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Abusi, il mea culpa collettivo dei vescovi cileni

Dimissioni in massa per i vescovi cileni. Nelle prossime settimane il Pontefice deciderà quali delle lettere di dimissioni verranno accettate, e quali respinte. Nel frattempo i media cileni rendono noto il documento riservato, di dieci cartelle, che il Papa ha consegnato ai vescovi all’inizio della sessione di incontri, e che offre un quadro molto severo e duro della situazione della Chiesa cilena.

Ecclesia 19_05_2018

Dimissioni in massa per i vescovi cileni. Nelle prossime settimane il Pontefice deciderà quali delle lettere di dimissioni verranno accettate, e quali respinte. Nel frattempo i media cileni rendono noto il documento riservato, di dieci cartelle, che il Papa ha consegnato ai vescovi all’inizio della sessione di incontri, e che offre un quadro molto severo e duro della situazione della Chiesa cilena. Tanto, appunto, da spingere i presuli a questo gesto senza precedenti.

“Vogliamo comunicare – hanno affermato i presuli cileni – che tutti noi vescovi presenti a Roma, per iscritto, abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre, affinché decida lui liberamente per ciascuno”.

“Ci mettiamo in cammino, – proseguono i presuli – sapendo che questi giorni di dialogo onesto hanno rappresentato una pietra miliare di un profondo processo di cambiamento guidato da Papa Francesco. In comunione con lui, vogliamo ristabilire la giustizia e contribuire alla riparazione del danno causato, per dare nuovo impulso alla missione profetica della Chiesa in Cile, il cui centro sarebbe sempre dovuto essere in Cristo. Desideriamo che il volto del Signore torni a risplendere nella nostra Chiesa e ci impegniamo per questo. Con umiltà e speranza chiediamo a tutti di aiutarci a percorrere questa strada”.

Nel comunicato finale i vescovi compiono un mea culpa collettivo: “Dopo tre giorni di incontri con il Santo Padre e molte ore dedicate alla meditazione e alla preghiera, seguendo le sue indicazioni, desideriamo comunicare che anzitutto ringraziamo Papa Francesco per il suo ascolto paterno e la sua correzione fraterna. Ma soprattutto vogliamo chiedere perdono per il dolore causato alle vittime, al Papa, al popolo di Dio e al nostro Paese per i gravi errori e le omissioni da noi commessi. Ringraziamo le vittime per la loro perseveranza e il loro coraggio, nonostante le enormi difficoltà personali, spirituali, sociali e familiari che hanno dovuto affrontare, unite spesso all’incomprensione e agli attacchi della stessa comunità ecclesiale. Ancora una volta imploriamo il loro perdono e il loro aiuto per continuare ad avanzare sul cammino della guarigione delle ferite, perché possano rimarginarsi”.

Certamente li ha aiutati a questa decisione un documento di dieci cartelle ricevuto dai vescovi cileni all’inizio della loro drammatica visita di tre giorni in Vaticano per discutere del problema degli abusi, delle coperture eccellenti, e della crisi di una chiesa intera. Il tutto, all’insegna del caso Karadima. 

Media cileni hanno potuto ottenere il documento riservato sul quale i vescovi sono stati invitati a riflettere.  Si parte dalla situazione della Chiesa in Cile, in cui c’è “una ferita aperta, dolorosa”, che fino ad oggi “è stata trattata con una medicina che invece di curare, sembra aver ampliato la macchia, e il dolore”. 

“Duole constatare che in questo ultimo periodo della storia della Chiesa cilena l’ispirazione profetica ha perso forza per lasciare il posto a quella che potremmo definire una trasformazione nel suo centro”, dice il documento, e aggiunge che la Chiesa cilena si è ripiegata su se stessa in maniera tale che le conseguenze di tutto questo processo raggiunsero un prezzo assai elevato: il suo peccato è diventato il centro dell’attenzione. La dolorosa e vergognosa constatazione degli abusi sessuali verso i minori, di abusi di potere e di coscienza da parte di ministri della Chiesa, così come la forma con cui queste situazioni sono state affrontate pone in evidenza questo ‘cambio di centro ecclesiale’”.

Alcune parti del documento costituiscono un vero  e proprio atto di accusa nei confronti della Chiesa cilena. “È sintomatico notare nell’informativa presentata dalla ‘Missione speciale’ che tutti i testimoni, compresi i membri del Consiglio Nazionale per la Prevenzione degli Abusi sui Minori e di Accompagnamento alle Vittime abbiano segnalato l’insufficiente attenzione pastorale offerta fino ad oggi a tutti coloro che si sono visti coinvolti in un modo o nell’altro in una causa canonica di delicta graviora”.

Oltre a che a mettere a fuoco le critiche, il Papa suggerisce come dare soluzione alla crisi in cui è immersa la Chiesa cilena: “È urgente trovare un approccio e cercare di riparare nel breve, medio e lungo periodo questo scandalo per ristabilire la giustizia e la comunione”.

“I problemi che oggi si vivono nella comunità ecclesiale non si risolvono solo affrontando i casi concreti e limitandosi alla rimozione di alcune persone; questo – lo dico chiaramente – bisogna farlo, ma non è sufficiente, bisogna andare oltre. Sarebbe irresponsabile da parte nostra non approfondire nel cercare di trovare le radici e le strutture che hanno permesso che questi fatti concreti continuassero ad accadere e si perpetuassero”.

Uno dei passaggi più duri riguarda la relazione preparata da mons. Scicluna. “I miei inviati hanno potuto confermare che alcuni religiosi espulsi dal loro ordine a causa dell’immoralità della loro condotta e che poi dopo aver minimizzato la gravità assoluta dei loro gesti delittuosi attribuendoli a semplice debolezza o mancanza morale, sarebbero stati accolti in altre diocesi e poi, in modo più che imprudente, sarebbero stati loro affidati incarichi diocesani o parrocchiali che implicavano un contatto diretto o quotidiano con minori”. E aggiunge: “Le indagini dimostrano che esistono gravi difetti nel modo di gestire i casi di delicta graviora che confermano alcuni dati preoccupanti che cominciarono venire a conoscenza in alcuni dicasteri della Curia romana. Specialmente nel modo di ricevere le denunce o le notitiae criminis, che in non pochi casi sono state qualificate molto superficialmente come inverosimili, e che erano gravi indizi di un delitto reale”.

Il Papa inoltre dice di sentire “vergogna” per le dichiarazioni che “certificano pressioni esercitate sopra coloro che dovevano portare avanti l’istruzione dei processi penali, e la distruzione di documenti compromettenti da parte degli incaricati degli archivi ecclesiastici, mettendo in evidenza così un’assoluta mancanza di rispetto per il procedimento canonico, pratiche riprovevoli che dovranno essere evitate nel futuro”.