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LA STRAGE

Aborto selettivo, in India un distretto senza bambine

Nell’Uttarkashi, 300.000 abitanti, negli ultimi 3 mesi, in 132 villaggi, sono nati 216 bambini: nessuna femmina. La magistratura indiana ha deciso di indagare, ma intanto dai numeri appare chiaro che si tratta di aborto selettivo. Che è una realtà presente anche nella nostra Europa. Dove, mentre si parla di “diritti”, la si continua a ignorare.

Attualità 25_07_2019

La tragedia dell’aborto selettivo non è purtroppo una novità, anzi: esistono stime accurate - di cui ha raccontato tempo addietro questo giornale - che parlano, per gli ultimi anni, di 23.1 milioni di bambine abortite proprio in ragione del loro essere femmine. Una tragedia ormai planetaria, che però sembra avere in due Paesi su tutti i propri più sanguinari teatri: la Cina e l’India. Proprio con riferimento a quest’ultima nazione, è uscita in questi giorni una notizia agghiacciante che conferma come la soppressione prenatale selettiva sia ben lungi dallo scomparire.

Alludiamo alla sconvolgente realtà che sta emergendo nel distretto dell’Uttarkashi che, con i suoi 300.000 abitanti, si trova nell’India settentrionale. In breve, da una recente indagine è emerso come negli ultimi 3 mesi, in 132 villaggi, siano nati 216 bambini. Fin qui nulla di strano: peccato che su 216 nuovi nati non ci fosse una femmina. Neppure una. Un’anomalia enorme che ha spinto la magistratura indiana a volerci vedere chiaro.

Del resto, che dietro questi numeri ci sia l’aborto selettivo è parso evidente da subito. Infatti non è altrimenti spiegabile il fatto che in 16 dei citati villaggi - monitorati, questi, addirittura dall’inizio dell’anno ad oggi - non sia nata neppure una bambina. Il magistrato distrettuale Ashish Chauhan ha riferito alla stampa di «un totale di 65 bambini che sono nati lì durante il periodo, di cui nessuno era una femmina». Una stranezza eccessiva anche per la magistratura indiana, che pure, quanto a rispetto dei diritti umani, non è certo la più rigida e attenta del pianeta.

La notizia di questa indagine clamorosa ha fatto il giro del Paese e Trivendra Singh Rawat, l'ottavo e attuale primo ministro di Uttarakhand, non ha potuto fare a meno di dichiararsi profondamente sconvolto dal «feticidio» che continua a essere evidentemente prassi in così tanti villaggi indiani, e non solo nel suo distretto purtroppo.

Ciò nonostante, benché quindi l’India continui a fare i conti con l’orrore dell’aborto selettivo, l’argomento pare non coinvolgere più di tanto la stampa occidentale, forse troppo presa, in questi giorni, a solidarizzare con Carola Rackete per le presunte offese subite. E pensare che a cercare di rompere il silenzio anche editoriale sull’argomento, in questi anni, sono state soprattutto donne. Basti pensare a libri importanti come quello scritto ormai tre decenni or sono da Mary Anne Warren (Gendercide, 1985) o Anna Meldolesi (Mai nate, 2011), solo per citarne un paio. Testi di spessore ma quasi ignorati, rispetto a tanti altri. Così come quasi ignorata, tornando a noi, è la realtà anche italiana dell’aborto selettivo come prima e più spietata frontiera del femminicidio.

Sì, perché l’aborto selettivo esiste purtroppo anche da noi, anche se ad oggi interessa perlopiù le comunità asiatiche immigrate; ciò nonostante, la pratica inizia a essere intercettata in modo chiaro dalle statistiche. Che ci dicono, per esempio, come il sex ratio - cioè il rapporto tra maschi e femmine alla nascita, che in condizioni normali è di 105 a 100 - nelle comunità cinesi sia pari a 119 maschi contro 100 femmine, mentre arriva persino a 137 a 100 nelle comunità indiane.

Il che, sul piano pratico, significa decine, anzi centinaia non di femmine uccise, ma di uccise in quanto femmine. Un dramma rispetto al quale, come si diceva all’inizio, oggi l’India pare decisa a fare i conti ma che invece l’Italia e l’Europa dei diritti e dell’accoglienza, a quanto pare, preferiscono trattare con sufficienza o ignorare. Anche se, a ben vedere, si tratta della violenza sulle donne più spietata e totale che esista.