Aborto, i vescovi nordirlandesi esortano alla resistenza
Dopo il diktat di Londra, una dichiarazione dei vescovi dell’Irlanda del Nord biasima la legittimazione dell’«uccisione di bambini non ancora nati» e spiega che «ognuno è moralmente obbligato a opporsi» con l’obiezione di coscienza. No dei prelati anche all’idea di fornire e promuovere l’aborto nelle scuole. Plauso della Spuc, che chiede ai vescovi di mobilitarsi con i laici «per resistere al nuovo regime».
I vescovi dell’Irlanda del Nord tornano a far sentire la loro voce contro la soppressione dei nascituri, due mesi dopo l’imposizione di Londra, che ha approfittato del vuoto di potere nella provincia del Regno Unito per introdurvi la legalizzazione dell’aborto e delle cosiddette “nozze gay” (clicca qui). «Tutti i cristiani e le persone di buona volontà sono obbligati in coscienza a non cooperare formalmente ai servizi abortivi, anche se consentito dalla legislazione civile», si legge nella dichiarazione pubblicata sul sito della Conferenza episcopale irlandese, con la data del 17 dicembre.
Il giorno prima si era conclusa la fase di consultazione avviata a novembre dal governo britannico, che aveva predisposto un modulo per accogliere suggerimenti sulle caratteristiche principali del nuovo regime abortista, la cui definitiva entrata in vigore è stata fissata non oltre il 31 marzo 2020. Dallo scorso 22 ottobre, lo ricordiamo, in Irlanda del Nord vige un regime transitorio, durante il quale l’aborto è permesso addirittura fino a 28 settimane di gravidanza.
In questa fase di passaggio, i vescovi hanno quindi voluto ribadire che l’aborto è un male assoluto a cui non è mai lecito cooperare. Nel loro documento, commentando il Northern Ireland Act 2019, cioè l’atto in cui è contenuto il diktat di Londra, i vescovi scrivono: «Una legge statale che legittima l’uccisione diretta e intenzionale di esseri umani innocenti mediante l’aborto disprezza il loro inviolabile diritto alla vita. Cercando di stabilire regolamenti e procedure per facilitare l’uccisione di bambini non ancora nati, che la società è chiamata a proteggere e avere a cuore, tale legge mina il bene comune e l’uguaglianza di tutte le persone davanti alla legge. Pertanto, questa legge non può essere considerata in possesso di un’autentica validità giuridica né di alcuna forza moralmente vincolante».
Si tratta quindi di «una legge ingiusta», di fronte alla quale «ognuno è moralmente obbligato a opporsi […] attraverso l’obiezione di coscienza». Al riguardo, i vescovi fanno presente che il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord (ad oggi Julian Smith) ha l’opportunità di considerare e garantire l’obiezione di coscienza in tutta la sua ampiezza, diversamente da quanto fatto nel 2014 dalla Corte Suprema del Regno Unito, con l’interpretazione ristretta di tale diritto sostenuta nel caso Doogan. «Il diritto statutario di esercitare l’obiezione di coscienza, previsto dal nuovo quadro normativo nell’Irlanda del Nord, dovrebbe offrire a tutti gli operatori sanitari - includendo le ostetriche, gli infermieri e lo staff ausiliario negli ospedali - la possibilità di rifiutare di partecipare a qualsiasi aspetto dei servizi abortivi, come la consultazione, l’amministrazione, la preparazione, in aggiunta all’atto diretto e intenzionale dell’aborto stesso», scrivono i prelati, che chiedono che l’obiezione di coscienza sia garantita anche ai farmacisti.
I vescovi mettono inoltre in luce l’incoerenza tra la presunta volontà politica di prendersi cura della «salute e sicurezza delle donne» e la totale assenza - nel documento per la consultazione predisposto dal governo - sia del riferimento a servizi che incoraggino le mamme a far nascere i bambini che portano in grembo sia dei rischi per la salute fisica e mentale a cui incorrono coloro che abortiscono.
Tra le opzioni che si stanno vagliando in questa fase transitoria c’è anche quella di fornire “servizi” legati all’aborto, incluse le pillole abortive, all’interno delle scuole. Opzione rispetto alla quale i vescovi si dicono a ragione «completamente contrari». In particolare, «per quanto riguarda le scuole cattoliche, centrale nella nostra etica scolastica è la promozione della dignità e della vita di ogni essere umano». Per questo motivo, non solo la previsione di procedure abortive sarebbe gravemente lesiva della libertà e di «tutto ciò che una scuola cattolica rappresenta», bensì «qualsiasi inclusione nel curriculum scolastico di informazioni su come accedere ai servizi abortivi minerebbe alle fondamenta l’etica cattolica delle nostre scuole».
Insomma, una presa di posizione chiara, quella dei vescovi nordirlandesi. I quali avevano già fatto qualche tentativo per scongiurare gli effetti dell’ultimatum di Londra, sebbene nel complesso in modo troppo timido per la gravità dell’imposizione e della posta in gioco: che riguarda la vita di innumerevoli bambini e ovviamente la salus animarum.
La loro dichiarazione del 17 dicembre è stata ben accolta dalla Spuc (Society for the protection of unborn children), che attraverso Liam Gibson ha riconosciuto nelle parole dei vescovi «un primo vitale passo per ribaltare il nuovo regime abortista che viene ora imposto all’Irlanda del Nord». Gibson ha ricordato che l’idea di fornire l’aborto all’interno delle scuole è da tempo un obiettivo della lobby abortista a livello internazionale, e ha poi aggiunto: «L’Ufficio per l’Irlanda del Nord non abbandonerà i suoi piani senza lottare, ma i Vescovi sono in una posizione più potente di quanto probabilmente pensino. Insieme ai laici sono in grado di mobilitare un’opposizione sufficiente per resistere al nuovo regime, a condizione che tale resistenza sia organizzata e coordinata».
Secondo il rappresentante della Spuc, «ciò che la Chiesa farà prossimamente, sarà decisivo. Nelle settimane e nei mesi a venire, i Vescovi e i laici devono lavorare insieme per trasformare questa chiamata alla resistenza in un piano d’azione concreto». Che potrà essere sostenuto, possiamo aggiungere, dalla preghiera e dal digiuno.