A Renzi non resta che rottamare anche la Leopolda
Che cosa rimane delle divisioni nel centrosinistra dopo il week-end della Leopolda e la concomitante adunata della minoranza dem a Roma? L’impressione è che, per la prima volta, il raduno annuale nella vecchia stazione ferroviaria fiorentina, anziché celebrare le gesta del suo fondatore, possa avergli nuociuto.
Che cosa rimane delle divisioni nel centrosinistra dopo il week-end della Leopolda e la concomitante adunata della minoranza dem a Roma? L’impressione di molti acuti osservatori è che, per la prima volta, il raduno annuale nella vecchia stazione ferroviaria fiorentina, anziché celebrare le gesta del suo fondatore, possa avergli nuociuto, accendendo i riflettori sulle sue attuali difficoltà. La questione delle quattro banche salvate ha certamente appannato l’immagine dell’esecutivo agli occhi dell’opinione pubblica e a poco sono servite le prese di distanza di Renzi («Non abbiamo scheletri nell’armadio. Basta speculazioni»).
La verità è che di quella vicenda, ancora torbida e dagli imprevedibili sviluppi, rimangono la rabbia dei risparmiatori, che hanno perso i loro soldi e, sullo sfondo, l’imbarazzo di una ministra che potrebbe avere presto un padre indagato nell’inchiesta su Banca Etruria, uno degli istituti di credito coinvolti. In uno scenario del genere, le differenze tra le precedenti Leopolde e quella conclusasi domenica sono evidenti. Fino a due anni fa si poteva usare con credibilità ed efficacia lo slogan della rottamazione di uomini, logiche e metodi della vecchia politica. L’anno scorso si poteva celebrare l’ascesa al governo di Matteo Renzi, subentrato a Enrico Letta, proprio in nome di un’accelerazione del processo di cambiamento del Paese. Singolare, peraltro, la circostanza che quest’ultimo, dopo essere arrivato a Palazzo Chigi, ha rottamato la sua associazione “VeDrò”, che per molti anni ha promosso un think thank, riunendo, tutti gli anni a fine agosto, nuova classe dirigente, uomini azienda e mondo delle professioni.
Farà altrettanto anche l’attuale premier, rendendosi conto della difficoltà di continuare a declinare slogan sulla rottamazione mentre si è al governo? Oggi, verrebbe da dire, al premier potrebbe perfino convenire la rottamazione della Leopolda, magari per creare un altro contenitore che aggiorni quella visione inaugurata anni fa. Stona un po’, infatti, sentire un presidente del Consiglio in carica da quasi due anni continuare a parlare di conquista del futuro, quasi che lui col presente c’entrasse marginalmente. In realtà lui si gioca moltissimo già nel presente e si giocherà forse il suo futuro politico l’anno prossimo col referendum confermativo della riforma costituzionale del Senato. Lui lo sa bene, presagendo peraltro una sconfitta alle amministrative di primavera e puntando tutte le sue fiches sulla vittoria dei si alla revisione costituzionale.
Questo finisce per contraddire anche lo spirito iniziale del renzismo, basato sulla squadra, sulla formazione di una nuova classe dirigente. Il referendum dell’ottobre 2016 sancirà, invece, la personalizzazione della battaglia politica. Chi vorrà mandare a casa Renzi voterà no, chi si augura che possa rimanere in sella anche nella prossima legislatura voterà si. Sembra invece tramontata la prospettiva del “Partito della nazione”, che presupponeva un allargamento all’area centrista. Renzi ha rilanciato la validità degli attuali confini del Partito democratico, attaccando chi, come Civati, dopo aver contribuito a fondare con lui la Leopolda, ha abbandonato il partito. Ma a sinistra il Partito democratico a guida renziana non convince, altrimenti i dissidenti Speranza, Cuperlo, Bersani e i loro fedelissimi non avrebbero organizzato, sempre sabato scorso, un’assemblea a Roma. Per non parlare di Sel e di altre fette di sinistra ideologica, che puntano a presentare propri candidati alle prossime amministrative, per marcare il distacco dall’attuale governo e dal Pd.
Da Renzi, peraltro, arrivano anche segnali di nervosismo. Il salvataggio delle quattro banche ha innescato dinamiche conflittuali all’interno del governo, ma soprattutto ha scatenato reazioni violente da parte di certa stampa antigovernativa. Il che non è passato inosservato agli attenti radar del premier, che ha subito rassicurato i suoi: «Non ci faremo intimidire da un titolo di giornale». Ma le sue parole sono state interpretate come una sorta di “editto” nei confronti dei giornali non allineati al Renzi-pensiero, con inevitabili polemiche sulla libertà di stampa e gli interventi a gamba tesa dell’esecutivo nel mondo dell’informazione.
Certamente Renzi avrebbe potuto sorvolare, anziché attaccare la stampa, considerato che in circostanze analoghe, anni fa, aveva criticato chi aveva detto le cose che oggi dice lui. Oggi l’inquilino di Palazzo Chigi rischia di apparire agli occhi del suo elettorato della prima ora come un conservatore, ripiegato sulla gestione del potere e non aperto fino in fondo all’innovazione. La Leopolda in questo senso può far emergere proprio questa sua metamorfosi, che per alcuni è un’involuzione rispetto alla rottamazione iniziale. Se anche Renzi dovesse rendersi conto che è così, non esiterebbe a chiuderla. Conoscendolo, non ci penserebbe su due volte.