Afghanistan, Biden si giustifica e non ammette alcun errore
Con un discorso franco e dai toni duri, quasi alla Trump, il presidente Joe Biden ha spiegato le ragioni della ritirata dall’Afghanistan. Non ammette alcun errore. Rifarebbe tutto. Eppure non riesce a spiegare il senso di una ritirata così precipitosa, senza exit strategy, che si lascia alle spalle una catastrofe umanitaria.
Con un discorso franco e dai toni duri, quasi alla Trump, il presidente Joe Biden ha spiegato le ragioni della ritirata dall’Afghanistan, con tutto quel che ne è seguito: la caduta di tutto il Paese, compresa la capitale Kabul, nelle mani dei Talebani, dopo 20 anni di dura guerriglia. Quelle che vediamo in televisione sono scene che ricordano, sinistramente, la fine della guerra nel Vietnam, nel 1975, con tanto di evacuazione del personale dell'ambasciata via elicottero. Allora toccò al corpo diplomatico di Saigon, oggi a quello di Kabul. Ma Biden, che si ritrova fra capo e collo con una sconfitta da gestire nel suo primo anno di mandato, non sembra neppure preoccuparsene. Ieri è apparso deciso a giustificare tutto quel che ha fatto.
Dopo due giorni di silenzio, il presidente ha interrotto le sue vacanze a Camp David e si è presentato in conferenza stampa affermando di non essersi pentito di nulla. Rifarebbe tutto. Rimprovera il governo Ghani e i comandi afgani, elencando tutto quel che gli aveva fornito: l’addestramento di 300mila uomini (un esercito più grande, sulla carta, di quasi tutti gli alleati europei della Nato), equipaggiamento moderno, un’aviazione nuova (e i Talebani non hanno mai avuto una loro aviazione), ma non è servito a nulla, considerando che in poche settimane tutto questo apparato si è squagliato come neve al sole. Biden ricorda che la guerra iniziò come risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001, come una missione anti-terrorismo, non nation building e neppure anti-insorgenza. Gli obiettivi della missione anti-terrorismo, scacciare Al Qaeda, uccidere bin Laden, impedire che l’Afghanistan tornasse ad essere una base di attacco contro gli Usa, secondo Biden, sono stati tutti conseguiti più di un decennio fa. Quindi non aveva più senso restare e perdere vite americane per un altro decennio. Il terrorismo è mutato e si è trasferito altrove (Biden cita soprattutto al-Shabaab in Somalia, Al Qaeda nella Penisola Arabica e il tentativo di ricostituire l’Isis in Iraq) e sarà in questi nuovi teatri di conflitto che le forze statunitensi si concentreranno, con azioni mirate. Mentre l’Afghanistan, per Biden, è ormai una guerra del passato.
Sottolineando l’importanza dell’accordo di Doha, fra l’amministrazione Trump e i rappresentanti dei Talebani, Biden ricorda come vi fosse già un calendario per il ritiro, da completare entro il 1 maggio scorso. Dopo il 1 maggio, in assenza di ogni altro accordo, la sua amministrazione si sarebbe trovata di fronte a due sole scelte: o tornare in forze in Afghanistan per combattere l’offensiva talebana di primavera, oppure completare il ritiro. Ha scelto questa seconda strada, affermando che restare altri mesi, o anche altri anni, non avrebbe fatto la differenza: non si può restare in eterno al fianco di un esercito che non vuole combattere per la sua stessa terra. Da parte afgana non c’era una mancanza di mezzi, ma una mancanza di volontà.
E i diritti umani? Per il presidente democratico, sono “al centro della nostra politica”, non un capitolo marginale. Ma allora come si spiega l’abbandono di donne, oppositori, attivisti, minoranze etniche e religiose nelle mani di un regime jihadista che già conosciamo per la sua brutalità estrema? Quegli afgani che fuggono all’aeroporto di Kabul, si aggrappano disperatamente ad ogni aereo a costo di morirci (almeno 7 sono caduti, provando a fuggire)? Il presidente se la cava affermando che “non è attraverso interventi militari infiniti” che si difendono i diritti umani, ma “con la diplomazia e con gli strumenti economici”.
Fin qui la versione di Biden. Ma non ha veramente nulla da rimproverarsi? Pare proprio di no: tutto perfetto, sia le sue decisioni che quelle del suo predecessore democratico Obama, che non viene neppure citato. Le responsabilità sono solo di Trump (per l’accordo di Doha) e soprattutto per il governo Ghani, incapace di difendersi senza assistenza occidentale.
Eppure: la ritirata è stata gestita senza alcuna “exit strategy”, frettolosamente, nottetempo e lasciando a terra i collaboratori afgani, che ora rimangono in balia dei Talebani. Finora la narrazione delle amministrazioni favorevoli al ritiro, inclusa quella di Biden, si basava sulla convinzione che l’esercito afgano fosse ormai pronto a difendersi da solo e dunque non avesse più bisogno del "tutore" occidentale. Ora, a sentir Biden, pare che l’amministrazione abbia sempre saputo che le forze regolari afgane non avevano mai avuto l'intenzione di difendersi e dunque, restare in Afghanistan, era tempo sprecato. Biden, ieri, non ha spiegato la contraddizione plateale fra quel che lui stesso ci diceva fino a un mese fa e quel che invece ci dice ora.
Obama, che aveva promesso, nel 2011, di far tornare a casa tutto il contingente entro il 2014, decise poi di rimanere, pur con truppe ridotte, per evitare una sconfitta. Perché se i Talebani, dopo aver combattuto contro gli americani, al ritiro di questi ultimi conquistano il Paese, si chiama sconfitta. Non disimpegno, non ritiro, ma proprio: sconfitta. Lo stesso cambio di programma caratterizzò anche l’amministrazione Trump: aveva promesso di ritirare tutto, già dalla sua campagna elettorale del 2016, ma aveva dovuto rinviare il disimpegno fino alla fine del suo mandato, per evitare la sconfitta, pur riducendo il contingente al minimo indispensabile per puntellare le forze regolari afgane. Biden, invece, forse senza neppure rendersene conto, oppure perché, come ha ribadito ieri, “l’Afghanistan non rientra negli interessi nazionali americani” (dopo 20 anni di guerra!), ha accettato di subire una sconfitta, in mondovisione, pur di far tornare a casa i suoi uomini.
Una ritirata così precipitosa si spiega solo con un grave errore di intelligence. L’amministrazione americana, evidentemente, non conosceva il reale rapporto di forze sul terreno. Biden ammette di essere stato colto di sorpresa dalla velocità della vittoria talebana. Quel che non ammette, tuttavia, è che fino a un mese fa era convinto che l’esercito afgano, anche da solo, fosse in grado di resistere all’offensiva talebana. I rapporti più pessimistici ritenevano possibile la caduta di Kabul in tre mesi ed erano comunque ritenuti molto poco realistici. Biden stesso, l’8 luglio dichiarava che una presa del potere dei Talebani fosse “altamente improbabile”. E che Kabul non sarebbe diventata la nuova Saigon, che “No, non vedremo le persone evacuate dal tetto di un’ambasciata Usa”. E invece è esattamente quello che è successo, per di più (oltre al danno la beffa) anche con lo stesso tipo di elicottero reso celebre nelle foto dell’evacuazione di Saigon, un bimotore Chinook.