Aborto, una tragedia anche economica. Per tutti
L'aborto in Spagna è la terza causa di mortalità, ma è l'unica che lo Stato permette e favorisce e che provoca una catena di conseguenze economico-sociali devastanti per tutti: riduzione della natalità, invecchiamento della popolazione e minor gettito fiscale, maggiore spesa per anziani e rischio collasso del Welfare. Chi dice che l'aborto è un fatto privato?
Uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori dell’aborto libero è quello che in fondo, si tratta di una scelta della donna, che deve essere autodeterminata. Per non turbare gli impressionabili così si è radicata da tempo la favoletta che si tratti di un fatto privato, che deve riguardare la donna e nessun altro. Sarà anche un fatto privato, ma le ricadute che l’aborto ha nella società non sono private affatto.
Il nesso tra l’uccisione di un bambino nel grembo della madre e il generale impoverimento di tutti è un file che ancora oggi fatica ad imporsi a livello culturale. Però le ricadute ci sono e sono gravi e distruttive, non soltanto per la povera vita innocente che viene soppressa e nemmeno, soltanto, per le ricadute psicologiche che la madre dovrà subire nel corso della sua vita.
Ci sono anche ricadute sociali che, se analizzate, farebbero comprendere come quella dell’aborto sia una scelta che incide profondamente nel pil di una nazionale. A smentire dunque la natura privatista dell’aborto questa volta è l’Instituto de Política Familiar spagnolo (Ipf) che ha pubblicato uno sconvolgente report a 30 anni dall’ingresso nell’ordinamento iberico dell’aborto libero.
Era il 1985 e l’allora premier socialista Felipe Gonzalez introdusse l’aborto per le tre classiche cause apripista: malformazione del nascituro, rischio di vita per la madre e gravidanza indesiderata a seguito di stupro. Da quel giorno tutti i governi che si sono succeduti in Spagna, di destra e di sinistra, hanno allargato le maglie o non fatto nulla per limitare le interruzioni di gravidanza. Con Zapatero poi si è arrivati ad una liberalizzazione così selvaggia che l’attuale premier Mariano Rajoy ha parzialmente corretto solo impedendo alle minori di 16 anni di abortire senza il consenso paterno. Per tutto il resto, cioè per tutto il resto delle politiche abortiste, in Spagna destra e sinistra, pari sono.
Il report è costruito su un dato impressionante: dal 1995 al 2015 (ultima annata rilevabile) sono stati abortiti circa 100mila esseri umani all’anno. Un dato nudo e crudo, che fa schizzare gli aborti procurati al terzo posto nella speciale classifica dei decessi. Nel 2015 infatti ben 117mila persone sono morte per malattie dell’apparato respiratorio, 110mila per patologie oncologiche e 94.188 sono stati gli esseri umani morti per aborto. Esseri umani non considerati tali dalla legge, ma comunque esseri umani a tutti gli effetti. Il numero è nettamente superiore alla quarta causa di mortalità in classifica, l’Alzheimer (14mila decessi), cui seguono i suicidi (3900), gli incidenti stradali (1160), l’Aids (700) e gli omicidi (317).
Insomma: l’aborto è in Spagna la terza causa di mortalità nel Paese, ma si tratta di una strage silenziosa, perché, mentre in tutti gli altri casi lo Stato cerca di arginare la mortalità con il sistema sanitario nazionale, per 94mila cittadini invece è lo stesso sistema sanitario nazionale che acconsente alla loro morte. Praticamente l’aborto è l’unica causa di mortalità che lo Stato non solo permette, ma che addirittura incentiva.
Le ricadute sulla società non possono che essere devastanti. L’indagine così passa ad analizzare le sei gravi conseguenze sociali che l’aborto ha provocato nel tessuto economico-produttivo.
Freno alla Natalità: il numero di aborti procurati in Spagna nel solo 2015 è equivalente a un terzo del deficit di natalità che si registra annualmente. In poche parole: l’aborto contribuisce per un terzo alla denatalità complessiva, che porterebbe la Spagna ad un tasso di sostituzione del 1,6%, mentre oggi è del 1,3.
Colpisce soprattutto le giovanissime: abortiscono otto su dieci minori di 15 anni incinta; 6 su dieci minori di 20 anni; il 50% delle donne che hanno abortito hanno meno di 30 anni. Non è difficile immaginare le ricadute psicologiche, e quindi sociali, che può provocare un trauma del genere nello sviluppo affettivo e nella maturità relazionale delle future donne.
Inverte la piramide della popolazione: dall’introduzione della legge sull’aborto sono stati effettuati 2 milioni di aborti. Se non ci fossero stati il saldo tra vecchi e giovani sarebbe stato di un milione in più delle nuove leve. Il tasso di crescita della popolazione è sceso a -2,7. Se non ci fosse l’aborto il tasso tornerebbe positivo.
Danni economici per tutti: l’invecchiamento della popolazione produce un incremento dei costi di welfare dovuti all’aumento delle pensioni e le spese assistenziali e sanitarie connesse. Inoltre, sempre l’invecchiamento della popolazione ha come conseguenza diretta una riduzione dei ricavi da imposte sul reddito e dei contributi per la sicurezza sociale.
Danni sociali: il ricorso massivo all’aborto ha provocato la scomparsa di 258 bambini al giorno, che a loro volta hanno provocato la chiusura di 60 scuole all’anno con un’eccedenza di insegnanti avviati alla disoccupazione.
Rischio fallimento delle prestazioni sociali: con l’attuale deficit, causato anche dall’aborto, la popolazione non riuscirà a rigenerarsi con nuovi lavoratori. Il risultato sarà una progressiva eliminazione delle pensioni sociali.
In poche parole: l’aborto provoca povertà spirituale, morale, ma anche materiale. E non solo per le povere donne indotte con l’inganno ad autodeterminarsi, ma per tutti. La situazione spagnola non è diversa da quelle delle altre democrazie occidentali. Basta sommare i dati dei singoli stati per rendersi conto che quella dell’aborto è una piaga causata dagli stessi Stati che sta li velocemente portando all’insostenibilità economica. Forse è giunto il tempo che il tema tabù della revisione totale delle leggi sull’aborto sia affrontato seriamente dalla politica. Se vogliamo ancora che la politica abbia un futuro.