A TAVOLA CON VITTORIO MESSORI
Amministrative: il successo di Pisapia, sinistro "duro e puro", il caso di Don Seppia: possibile che nessuno sia mai intervenuto prima?
Caro Vittorio, senza dubbio la notizia della settimana è l’esito imprevisto delle elezioni amministrative a Milano: dopo una campagna dai toni accesissimi, con colpi bassi e molto focalizzata su Berlusconi e sui suoi guai giudiziari, la città «azzurra» si è risvegliata «rossa», con lo sfidante Giuliano Pisapia al 48 per cento e il sindaco uscente Letizia Moratti sotto di ben sette punti. Che cosa ne pensi?
Beh, Andrea, sono scappato da Torino nel 1978 perché morivo d’asfissia nella città in cui era in pieno vigore il «regime» catto-comunista del sindaco Diego Novelli, il classico vecchio comunista cresciuto negli oratori salesiani. Non c’è peggior reazionario di un sedicente progressista. Non c’è peggior conservatore di un ideologo paleomarxista come lui, per giunta con una dose di moralismo da clericale “ adulto e aperto“. Novelli si diede da fare subito per soffocare la città, disse che un milione e duecentomila abitanti era troppo e che la città doveva “dimagrire“, rispedì addirittura a Roma i finanziamenti faticosamente ottenuti dai democristiani per la metropolitana, perché diceva che solo il tram era veramente per gli operai, mentre il metrò è per i borghesi. Ti rendi conto fino a che punto arriva lo schema ideologico? Cercò di bloccare il traforo del Frejus dicendo che in autostrada si spostano soprattutto i benestanti. Non volle l’ampliamento dell’aeroporto di Caselle. Insomma, il suo ideale era Berlino Est, con un pizzico della Ginevra di Calvino cui aggiungerei la Firenze dei Piagnoni di Savonarola. Intanto, invece di fare l’amministratore di quel grande condominio che era Torino e di occuparsi di semafori, parcheggi, viabilità, raccolta dei rifiuti, manutenzione, faceva il profeta e parlava per parabole, paragonando i torinesi alla farina che le mani paterne del sindaco dovevano impastare. Moraleggiava , predicando solidarietà ad oltranza, con tutti. Insomma, non sopportando di vedere morire una città che amavo, me ne scappai a Milano. Speravo di trovarvi la metropoli all’europea. Sai bene come lasci volentieri agli ambientalisti le giungle di alberi e ami invece le giungle d’asfalto e pensavo di trovare nella metropoli lombarda la vitalità che l’ideologia da socialismo reale soffocava in modo programmatico a Torino. E invece, di male in peggio…
Perché?
Vi trovai sindaco Paolo Pillitteri, il «cognatissimo» di Bettino Craxi, avendone sposato la sorella, e che di per sé era un buon diavolo, pragmatico, ma tenuto in ostaggio nella coalizione di palazzo Marino non solo dai comunisti, ma anche da due o tre extraparlamentari e da un paio di verdi, che in realtà erano, come sempre da noi, molto rossi. Mi toccò vedere per la seconda volta una città strangolata, dove i “progressisti “ impedivano tutto: dalla costruzione dei grattacieli, perché odiato simbolo del Nemico di Classe, al solito prolungamento delle metropolitane, sino alla mitologia delle biciclette e alla persecuzione delle auto. Nonché le solite prediche edificanti sulla convivenza di tutti con tutti. Per tornare alla tua domanda sull’oggi: vedi, io qui non faccio questioni di partito, che come sai non mi appassionano. E non conosco Letizia Moratti. Dico però che Pisapia, sinistro “puro e duro“ eletto per fare un dispetto ai moderati del Pd, è il classico ricco borghese che non si è staccato dal ’68 della sua giovinezza. È l’esponente della vecchia sinistra ideologica e puritana, che non vuole il progresso, bensì il regresso. Io me ne sto acquattato nella provincia dove mi sono imboscato, ma davvero non invidio i milanesi. Pisapia a Milano rappresenterebbe il nuovo cappio. Il nuovo blocco di tutto, in cambio di chiacchiere edificanti che, come avvenuto dopo i 10 anni di Novelli, non lasciano nulla. Anzi, aggravano i problemi perché è mancato il realismo nell’affrontarli.
Ammetterai che la campagna berlusconiana è stata un vero boomerang. I vergognosi manifesti sulle BR in Procura, il colpo basso alla fine del dibattito in Tv quando Pisapia non aveva più diritto di replica…
Guarda, non entro nel merito. Capisco ciò che dici. Ma io resto al livello delle due diverse concezioni di città che esprimono i due candidati. Lo abbiamo detto, mi pare, la volta scorsa: ci vuole un sindaco ragioniere – come lo è stato il non carismatico, grazie a Dio, Gabriele Albertini – e non un sindaco profeta. C’è bisogno di amministratori che permettano alla vitalità della città di esprimersi e di svilupparsi. Milano ha bisogno solo di essere lasciata vivere, senza lacci ideologici. Da un lato c’è, malgrado tutto, un certo liberismo, dall’altro c’è il vecchio, cupo dirigismo che vorrebbe trasformare Milano in un convento laico, con una “sinistra al caviale“ che pretende di trasformare la città in un luogo di virtù in nome dei valori “ laici, democratici, antifascisti “ , come voleva la Trinità anni Settanta. Per me che li ho vissuti, è il ritorno di un incubo. Pensa che tra i punti programmatici del Pisapia c’è la battaglia contro i manifesti pubblicitari che << mercificano la donna >> ! Ma scusa, questa è cosa che riguarda, semmai, i magistrati , la polizia, il codice deontologico dei pubblicitari . Ti pare che un candidato sindaco a una metropoli con giganteschi problemi di sovrastrutture , a una Milano con un milione di pendolari al giorno , ti pare che un aspirante sindaco debba mettere tra i punti prioritari la reclame degli slip e dei reggiseni? E che dire delle solite , disastrose utopie della integrazione degli zingari e dell’ingresso, libero a tutti, degli immigrati irregolari ? Nota che, nel mio liberalismo , gli immigrati li voglio e li considero non solo benvenuti ma indispensabili ma , come vuole realismo ed esperienza, secondo regole precise. Ma tanto, il grande borghese Pisapia le sue teorie le elabora al riparo delle sue belle case e della buona società milanese di sinistra, cui piace tenere il portafoglio a destra ma le chiacchiere a sinistra.
Ma forse i milanesi hanno votato Pisapia perché ha parlato più dei problemi della città che di quelli di Berlusconi. Comunque cambiamo argomento. Che mi dici del caso di Dominique Strauss-Kahn, il presidente del Fondo monetario internazionale nonché candidato della gauche all’Eliseo che rischia settant’anni di carcere a New York per aver violentato ( così dice l’accusa ) una cameriera d’albergo?
Vorrei essere chiaro per non rischiare di venire frainteso e linciato dai custodi del pensiero egemone: se monsieur Strauss-Kahn ha davvero usato violenza alla cameriera – e ci sono precedenti nella sua vita che non fanno considerare questa come un’ipotesi impossibile – allora è giusto che la legge intervenga e che venga punito, anche se possibilmente in modo meno spettacolare e meno brutale, come usano fare gli americani. Chiaro?
Chiarissimo, Vittorio. Mi sembra però che con questa premessa tu voglia aggiungere dell’altro…
Ma sì, e a mio rischio e pericolo. Aggiungo , cioè, che forse – e sottolineo forse – le cose non sono andate esattamente come ce le hanno raccontate. C’è la possibilità che l’allupato politico e banchiere francese ci abbia solo provato con la donna , tentando di metterle le mani addosso e facendole proposte indecenti . Allora se – e sottolineo se – le cose fossero andate così, mi viene da ricordare con un sorriso i vecchi racconti delle mie zie e cugine su ciò che accadeva nell’Emilia tosta, libera e non moralista di un tempo. Accadeva che non pochi maschi allungassero le mani o dicessero cose imbarazzanti . Il caso si chiudeva con uno schiaffone della donna, accompagnato dal grido: «Porco! Vergognati!». Poi con le amiche o in famiglia, raccontavano l’accaduto e tutte scuotevano il capo, borbottando un rassegnato e forse indulgente << Beh, si sa, l’uomo è cacciatore». Ora, non intendo certo difendere coloro che allungavano le mani e facevano proposte indecenti, quanto piuttosto far notare che allora le donne si difendevano bene. Non si consideravano vittime indifese e sacrificali del desiderio maschile. Non si attendeva l’intervento della polizia o della magistratura, bastava un sonoro schiaffone. E ti assicuro che dello stupro era ignota persino la parola. Siamo arrivati oggi a creare un clima di tale sospetto tra i sessi che negli Stati Uniti è sconsigliato salire su un ascensore con una donna sola, perché se questa caccia un urlo, anche se tu te ne sei stato immobile e in religioso silenzio in un angolino, rischi di essere subito impacchettato dagli sbirri inviati dal Grande Fratello, custode della morale. Sai, quelli – che mi terrorizzano - che predicano la “ tolleranza zero “. Una espressione da America law and order che mi dà i brividi e che lascio volentieri a chi gongola vedendo la gente ammanettata . D’altro canto, proprio gli Stati Uniti, cioè il paese che non batte ciglio davanti alla prospettiva che un sessantaduenne sia condannato a settant’anni di carcere per una presunta violenza, sono i maggiori produttori e consumatori di pornografia del mondo. È un paese dove si può divorziare anche cinque o sei volte nella vita, ma se non sei fedelissimo alla moglie del momento, vieni sbattuto fuori dalla società civile. Insomma, a me pare la solita fiera dell’ipocrisia. E poi, dov’è finito il garantismo? Uno non dovrebbe essere considerato innocente fino alla condanna? Come la mettiamo allora con questo grosso signore esibito ai fotografi e ai cameraman ammanettato, scamiciato, con la barba lunga e la faccia terrorizzata ?
D’accordo, Vittorio. Non vorrei però che le tue parole sull’«uomo cacciatore» venissero prese come una giustificazione, come se il «così fan tutti» finisse per dire che si tratta di comportamenti leciti in quanto diffusi perché noi maschi non sappiamo tenere a bada gli ormoni…
Fai bene a segnalare questo rischio. Ma io ribadisco: se Strauss-Kahn ha davvero violentato la povera cameriera, le mie parole non vanno considerate: l’ho detto che è bene che venga perseguito. Ma se le cose non fossero andate davvero così, allora stiamoci attenti , la ghigliottina di Robespierre , “ l’Incorruttibile “, è dietro l’angolo. E, con questo, si avvicina il Grande Terrore .
Restiamo sempre in tema di sesso, perché purtroppo l’ultima settimana si presta parecchio. Hai sentito che, quasi in concomitanza con la pubblicazione della Lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede contenente le linee guida vaticane contro la pedofilia, a Sestri Ponente è scoppiato lo scandalo di don Riccardo Seppia. Un parroco che attirava i ragazzini con la cocaina e che frequentava palestre e saune gay di Milano. Una storiaccia… Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, si è precipitato nella parrocchia e ha parlato di vergogna e sgomento.
In questo caso, Andrea, vorrei riprendere e approfondire un ragionamento che hai già fatto tu su La Bussola nei giorni scorsi, in un editoriale. Mi chiedo infatti come sia potuto accadere e, soprattutto, continuare tanto a lungo. Ora tutti dicono che questi comportamenti erano noti: lo sapevano i parrocchiani, c’erano persino genitori che avevano paura a mandare i propri figli in parrocchia. Bene ha fatto l’arcivescovo Bagnasco a dichiarare la sua vergogna e a sospendere il prete fintanto che le accuse contro di lui vengano esaminate. Dov’era però la Gerarchia in tutti questi anni? Dov’erano gli altri sacerdoti, i responsabili degli uffici curiali? Possibile che tanti sapessero – me l’ha confermato anche un amico genovese – e nessuno sia mai intervenuto?
Beh, Vittorio, devi considerare che in questi casi molti ragionano col senno di poi, e vedendo confermati quelli che erano soltanto dei sospetti, oggi dicono: «Io l’avevo detto». Ma fino al giorno prima dell’arresto si erano guardati dal dirlo a qualcuno.
Il tuo ragionamento però potrebbe essere insufficiente. Vedi, in questo caso non siamo di fronte a un prete dalla doppia vita. Siamo davanti a un prete che conduceva una vita sola, quella della droga, del sesso, del sacrilegio. Un prete così sicuro di sé da spedire messaggi espliciti via sms, da salutare con le parole «Satana sia con te!», da non usare alcuna precauzione nel comprare e nel distribuire droga. Un prete, tra l’altro, che era solito bestemmiare in pubblico, anche al bar. Bada bene, lo dico con disagio, conosci il mio garantismo. Pare che qui non ci fossero sospetti ma fatti evidenti. Qualcosa si poteva fare prima. Possibile che nessuna voce sia mai giunta all’orecchio dei suoi superiori? E sì che non stiamo parlando di una diocesi immensa e caotica tipo San Paolo del Brasile ma di una Chiesa ordinata e in fondo non sterminata come quella di Genova. Attenzione, Andrea: le mie sono domande, e domande che mi faccio con disagio. Vedi, la mia sofferenza (come quella di tutti i cattolici) viene dal fatto che l’esito di questa come di altre storie è terrificante. L’immagine disastrosa che si sta creando è quella delle parrocchie come spelonche di orchi, dove ci sono preti repressi che non attendono altro che potersi sfogare sulle loro giovani vittime. Purtroppo l’esito è questo. Tanto che un giornale anticlericale come Repubblica ha potuto scrivere, sin dai titoli, parlando di questo di questo don Seppia, di “preti-bestia “ .
Chiudiamo questa pagina fin troppo lunga sugli scandali sessuali. La Santa Sede ha pubblicato l’istruzione applicativa del motu proprio Summorum Pontificum con il quale nel 2007 Benedetto XVI aveva liberalizzato l’antica liturgia. È una buona notizia per te?
Sono contento, certo. Anche se pure qui ci sarebbero alcune cose da dire. La prima: dalla nuova istruzione, che ho letto attentamente, emerge che il vecchio rito preconciliare e il nuovo scaturito dalla riforma postconciliare devono essere considerati con pari dignità e messi sullo stesso piano. Ma se il vecchio rito era bello e buono, come adesso si riconosce, perché è stato sostituito? Perché, anzi, è stato stravolto? Se si voleva solo cambiare la lingua, perché non è stato tradotto dal latino con solo qualche ritocco qua e là, come è avvenuto altre volte nella storia della Chiesa? D’altro canto penso che questa comprensione di papa Ratzinger, questa mano tesa, questo tentativo di riconciliazione non smuoverà gli eredi di Lefebvre. Sono infatti convinto che il vero problema non sia per loro la liturgia, la messa in latino. Ci sono due prospettive diverse di Chiesa, due letture diverse del Vangelo.
Prospettive inconciliabili secondo te?
Ti rispondo con un’esperienza personale. Non avevo avuto mai contatti con i cosiddetti lefebvriani, finché un giorno il superiore della Fraternità San Pio X, il vescovo Fellay (che ovviamente non conoscevo) mi mandò a prendere a sorpresa con una Mercedes dai vetri oscurati e dalla targa svizzera - roba da Codice da Vinci… - che mi condusse prima a Menzingen, dove è la Casa Generalizia, e poi ad Econe. Rimasi in quegli ambienti per tre giorni. È lì che mi sono reso conto di quanto radicale sia il problema. Ormai è il credere che è diverso e questo spiega perché, nonostante le apertura del Papa, il motu proprio, i colloqui, eccetera, nulla si sia davvero smosso. Basta leggere le pubblicazioni lefebvriane, con la loro immutata durezza, per rendersene conto. Temo che lo scisma stia scivolando in qualcosa di più profondo. Del resto, la storia anche qui insegna: ci sono ancora i “Vecchi cattolici “, il gruppo che si distaccò da Roma perché in disaccordo sui documenti del Concilio Vaticano I. Roba di 140 anni fa. Potrebbe succedere anche con i dissidenti del Vaticano II, nonostante la paternità paziente e comprensiva messa in atto dal nostro sempre più amato (mi permetti di dirlo?) papa Ratzinger.