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GUERRA PATRIOTTICA

A Mosca si è persa l'occasione per ricucire l'Europa

La Russia che celebra il 70mo anniversario della Grande Guerra Patriottica, con una parata muscolare quanto inquietante, cancella il Ribbentrop-Molotov e la responsabilità storica di aver dato il via al conflitto, assieme a Hitler, nel 1939. Manca l'autocritica, manca la volontà di ricucire l'Europa. Un'occasione perduta.

Esteri 14_05_2015
Ribbentrop-Molotov

L’appena trascorsa commemorazione del settantesimo anniversario della fine del secondo conflitto mondiale ha confermato il deterioramento delle relazioni intereuropee a tal punto da lasciar aperti gli spazi a nuovi amari, inaccettabili sviluppi. Poteva invece avviare il superamento dell’attuale gravissima crisi nei rapporti tra l’Unione Europea e la Federazione Russa, ma era indispensabile che quest’ultima riconsiderasse quella parte della storia che aveva generato il conflitto e ne decidesse il rigetto. Non è avvenuto. L’ha semplicemente rimossa dalla memoria   enfatizzando invece come non mai la conclusione con una spettacolare e inquietante manifestazione di potenza militare. Le strade dell’intesa e della cooperazione, che dopo la caduta del regime sovietico si erano aperte, sono adesso talmente devastate e offuscate da apparire impercorribili. 

In fondo, già fin dall’inizio, le manifestazioni rievocative si erano mostrate   divergenti. Perché mentre la Federazione Russa di Vladimir Putin ha voluto esaltare e glorificare soltanto la vittoria della “grande guerra patriottica” iniziata nel 1941 con l’invasione nazista del territorio dell’ Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e conclusasi nel 1945 con l’entrata dell’Armata rossa a Berlino, le nazioni dell’Europa occidentale hanno dovuto ricordare che la seconda Guerra mondiale è cominciata nel 1939, come conseguenza del “brigantesco accordo” del 23 agosto di quell’anno tra la Germania nazista di Hitler e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di Stalin, il cosiddetto Patto Ribbentrop-Molotov, che aveva dischiuso la spartizione della Polonia e relativa annessione; nonché l’aggressione, il 30 novembre, dell’URSS alla vicina Finlandia (guerra finita con l’ incorporazione della Carelia e di gran parte della Lapponia) e la progressiva occupazione militare e annessione delle tre Repubbliche baltiche (Lettonia, Estonia e Lituania). Eventi che avevano determinato il 14 dicembre l’espulsione dell’URSS dalla Società delle Nazioni, l’ONU di allora.

Le celebrazioni del settantesimo anniversario della sconfitta del nazi-fascismo dovevano manifestare a tutta l’Europa e al mondo intero che era passato quell’infausto periodo di follia, olocausti, orrori, campi di sterminio, prevaricazioni e sopraffazioni e che il mantello del perdono era stato disteso sulle sue incalcolabili vittime. Ma questo era mai possibile quando, consolidato il presidente Putin il suo potere, la Federazione russa ha ripreso l’antica e mai ripudiata politica nazionalista e di espansione territoriale (avviata, come noto, dall’Impero russo e proseguita dal regime comunista sovietico), intervenendo nel Caucaso prima nei confronti della Cecenia, poi della Georgia (con l’annessione dell’Abkhazia e dell’Ossezia) e di recente – reagendo al rovesciamento del regime filo-russo a Kiev – con l’occupazione e annessione della Crimea, per quanto avallata da una sorta di referendum, e con la guerra in corso nelle due regioni ucraine confinanti di Luhansk e Donetsk? Dove mai sono andati a finire i principi e i valori su cui si reggono il rispetto delle nazioni e le relazioni internazionali?  Come non considerarli? E come non comprendere e condividere i timori di paesi europei custodi di una memoria storica costellata di deportazioni, cadaveri, oltraggi e pertanto gelosi della loro indipendenza?

Eppure qualche osservatore di casa nostra ha scritto che si rivelerà “un boomerang per l’Unione Europea” la marcata assenza dei leader dei suoi paesi membri, ed anche degli Stati Uniti, dalla imponente parata militare nella piazza Rossa; tanto più appariscente, aggiungiamo noi, per la presenza invece di quelli della Cina e dell’India soprattutto, di Cuba, del Venezuela, dello Zimbabwe, del non ancora nato Stato di Palestina e di altri paesi di Africa e Asia. Perché “questa specie di schiaffo diplomatico è vissuto come un insulto rivolto a tutti loro (i russi) non a Putin”, in quanto “dei 70 milioni di morti, civili e militari provocati da quella guerra, almeno 23 milioni furono russi”. Senonché con il puntiglio di ricordare che “tutti i caduti Usa furono 415 mila”, ha fatto di tutta la prima erba un fascio in quanto nel novero dei russi ha inglobato milioni di bielorussi, ucraini, baltici, azeri, kazachi e di tutte le altre nazionalità che la dittatura comunista aveva riunito nello stato dell’Unione Sovietica e che quest’anno, con cerimonie separate, le rispettive nazioni hanno doverosamente commemorato.  

Per avvalorare lo “sgarbo” ha poi riferito con scrupolo i risultati di un sondaggio compiuto in Inghilterra e altrove in Europa, dal quale è emerso che solo il 13% degli intervistati considera “di grande importanza il ruolo giocato dai russi per arrivare alla vittoria in Europa sul nazismo. Con un massimo del 17% in Germania e un minimo dell’8% in Francia”. Tutto per far da controcanto alla propaganda del Cremlino e all’attivismo del Kgb secondo i quali i “fantasmi dell’Europa sono molto più interessati a compiacere Washington che a far funzionare Bruxelles”.

A mostrare gran rispetto ai caduti russi, l’indomani della parata militare e delle altre celebrazioni moscovite (l’oceanica sfilata di centinaia di migliaia di persone guidate da Putin che innalzavano le foto dei loro cari caduti in guerra e l’interminabile grandioso show di fuochi d’artificio), è stata la Cancelliera tedesca Angela Merkel, recandosi a deporre presso le mura del Cremlino una corona nell’area di onore al Milite Ignoto. In effetti con questo gesto, che per valore evocativo ha superato il semplice cerimoniale diplomatico, ha inteso commemorare in silenzio, e vogliamo credere anche in preghiera, tutti i caduti in guerra nella nazione ospite, vincitori e vinti. Come aveva fatto giorni prima recandosi a Volgograd, la famosa Stalingrado all’epoca della guerra, il ministro degli Esteri tedesco. E come avrebbero fatto il 9 maggio, unendosi a Mosca soltanto alla cerimonia dinanzi alla fiamma ardente per il Milite Ignoto, i ministri degli Esteri italiano e francese.

Angela Merkel, Vladimir Putin

Un evento che avrebbe potuto segnare una svolta, avviare la ricomposizione della gravissima crisi tra l’Unione Europea e la Federazione russa, segnata oltre che dalle pesanti reciproche sanzioni economiche dal quotidiano stillicidio di soldati ucraini uccisi e feriti. Ma la fredda e triste conclusione del colloquio tra la Cancelliera e il Presidente sembra aver chiuso questa prospettiva. I volti di entrambi, tirato quello di Angela Merkel, gelido quello di Vladimir Putin, rivelavano che la loro muta riflessione di qualche ora prima sugli eventi, la cause, le conseguenze e soprattutto sul numero sterminato di vittime della grande guerra appena commemorata, non aveva fatto sbocciare nemmeno un segno di speranza. Le loro brevi dichiarazioni ai giornalisti confermavano la natura e la gravità del dissenso. L’occupazione e l’annessione della Crimea, strappata all’Ucraina, e poi la guerra tuttora in corso nelle due sue regioni confinanti con la Federazione Russa, hanno violato e continuano a violare i principi su cui si reggono i rapporti internazionali, il rispetto reciproco e la pace, ha detto la Merkel.

Così la Cancelliera squarciava il velo di un paradosso: non era stato forse Adolf  Hitler, capo della Germania nazista, a ordinare l’occupazione e l’annessione di Austria e Cecoslovacchia e a mettersi d’accordo con l’Unione Sovietica di Stalin per la spartizione della Polonia? E i loro paesi non erano diventati nemici dopo essere stati alleati predatori? Adesso stalinismo e nazismo gettavano la maschera delle stesse ambizioni dittatoriali e del disprezzo dell’uomo proprio come i protagonisti del celeberrimo “Vita e destino”, il capolavoro di Vasilij Grossman (introvabile nelle librerie di Mosca, perché di fatto bandito dal risorto nazionalismo putiniano). Sullo sfondo della bandiera rossa, con la falce e il martello del 79.mo reggimento entrato il 9 maggio di 70 anni fa a Berlino, Putin affermava che l’ordine mondiale potrà reggersi nel rigetto dell’unipolarismo statunitense e nel rifiuto di qualsiasi blocco. Per lasciare così esposti alle mai sopite, immutate voglie o ambizioni di Mosca, i paesi vicini, renitenti a soggiacere nella sua cosiddetta “area strategica”.