Aborto e kill pill: tra testimonianze e nuovi paradossi
Il popolo pro life e che combatte per l’abrogazione della legge 194 è tornato in piazza a Milano. Una fortissima testimonianza pubblica, ma di scarsa incidenza politica e legislativa (nessun partito è disponibile all'abolizione della 194). Non solo: la diffusione delle pillole abortive pone altri paradossali problemi.
Il popolo pro life e che combatte per l’abrogazione della legge 194 è tornato qualche giorno fa in piazza a Milano. Tensione quando il corteo si è sfiorato con la sparuta flottiglia dei “Sentinelli”, grottesca caricatura degli abortisti e filo gay che traggono dal disturbo della manifestazioni altrui la loro esclusiva ragione di esistere. Un appuntamento questo del Comitato per la vita e “No 194” che periodicamente si ripete sulle principali piazze italiane all’insegna dello slogan "Una legge ingiusta non è una legge". Presenza commovente e irriducibile contro una legge che ha causato dalla sua entrata in vigore, nel '78, quasi 6.000.000 di bambini uccisi nel grembo materno.
Manifestazioni che insieme alle giornate di preghiera che si svolgono davanti alla clinica Mangiagalli di Milano, hanno purtroppo il valore di fortissima testimonianza pubblica, ma di scarsa incidenza politica e legislativa, dato che oggi, nessun partito si sognerebbe di portare in Parlamento proposte e disegni di legge non solo di cancellazione ma neppure di timide revisioni della 194. Anzi, potrebbe invece accadere il contrario, cioè che siano proprio coloro che si battono, almeno sul piano morale e di coscienza, contro la legge sull’aborto, a essere costretti a pretendere la sua “integrale” applicazione. Paradossale, vero?
A creare l’inaccettabile paradosso sono le nuove frontiere dell’aborto: in prima fila la famigerata pillola Ru486 e oggi anche la cosiddetta “pillola dei cinque giorni dopo”. Entrambe sottraggono l’interruzione della gravidanza ai ferri del chirurgo per consegnarla alla chimica: una forma in apparenza più soft e asettica, in realtà, soprattutto per la Ru486, il “topicida” degli anni Duemila, come l’ha definita il padre della genetica moderna Jérôme Léjeune, mortifere quanto l’aborto “tradizionale”. Con la Ru486, l’aborto diventa per la donna un tormento senza fine, può allungare le fasi dell’aborto fin oltre la settimana: dipende dai soggetti e da altre circostanze. Per questo, da tempo, il governo ha deciso che non potrà essere somministrata fuori dalle strutture ospedaliere e per la donna che ne fa uso è obbligatorio il ricovero. Lo impone la legge 194 che vieta espressamente l’aborto a domicilio e ne prescrive l’esecuzione in ambito ospedaliero dai medici del servizio ostetrico-ginecologico. Ma non è così: con la pill kill le pazienti vengono dimesse e mandate a casa tra la prima somministrazione di mifepristone (che uccide il feto) e la seconda fase con il misoprostol, la prostaglandina che provoca l’espulsione. Ed è proprio questa fase che può prolungarsi per giorni. Giorni di vomito, diarrea, contrazioni protratte e dolorose emorragie, come avvertono le istruzioni per l’uso. Dunque, con la Ru486 l’aborto diventa un affare domestico e circoscritto: tra le quattro mura del bagno. E poi ci sono i decessi, certificati. Ad oggi, sono almeno 30 le mamme morte per emorragie ed effetti collaterali indotti dalla pastiglia.
La stessa cosa vale per la “pillola dei cinque giorni dopo”, (dell'ulipristal acetato) che recentemente l’Aifa, l'ente nazionale italiano per il controllo sui farmaci, ha “liberalizzato”, togliendo anche l’obbligo della prescrizione medica e declassandola addirittura come prodotto da banco. Solo per le minorenni continuerà a servire la ricetta medica. Decade l'obbligo del test di gravidanza. Un inganno “scientifico” in piena regola, come la Bussola ha documentato in diversi occasioni (clicca qui e qui). È quanto hanno denunciato pure i medici e i farmacisti cattolici che sottolineano il potenziale abortivo della pillola e gli effetti collaterali conseguenti all’assunzione incontrollata del farmaco. Ma in questo caso, così pare, gli interessi economici delle case farmaceutiche vengono dopo la verità scientifica e la tutela della salute delle donne e la vita dei bambini. Ma la decisione dell’Aifa ha bloccato tutto, riportando indietro la discussione e avallando, nei fatti, un altro modo di praticare l’aborto, al di fuori di ogni ospedalizzazione e controllo medico. Con un’altra violazione della legge 194: quella della possibilità dell’obiezione essendo stato cancellato l’obbligo di ricetta.
Dunque, a questo siamo. Al punto, cioè, che anche quelli che sono contrari alla 194 sono costretti a protestare perché la legge venga almeno rispettata e severamente applicata contro chi, fuori legge, vorrebbe estendere l’aborto a una pratica domestica e solitaria. Mettendo a rischio anche la vita di chi già interrompe la vita di un altro. Togliamo di mezzo subito un equivoco grave quanto un aborto: qui la divisione tra laici e cattolici, la diversità di vedute tra credenti e atei confessi c’entrano un bel nulla. Se qualcuno insiste a porre la questione in questi (falsi) termini o è in malafede o è un talebano (e pure ignorante). Sul piano umano, l’aborto è un evento drammatico per la donna e una sconfitta per tutti. Dunque, non stiamo certo discutendo di pillole per la tosse. Le pill-kill rischiano di introdurre una nuova arma di distruzione di massa e opporsi a ciò dovrebbe essere un impegno elementare, razionale, condiviso da tutti. C’è una stregoneria medica che propaganda l’aborto come metodo contraccettivo: occorre un no laico e generale a questo trionfo della morte in un bicchier d’acqua, macabra ideologia di qualche clericale rovesciato che bercia di libertà di scelta, intendendo solo quella di buttare nel cesso una vita indifesa.
Ecco, questa è la strettoia micidiale che la legge 194 sta imponendo al movimento pro life e a chi tenta in qualche modo di limitare i danni. Manifestare, come gli ultimi giapponesi, per l’abolizione di una legge omicida sapendo di non aver il sostegno politico di alcun partito e, nello stesso tempo, pur dichiarando che l’interruzione della gravidanza è un crimine contro la vita, vigilare perché la stessa non venga estesa ad altre forme di aborto fuorilegge. In ogni caso, nessuno è autorizzato a difendere quell’iniqua legislazione che, come ricordano i coraggiosi dei Comitato ”No 194” è già costata in Italia un olocausto con sei milioni di bambini uccisi prima di nascere.