A Roma si manifesta, ma i Marò restano in India
A Roma manifestano i cittadini, i militari e gli ex militari per chiedere la liberazione di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ancora prigionieri in India. Il governo italiano, per bocca della Bonino, fa sapere che il caso marò è solo uno fra i tanti.
La manifestazione che sabato ha riunito a Roma per lo più militari ed ex militari è riuscita nello scopo di ricordare a tutti che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono costretti da 640 giorni a restare in India in attesa di un processo che li vede imputati per l’omicidio di due pescatori. Una vicenda quasi dimenticata dai media, che la classe politica cerca di mantenere a basso profilo per nascondere l’inconsistenza del suo operato e la sudditanza alle ragioni del business con l’India. Persino i famigliari dei due Fucilieri di Marina, che comunque continuano ad auspicare una rapida soluzione che possa riportarli in Italia anche in seguito a una condanna penale in India, hanno da tempo smorzato i toni polemici nei confronti del governo, prima quello di Mario Monti e poi quello di Enrico Letta.
Dopo mesi di discussioni bilaterali su come interrogare i quattro fucilieri (Renato Voglino, Antonio Fontana, Massimo Andronico e Alessandro Conte) che insieme a Latorre e Girone si trovavano a bordo della Enrica Lexie il 15 febbraio 2012, gli investigatori indiani hanno infine accettato di rinunciare a sentirli in India per ascoltarli in videoconferenza da Roma, smorzando così il rischio di una nuova crisi diplomatica. Ora non dovrebbero esserci altri ostacoli all’avvio del processo ai due militari italiani presso il tribunale speciale istituito a Nuova Delhi, se non la burocrazia indiana.
Giovedì l’inviato italiano Staffan De Mistura ha incontrato il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid il quale ha riferito che «la polizia sta preparando il fascicolo con i capi di imputazione e subito dopo potrà iniziare il processo, che si svolgerà con cadenza quotidiana». Certo in quasi due anni la vicenda ha insegnato a diffidare delle assicurazioni dei politici indiani mentre le speranze di iniziare il processo entro l’anno potrebbero venire frustrate dalla campagna elettorale che vede i nazionalisti indù speculare sulla vicenda dei marò accusando il Partito del Congresso di debolezza nei confronti dell’Italia a causa delle origini del suo leader, Sonia Ghandi. Più tempo passa e minori potrebbero essere le possibilità di chiudere al più presto la vicenda.
Il processo, basato su prove e perizie false o taroccate dalle autorità del Kerala, si concluderà con ogni probabilità con la condanna dei due militari, ingiustificata sia perché nessuno Stato può processare militari stranieri per quanto compiuto in servizio sia perché a uccidere i due pescatori sono state armi diverse da quelle in dotazione ai nostri marò. Due governi italiani sono invece colpevoli di aver accettato la giurisdizione indiana rinunciando ad appellarsi a un arbitrato internazionale con l’illusione di poter risolvere in breve tempo la vicenda. L’obiettivo minimalista di Roma è evidentemente ottenere una condanna mite con immediata estradizione in Italia di Latorre e Girone, calando definitivamente le braghe davanti agli abusi dell’India.
Anche le cosiddette “pressioni” esercitate sull’Unione Europea non hanno sortito risultati, forse perché così blande da risultare impercettibili. Il 12 novembre Roma ha sollevato il caso alla conferenza ministeriale Asia-Europa (Asem) tenutasi a Gurgaon, alla periferia di New Delhi con un intervento del delegato italiano, il direttore centrale per l'Asia della Farnesina, Andrea Perugini, che ha illustrato l'impegno dell'Italia nella lotta alla pirateria. Nulla di eclatante e soprattutto nessuna richiesta di blocco dei negoziati commerciali tra Ue e India al punto che giovedì scorso il vice presidente della Commissione europea, Joaquin Almunia, era a Delhi a firmare un accordo sulla concorrenza nell’ambito degli accordi economici in discussione tra India-Ue. Negoziati che procedono speditamente alla faccia di Roma che del resto ha sempre privilegiato gli affari con Nuova Delhi alla dignità nazionale e alla liberazione dei due marò.
La mediocrità della gestione italiana della crisi è ben rappresentata dall’inconsistenza
dell’iniziativa di Staffan De Mistura e del ministro degli esteri, Emma Bonino che il 22 novembre ha rivelato al TG2 che il governo italiano segue la vicenda dei marò «con un'intensità straordinaria perché è una vicenda di straordinaria complessità». È tutto così “straordinario” che la Bonino ha tenuto a precisare che segue «con altrettanta attenzione 10mila casi di italiani in difficoltà nel mondo, di cui 3.120 in carcere, 400 bambini che non hanno rapporti con la famiglia».
Tutti casi importantissimi ma sorprende che al ministro sfugga la differenza tra un cittadino italiano arrestato all’estero come libero cittadino e un militare trattenuto e processato da uno Stato straniero per quanto fatto per conto e su ordine dell’Italia. E per fortuna che «l'obiettivo che questo governo si è dato» ha concluso la titolare della Farnesina «è di risolvere la situazione in dignità ed è quello che siamo impegnati a fare». La dignità di chi?