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L'IO E LA CRISI DELLA MODERNITA'/6

Affermazione del materialismo: da Montaigne a Zola

Posizioni di stampo materialistico hanno accompagnato tutta la storia dell’umanità. I positivisti dall’altare hanno tolto il Mistero che si è fatto carne per porvi il frutto delle mani dell’uomo, la scienza. Senza un dio l’uomo non riesce a stare, così si costruisce idoli materiali.

Cultura 06_11_2016
Montaigne

Posizioni di stampo materialistico hanno accompagnato tutta la storia dell’umanità. Nell’antichità, però, lo scrittore latino Lucrezio (98 a. C.- 55 a. C) e i filosofi greci Democrito (460 a. C. – 360 a. C.) e Epicuro (341 a. C.- 271 a. C.) sono delle eccezioni nel panorama filosofico e letterario, rappresentando una netta minoranza. Nell’epoca moderna il materialismo diventa, però, dominante, anche se non viene sempre teorizzato esplicitamente. 

Nel Cinquecento, nei Saggi, lo scrittore e filosofo francese Montaigne (1533-1592) apre la strada alla demistificazione della centralità dell’uomo nell’universo. Tra uomo e bestia non ci sarebbe altra differenza che il primo vuole prevalere e sopraffare l’altra. Non è una differenza sostanziale dovuta alla presenza dell’anima nell’uomo. L’uomo è come le api, ma peggio di tutti gli animali nell’uso della violenza, nel tradimento, in molti vizi che compaiono solo in lui. Dunque, «chi lo ha convinto che questo meraviglioso movimento della volta celeste, la luce eterna di queste fiaccole rotanti così vivacemente sul suo capo, i movimenti spaventosi di questo mare infinito, siano predestinati e continuino per tanti secoli per la sua utilità e per suo servizio? È possibile immaginare niente di così ridicolo che questa miserabile e debole creatura, la quale non è neppure padrona di sé, esposta alle ingiurie di tutte le cose, si dica padrona e dominatrice dell’universo?».

Subito dopo Montaigne si chiede per quale ragione l’uomo si creda l’unico in grado di cogliere e capire la bellezza del creato. Lo scrittore ha poco prima affermato di non mettere in dubbio il Cristianesimo, in realtà lo accetta solo nella sua forma astratta e disincarnata e dubita di quanto è scritto nell’Antico Testamento (basti pensare al libro della Genesi) e nel Nuovo Testamento. Infatti Montaigne si chiede più volte dove stia scritto che l’uomo valga più delle altre creature dimenticandosi, invece, quanto Gesù stesso ha detto: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?  E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli dei campi: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi,  gente di poca fede?».

Ancora Montaigne si domanda: «Poveretto, che cosa ha l’uomo che sia degno di una tale superiorità?». La presunzione umana si manifesta in tante forme. Montaigne scrive: «Quando io mi diverto con la mia gatta, chi sa se essa passa il suo tempo con me più che io non faccia con lei». Oppure, ancora, pensa che la difficoltà di comunicazione dell’uomo con le bestie non sia dovuta probabilmente ad esse, ma all’uomo. Scrive ancora:

«Constatiamo a sufficienza nella maggior parte delle loro opere quanta superiorità hanno gli animali su noi e quanto la nostra arte è debole ad imitarli». L’uomo comunica con i cani, come i cani comunicano con noi. Si tratta di due forme di comunicazione distinte. «Con altro linguaggio, con altri appellativi noi comunichiamo con essi che non con gli uccelli, coi porci, i buoi, i cavalli, e mutiamo di linguaggio secondo la specie». Il discorso di Montaigne, argomentato con situazioni ed esemplificazioni che a lui paiono inconfutabili, approda ad una conclusione: «Noi non siamo né al disopra né al disotto del resto; tutto quello che è sotto il Cielo […] è sottoposto ad una legge e ad una sorte uguale. […] Non c’è alcuna ragione di pensare che le bestie facciano per istinto naturale ed imposto le stesse cose che noi facciamo di nostra volontà ed ingegno. Da uguali risultati dobbiamo trarre uguali facoltà, e confessare per conseguenza che quello stesso ragionamento, quella stessa strada che noi prendiamo per agire è anche quella degli animali». Che differenza c’è, dunque, tra l’uomo e i ragni, i maiali e le api? Nessuna, se non per il fatto che «non c’è animale al mondo capace di tante offese quanto l’uomo».

Queste sono le premesse per quanto avverrà due secoli più tardi, quando, in pieno Illuminismo e ancora in terra di Francia, la corrente materialistica troverà un fertile terreno per la crescita e la diffusione.

Nel saggio L’uomo macchina (1747) il medico Julien Offray de La Mettrie (1709-1751) descrive l’uomo come un automa, dominato soltanto dalla dimensione fisica perché «l’anima non è che un termine inutile». L’uomo sarebbe, quindi, un congegno di ingranaggi i cui meccanismi andrebbero oleati perché la macchina funzioni nel modo migliore. La felicità dell’individuo è, dunque, ridotta alla soddisfazione dei piaceri dei singoli ingranaggi. La morale umana è dominata dall’egoismo e dal libertinaggio. Il marchese de Sade (1740-1814) è l’incarnazione più limpida ed estrema di questo tipo di pensiero. Il suo stesso nome diventerà per antonomasia l’espressione del sadismo, ovvero della violenza umana perpetrata su un altro essere umano per ricavarne piacere: compiere il male per ricavare una fittizia soddisfazione personale è un chiaro ribaltamento dell’azione divina che compie il bene e dona l’amore per far partecipare l’uomo della pienezza di Dio.

L’economista inglese Thomas Malthus (1766-1834) sostiene il controllo della crescita della popolazione, perché ben presto le risorse e la produzione non saranno più sufficienti a coprire il bisogno alimentare di tutti. La sua teoria è basata sulla convinzione che la popolazione cresce più velocemente della produzione agricola, perché aumenta in maniera geometrica, mentre la seconda in maniera aritmetica. Malthus si dimentica, come avrà modo di sottolineare più tardi il filosofo americano Ralph Emerson (1803-1882), che l’uomo possiede un’intelligenza e un ingegno che gli permettono di far fronte alle difficoltà e ai bisogni. In poche parole, nella sua analisi economica Malthus non ha considerato il fattore «mente umana» e la sua capacità di introdurre nuove invenzioni che sopperiscano  alle carenze. Le considerazioni ottimistiche di Emerson non devono certo indurre a credere che l’uomo possa sfruttare la Terra e le sue risorse senza rispetto e cura della natura.

Nonostante la storia (i due secoli che seguirono le teorie di Malthus) abbia confutato la validità delle sue teorie, il Neomalthusianesimo è negli ultimi decenni molto presente nei dibattiti culturali e politici, spesso utilizzato per avallare la politica di controllo delle nascite o la pratica dell’aborto, per corroborare la tesi di quanti vedono nel progresso occidentale soltanto un male e nella cultura cristiano - cattolica un retaggio ancestrale da rifiutare come pura superstizione. Così, oggi, il Neomalthusianesimo appartiene ad un’ideologia più ampia che potremmo definire ecologista-catastrofista e che identifica nell’uomo non la creatura più alta in Terra creata da Dio a sua immagine e somiglianza (come sostiene la Bibbia), ma il colpevole della devastazione della Natura idolatrata come nuova divinità, retaggio questo del paganesimo antico che venerava gli aspetti naturali come divinità. L’anticristianesimo si nasconde sotto nomi diversi e si ammanta di valori che hanno la pretesa di diventare assoluti. 

Figlio della cultura illuministica settecentesca è nel secolo successivo l’insegnamento positivista che pretende di ammettere soltanto ciò che è conoscibile attraverso il metodo scientifico. Il Positivismo riconosce statuto di esistenza soltanto alle cause materiali e fisiologiche, depriva di una loro dignità anche i sentimenti umani più grandi come l’amore ritenuto una mera conseguenza di reazioni ormonali ancora sconosciute all’epoca, ma che saranno ben presto conosciute, svaluta il fattore della libertà nel comportamento umano, determinato, invece, da ambiente sociale, famiglia di appartenenza e malattie del soggetto.

Un giorno, per i positivisti, l’ignoto sarà azzerato e l’uomo potrà avventurarsi in un mondo di cui nulla più sfugge alla ragione e alla conoscenza umana. Possiamo anche dire che si potrà dimostrare che il Mistero non esiste. Sarà l’uomo con la sua intelligenza e con il suo progresso a dimostrare che non esiste una sorgente misteriosa del reale. L’uomo decreterà, quindi, la morte di Dio. Siamo a metà del diciannovesimo secolo. Nietzsche è alle porte con il suo «Dio è morto!». I positivisti dall’altare hanno tolto il Mistero che si è fatto carne per porvi il frutto delle mani dell’uomo, la scienza. Senza un dio l’uomo non riesce a stare, così si costruisce idoli materiali.