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LA MORTE DEL PICCOLO DEVID

A questa città manca un vero padre di famiglia

Viaggio tra i commenti dei giornali di oggi. Il piccolo sta ora godendosi la più comoda delle suite celesti, dove esiste giustizia.

Attualità 11_01_2011
bologna


Non leggerà mai i giornali di oggi il piccolo Devid Berghi, morto di freddo e povertà nel cuore di Bologna proprio il giorno prima dell’Epifania, la festa dei bambini, e quindi non potrà percepire il dolore che la sua storia ha provocato a tutta la nazione, un dolore pari solo all’indignazione ed alla rabbia dell’impotenza che si prova in questi momenti. Forse i suoi genitori avranno letto le prime pagine e gli articoli di oggi che raccontano nel dettaglio che cosa è successo. Proviamo anche noi a orientare la nostra Bussola e quindi crearci un percorso di speranza nei resoconti giornalistici di questa vicenda.


Quasi tutti i maggiori quotidiani affiancano, a un articolo di cronaca, anche uno di commento. Così il Corriere della Sera con Francesco Alberti che prima ricostruisce i fatti e così descrive i due genitori di Devid: «Non dei veri e propri senzatetto, ma gente allo sbando. Senza una prospettiva. E con troppi figli» per un giudizio che diventa ancora più duro in un articolo successivo «Claudia ha 35 anni e ha preso la vita dalla parte sbagliata. Poco lavoro. Pochissimi soldi. Tanta strada. Una girandola di residenze, alcune delle quali fasulle. E di uomini: cinque figli da 3 padri diversi».

Merita una lettura e un approfondimento particolare il commento di Isabella Bossi Fedigrotti dal titolo Il Piccolo rimasto solo per una colpa collettiva: «Le storie non sono sempre quelle che sembrano, sono più complesse, non tutte nere né tutte bianche, difficili da classificare in un modo o nell’altro. L’episodio del neonato spirato la settimana scorsa in piazza Maggiore a Bologna era subito stato "timbrato" come una morte per gelo, incuria e degrado, mentre in realtà sembra più semplicemente — e forse più drammaticamente — una vicenda di nuova povertà. Non barboni né clochard sono, infatti, i suoi genitori, ma soltanto disoccupati o sotto-occupati, frequentatori delle mense pubbliche, conosciuti sia dalla Caritas che dai Servizi sociali, e seguiti, anche, sebbene, evidentemente, non abbastanza. (…) Tuttavia, bisogna anche riconoscere che i suoi genitori, proprio perché volevano continuare a tutti i costi a fare i genitori, hanno sempre rifiutato ricoveri in strutture varie per sé e per i loro bambini, dichiarando di abitare presso parenti, forse, però, inesistenti: più di tutto temevano, infatti, che, dopo i due maggiori, venissero loro tolti altri figli dei cinque che avevano, che amavano e amano. (…) Una sconfitta grande per tutti è la sua morte, avvenuta non per malattia, non per virus o per freddo eccezionale e neppure per colpevole trascuratezza, bensì, semplicemente, per povertà; una sconfitta che fa sentire inadeguati, incapaci di provvedere alla protezione di un bambino piccolissimo, pur nell’abbondanza di una città che forse ancora adesso si fregia del soprannome "la grassa"».


Lasciamo il giornale di via Solferino per andare su la Repubblica da cui apprendiamo, e solo in questo giornale nel pezzo di Luigi Spezia che «grazie all’impegno del primario di Pediatria, il professor Mario Lima, la mamma e il padre hanno firmato il consenso ad affidare volontariamente i figli sopravvissuti ad una struttura pubblica» mentre nella dettagliata ricostruzione dei fatti a opera di Michele Smargiassi, appare un altro aspetto angosciante, ovvero si dice che il 29 dicembre la famiglia è notata nei pressi della Sala Borsa, vengono chiamati gli assistenti sociali e «Rapporto dei medesimi: “Sembra una famiglia felice».

Sul Il Fatto Quotidiano è Maurizio Chierici a commentare l’accaduto: «Due già finiti in una casa protetta, questi li volevano per loro, amore incosciente dalle tasche vuote: fra le luci dello shopping David è volato via».
Maria Giovanna Maglie su Libero sposta il tiro del commento sulla troppa attenzione che viene data, a Bologna come in tutta Italia, ai figli degli immigrati e meno ai figli nostri, riportando il pensiero del consigliere della Lega Manes Bernardini: «le nostre istituzioni dovrebbero al più presto ripensare e correggere i meccanismi fin qui adottati per garantire ai bisognosi certe forme di assistenza. Come Lega Nord puntiamo da sempre il dito contro l’attuale sistema di assegnazione delle case popolari e di erogazione di altri servizi sociali che vedono i cittadini bolognesi sempre in fondo alla coda di coloro che chiedono aiuto».

il Giornale di Milano affida dapprima a Giordano Bruno Guerri e poi a Cristiano Gatti due commenti duri e capaci di fare breccia. Dapprima è Guerri: «A due genitori, o si decide di togliere tutti i bambini, perché non li si ritiene in grado di provve¬dere alla loro vita, o glieli si lascia tutti, aiutandoli». E ancora in bella evidenza la dura presa di posizione (riportata da tutti i quotidiani, compresa La Stampa) del direttore della Caritas Diocesana: «È il fallimento di quelle strutture assistenziali che oggi dicono "rifiutavano ogni aiuto". Se dei poveracci - con in braccio due neonati e un infante ridotti allo stremo - rifiutano ogni aiuto, non è come quando qualcuno risponde "Un caffè? No, grazie": l’aiuto deve consistere nel convincerli che non ne possono fare a meno, non nell’abbozzare con un "Prego"».

Per il direttore della Caritas diocesana di Bologna, Paolo Mengoli, la morte del neonato è il segno di una carenza dei servizi sociali e di lacune non piccole. «A questa città manca un vero padre di famiglia. I servizi, - ha dichiarato ancora Mengoli – dovrebbero avere la possibilità di valutare le situazioni, senza rimandarle alle calende greche [...] e la responsabilità non so di chi sia, ma c’è un’organizzazione che non funziona».
Le parole di Mengoli trovano ampio spazio ed approfondimento sul quotidiano Avvenire con una intervista allo stesso dove ritorna la paura dei genitori (riportata da quasi tutti i quotidiani) a rivolgersi ai servizi sociali per timore venissero loro tolti anche questi due figli (ci sarebbe molto da meditare su questo fatto).

Sempre su Avvenire è l’inviato Stefano Andrini a parla del piccolo Angelo morto in una città intera con gli occhi chiusi.
L’Unità ci sorprende dando voce, in una intervista, a Stefano Zamagni (economista, uno dei collaboratori alla stesura della enciclica Caritas in veritate) della quale riportiamo questa risposte che entrano a gamba tesa nella polemica riportata da tutti i giornali sul fatto che, pare, i genitori abbiamo rifiutato gli aiuti. «Provi lei a voler dare da mangiare ad un anoressico. La malattia in questi casi è il rifiuto, lo sanno tutti. Come si fa a dire: siccome rifiutano l’aiuto, li lasciamo al loro destino? Queste persone in grande difficoltà hanno perso l’autostima e non vogliono aiuti perché non vogliono sentirsi ulteriormente umiliati. Quindi, se li si vuole aiutare, occorre adottare una strategia tale da indurre la domanda di aiuto».

Durissimo e pieno di rabbia anche il commento di Cristiano Gatti, ancora su il Giornale, in un articolo che vale la pena leggere per intero, il quale, dopo aver proposto per Devid i funerali di Stato, offre prima una feroce critica del sistema di assistenza italiano e del gioco al fuggire dalle proprie responsabilità e poi la conclusione di speranza che facciamo nostra: «"È una sconfitta per la città, un'incredibile vergogna". Non lo dicono Bondi e Cicchitto, ma Raffaele Donini, segretario provinciale del Pd. Le parole suonano come tragico epitaffio terreno sul destino ingiusto di Devid. Ma per lui suonano molto più consolanti le parole pronunciate duemila anni fa: "Gli ultimi saranno i primi". Se così è, il piccolo sta sicuramente godendosi la più comoda delle suite celesti, là dove esiste giustizia».