Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
SHARIA

Adultera condannata alla lapidazione. In Sudan è legge

Una donna in Sudan è stata condannata alla lapidazione, dopo un processo in cui non ha nemmeno potuto difendersi. La legge in Sudan lo prevede ancora, nonostante le promesse di riforma di Bashir (mai attuate in un trentennio di dittatura) e della giunta militare che ha preso il potere nell'ultimo anno. Corsa contro il tempo per salvarla.

Esteri 31_10_2022
Sudan, musulmani in preghiera

Una donna in Sudan è stata condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio. Si chiama Maryam Alsyed Tiyrab, ha 20 anni. A denunciarla nel 2021 è stato il marito dal quale all’epoca era separata da un anno. La sentenza di morte è stata emessa a giugno senza che l’imputata fosse rappresentata da un avvocato. Si ha motivo di ritenere che non fosse nemmeno esattamente a conoscenza delle accuse contro di lei e che la polizia l’abbia indotta con la forza a dichiararsi colpevole.  

In Sudan le ultime condanne alla lapidazione per adulterio di cui si ha notizia risalgono al 2012. Erano state pronunciate, a distanza di pochi mesi una dall’altra, contro due giovani donne. In entrambi i casi in appello l’esecuzione era stata sospesa ed erano state rilasciate. A salvarle, come alcune donne giudicate adultere prima di loro, avevano contribuito le campagne lanciate dalla Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (Siha), da Amnesty International e da altre associazioni. Prima e dopo il 2012, tuttavia, è possibile che siano state pronunciate altre sentenze di condanna alla lapidazione. “Le associazioni che difendono i diritti umani e le donne, in Sudan hanno pochissime risorse – sostiene il direttore regionale della Siha, Hala Al-Karib – possono esserci addirittura centinaia di casi di cui non siamo a conoscenza”.  Anche per Maryam quindi c’è bisogno che la comunità internazionale si attivi ed eserciti la sua influenza sul governo sudanese. Qualcosa si sta già muovendo. La Fidh, Federazione internazionale dei diritti umani, che raggruppa 164 organizzazioni in 100 paesi, e la Ong Avaaz hanno avviato iniziative di sostegno, tra cui la raccolta di firme per gli appelli rivolti alle autorità sudanesi affinché intervengano.    

Adesso si è in attesa dell’esito del ricorso presentato dall’avvocato che finalmente assiste Maryam. C’è ragione di sperare. Tuttavia la decisione della corte d’appello non è affatto scontata. “Temiamo che possa confermare la condanna – dice Hala Al-Karib – agli occhi del mondo la lapidazione può sembrare una sentenza sconvolgente, ma non lo è per noi”.

Gli attivisti della Siha non sono sconvolti, o quanto meno sorpresi, da una condanna alla lapidazione perché sanno che l’adulterio fa parte dei crimini soggetti a sanzioni hudud. Si tratta di pene che non possono essere modificate dai giudici perché sono state prescritte da Allah, nel Corano che è parola di Dio increata, o dal profeta Maometto secondo quanto indicato nella Sunna che raccoglie gli hadit, i racconti di ciò che il Profeta, ritenuto infallibile, ha fatto, detto e tacitamente approvato nel corso della sua vita. I crimini hudud sono sette: apostasia, rivolta contro chi governa, furto, rapina, adulterio, calunnia e uso di bevande alcoliche. Per tutti sono comminate punizioni fisiche: ad esempio, il taglio della mano destra per il furto, della mano destra e del piede sinistro per la rapina, la pena capitale per l’apostasia.

La maggior parte delle comunità islamiche ha rinunciato alle sentenze hudud, anche se prescritte da Allah e Maometto. Ma i musulmani integralisti, per i quali Corano e Sunna vanno rispettati rigorosamente, senza eccezioni, le conservano. I gruppi jihadisti le impongono nei territori su cui esercitano il controllo, come il sud della Somalia e il nord della Nigeria.

La lapidazione per punire l’adulterio è ancora prevista dalle leggi di alcuni stati tra i quali l’ Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Afghanistan, dopo che nel 2021 i talebani hanno conquistato il potere, l’Iran, dove era stata abolita nel 2012 e reintrodotta nel 2013. Va eseguita usando pietre di grandezza tale da poter essere scagliate con una mano sola. È inflitta sia agli uomini che alle donne, con una differenza: al momento dell’esecuzione gli uomini vengono sepolti in un buco nella terra fino alla vita, le donne fino al busto, braccia comprese. Non è una differenza del tutto irrilevante perché una persona, se riesce a uscire dal buco prima di essere colpita a morte, ha salva la vita e le donne, con le braccia bloccate, è impossibile che ci riescano.

In Sudan, nel 2015, Omar Hassan Al Bashir, il presidente che ha imposto al paese una dittatura durata dal 1989 al 2019, aveva promesso di abolire la lapidazione, ma non l’ha fatto. Nel 2020 la giunta militare che lo ha deposto con un colpo di stato ha annunciato delle riforme alla legge penale che includevano l’abolizione di alcune sanzioni fisiche. La successiva giunta militare, al potere dall’ottobre del 2021 con un altro colpo di stato, non ha portato a termine quelle riforme benché abbia sottoscritto la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. La legge oggi ancora ammette la lapidazione, la fustigazione e l’amputazione di mani e piedi. Inoltre la giunta militare ha reintrodotto la polizia morale, ora chiamata “comunitaria”, incaricata dell’ordine pubblico. Sotto la dittatura di al Bashir controllava il comportamento e l’abbigliamento delle donne in pubblico e puniva con frustate e altre sanzioni quelle che contravvenivano. Che sia stata ripristinata è un brutto segno.

Attualmente in Sudan è la giunta che governa e legifera, mancano i ministri. Così i portavoce del governo alla richiesta di salvare Maryam rispondono: “non abbiamo un ministro che possa intervenire per chiedere la liberazione”. Anche questo è decisamente un brutto segno.