Abusi, il Papa chiede penitenza. Aspettando provvedimenti
«Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite». Con queste parole Papa Francesco ha chiamato il popolo di Dio, tutti, nessuno escluso tra i fedeli, a preghiera e penitenza di fronte al mostruoso scandalo degli abusi sessuali perpetrati dal clero.
«Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite». Con queste parole Papa Francesco ha chiamato il popolo di Dio, tutti, nessuno escluso tra i fedeli, a preghiera e penitenza di fronte al mostruoso scandalo degli abusi sessuali perpetrati dal clero, così come è emerso ultimamente nel recente rapporto del Gran giurì di Pennysilvania, dove in oltre 1.000 pagine si raccontano con particolari indecenti i crimini commessi da 300 sacerdoti in un periodo di circa 70 anni.
Per quanto l’azione concreta di papa Benedetto XVI e quella di Francesco abbiano invertito la rotta, la chiesa deve riconoscere un grave problema, che riguarda anche la copertura e l’insabbiamento di tanti casi. La lettera pubblicata ieri dal Papa è un mea culpa che Francesco vuole esteso a tutti i fedeli, perché, ha scritto, «la dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria» e poi, citando san Paolo, ha ricordato che «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26).
È necessario quindi che si faccia di tutto «per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi». Perciò, si legge nella lettera, si deve «denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona» e la diffusione della «”tolleranza zero” sia verso i colpevoli che verso coloro che li coprono».
Lo scandalo che sta attraversando la chiesa statunitense chiama in causa davvero tutti, innanzitutto i vescovi e i cardinali che, in vario modo, possono essere stati colpevoli direttamente o coprendo gli abusi. La vicenda dell’ex cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, scotta soprattutto per la rete di rapporti che l’influente porporato aveva con importanti prelati, alcuni oggi vescovi e cardinali; le vicende legate all’ex vescovo ausiliare di Tegucicalpa, José Pineda Fasquelle, e le accuse di omosessualità diffusa all’interno del seminario della stessa diocesi hondurena, chiamano in causa l’importante cardinale Oscar Maradiaga, coordinatore del gruppo di nove cardinali che coadiuva il Papa nel governo della chiesa universale; poi c’è lo scandalo della chiesa cilena che, oltre ad aver determinato le dimissioni in blocco dei vescovi, oggi vede salire sul banco degli imputati con l’accusa di aver coperto gli scandali ben due cardinali, Ricardo Ezzati e Francisco Javier Errazuriz; infine sono state aperte inchieste diocesane per accuse di cattive condotte sessuali nei seminari di Boston e Philadelpia.
Il vescovo di Detroit, monsignor Allen H. Vigneron, ha scritto che «i preti con una vita doppia devono lasciare subito la chiesa, o devono chiedere perdono e pentirsi. Tra noi non c’è posto per i sacerdoti che hanno una vita doppia e quindi ingannano la chiesa con rapporti impuri, non consoni con la promessa del celibato». Ancor più schietto il vescovo di Madison, monsignor Robert Morlino, che in una lettera ai fedeli ha scritto che «è tempo di ammettere che c’è una subcultura omosessuale all’interno della gerarchia della Chiesa Cattolica che sta portando grande devastazione nella vigna del Signore. L’insegnamento della Chiesa è chiaro sul fatto che l’inclinazione omosessuale non è di per sé peccaminosa, ma è intrinsecamente disordinata in un modo che rende ogni uomo stabilmente afflitto da essa inadatto a essere sacerdote». Per questo, scrive, dobbiamo «renderci responsabili nei confronti delle autorità civili, dei fedeli e di Dio Onnipotente, non solo per proteggere i bambini e i giovani dai predatori sessuali nella Chiesa, ma anche i nostri seminaristi, studenti universitari e tutti i fedeli».
Il Papa nella lettera pubblicata ieri non affronta il tema «omosessualità», sebbene nel maggio scorso rivolgendosi ai vescovi italiani aveva chiaramente affermato che nel caso di candidati omosessuali che vogliono entrare in seminario, «se avete anche il minimo dubbio è meglio non farli entrare». Tuttavia nella lettera di ieri ha puntato il dito contro il «clericalismo», inteso probabilmente come autoreferenzialità di potere, per cui si «genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo».
Resta ora da capire se a questo esemplare e necessario gesto di penitenza seguiranno azioni concrete nei confronti di quei prelati, ad esempio l’attuale arcivescovo di Washington, cardinale Donald Wuerl, che sono in qualche modo chiamati in causa dai recenti scandali.
Intanto, ha scritto Francesco, «è imprescindibile» che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione».