Affaire Consip, i titoli di coda del renzismo
L'inchiesta Consip coinvolge il padre di Renzi e tutto il suo "giglio magico", fra cui il ministro Lotti. Fra richieste di dimissioni da parte dei grillini e l'imbarazzo dei dem, la vicenda potrebbe segnare la fine del renzismo. L'ex premier, che aveva promesso il ritiro dalla politica in caso di sconfitta al referendum, cerca di restare a galla.
L’inchiesta Consip, che ha portato all’arresto per corruzione dell’immobiliarista Alfredo Romeo e che vede coinvolto, tra gli altri, Tiziano Renzi, padre dell’ex premier, potrebbe provocare seri scossoni sul governo e sugli equilibri politici nazionali.
Ieri a Roma si è svolto l’interrogatorio del padre di Renzi, mentre a Firenze è stato ascoltato Carlo Russo, imprenditore farmaceutico di Scandicci. Renzi senior nella Capitale ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Paolo Ielo e della pm della procura di Napoli Celeste Carrano. Russo a Firenze ha deposto davanti al pm di Napoli Henry John Woodcock e al pm romano Mario Palazzi.
Secondo i magistrati delle due procure, i due avrebbero operato come veri e propri mediatori con l’intento di favorire Romeo nell’assegnazione dell’appalto “Facility Management 4” del valore di 2,7 miliardi di euro. Nelle ultime ore è circolata perfino la voce di un possibile arresto di Tiziano Renzi per concussione, dal momento che l'ex amministratore delegato Consip, Luigi Marroni, ha denunciato pressioni da parte del padre dell’ex premier e di Denis Verdini. Non bastasse questo, nei giorni scorsi è arrivata anche la sentenza di primo grado del tribunale di Firenze, che ha condannato il leader di Ala a nove anni di carcere per bancarotta e truffa ai danni dello Stato nell’ambito dell’inchiesta per il crac del Credito cooperativo fiorentino. Sembra, dunque, una tempesta mediatico-giudiziaria perfetta quella che si sta abbattendo sull’ex premier e sul suo cosiddetto “giglio magico”. Anche il ministro Luca Lotti, persona vicinissima a Renzi, è infatti coinvolto nell’inchiesta e ieri Gianni Cuperlo, esponente Pd, gli ha perfino chiesto di fare un passo indietro. Senza contare che i grillini hanno già preso la palla al balzo, preannunciando una mozione di sfiducia nei suoi confronti, che potrebbe essere votata anche da parte del centrodestra.
Al di là di come evolverà la vicenda processuale, l’incognita riguarda i riflessi che essa avrà fin da subito sul renzismo. L’ex premier attualmente non ha incarichi, essendosi dimesso anche dalla segreteria Pd, ma è in piena campagna elettorale in vista del congresso del suo partito e di una agognata ricandidatura a Palazzo Chigi.
I dem guardano con imbarazzo alla vicenda, anche perché Renzi aveva promesso di abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre e invece sta tentando in tutti i modi di restare a galla e di riproporsi. Senza contare che in casi giudiziari analoghi a quello che sta vivendo suo padre, in particolare quello dell’allora Ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, coinvolto nel caso Ligresti, fu proprio Renzi a chiedere apertamente le dimissioni del Guardasigilli.
La vicenda Consip presenta, indubbiamente, contorni ancora molto nebulosi. E’ possibile che qualcuno avesse avvisato le persone coinvolte prima che venissero colte in flagrante ed è per questo che ci sono solo pizzini e non prove schiaccianti a carico dei soggetti sospettati e indagati. Tuttavia, al di là delle possibili pressioni per favorire le imprese di Romeo in quell’appalto, rimane il torbido che circonda le possibili soffiate fatte addirittura da vertici delle Forze dell’Ordine e da ambienti governativi per preservare i presunti colpevoli.
L’ex premier continua il tour in giro per l’Italia a caccia di consensi perché il suo obiettivo è anzitutto quello di stravincere la battaglia interna al suo partito, tanto più dopo la scissione dei bersaniani e di altri dissidenti. Deve però fare i conti con un’altra tegola, che rischia di rovinargli ulteriormente i piani di rivincita: quella delle tessere di partito regalate in un circolo napoletano. Già in anni passati la piazza partenopea si era segnalata per brogli durante le primarie, e non era stata la sola. Quattro giorni fa l’ennesima imbarazzante vicenda di irregolarità nel tesseramento, tanto che in fretta e furia i vertici Pd hanno spedito il deputato Emanuele Fiano in terra campana per tentare di placare le tensioni.
Una parte di classe dirigente dem suggerisce a Renzi meno spavalderia e maggiore prudenza e, a quanto è dato sapere, il Ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, gli avrebbe perfino consigliato di far slittare i tempi del congresso, visto che la battaglia contro i suoi sfidanti Andrea Orlando e Michele Emiliano potrebbe risultare alterata e avvelenata da questi scandali.
E’ vero che esiste la presunzione di innocenza e che il circo mediatico-giudiziario detta da tempo l’agenda politica del nostro Paese. Tuttavia, se chi aveva preannunciato rottamazioni e rinnovamento si trova ora a dover fronteggiare così pesanti accuse e a dover fugare così ingombranti sospetti, è quanto meno lecito dubitare della sincerità della sua ispirazione e dell’onestà delle sue condotte e di quelle di chi gli sta attorno.