald Rumsfeld, che ammise come, nonostante le dichiarazioni ufficiali improntate all' ottimismo, “non lasceremo mai l'Afghanistan a meno che si trovi qualcosa che garantisca stabilità e renda necessaria la nostra partenza". Una valutazione datata 17 aprile 2002, appena sei mesi dopo l'inizio della guerra e in un’epoca in cui i Talebani sembravano sconfitti.
Secondo il Washington Post i documenti “assomigliano molto ai famosi Pentagon Papers sulla storia segreta della guerra del Vietnam. Di certo lo “scoop” favorirà la voglia di ritiro sostenuta da Donald Trump che da tempo cerca un accordo di massima coi Talebani (i negoziati bilaterali sono ripresi nei giorni scorsi in Qatar) per poter ritirare gli ultimi 14mila militari americani ancora schierati in Afghanistan. In termini militari però non ha molto senso enfatizzare la sconfitta sottolineando le perdite subite da statunitensi e alleati, irrisorie se parliamo di guerra, soprattutto se paragonate ai 55mila caduti in 13 anni di guerra in Vietnam, o i 50mila morti in tre anni di guerra in Corea, o per restare in Afghanistan e ai tempi nostri, se paragonate alle perdite subite dalle truppe di Kabul che ogni anno lasciano sul terreno dai 5 ai 6mila caduti. Infine, quanto alla propaganda, è quasi superfluo sottolineare che in tutti i conflitti il “fronte interno” viene nutrito con informazioni positive, anche costruite ad hoc, con l’obiettivo di mantenere a un livello accettabile il supporto dell’opinione pubblica al conflitto.
Nel caso afghano, che non fa certo eccezione a questa regola, la “madre di tutte le fake news” venne propagandata non per giustificare la guerra ma bensì per rendere accettabile il ritiro delle forze da combattimento voluto da Obama, (in cerca di un secondo mandato presidenziale, proprio come Trump oggi) tra il 2011 e il 2014. Per anni, tutti i paesi Nato, non solo gli Usa, raccontarono che le truppe afghane erano state addestrate così bene da poter gestire da sole la guerra ai Talebani. La realtà è oggi sotto gli occhi di tutti.