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ITALIANI A MOSUL

A guardia della diga: la nostra guerra al Califfo

Nuova missione per le truppe italiane in Iraq che si schiereranno molto vicino alla prima linea sul fronte di Mosul, a pochi chilometri dalle postazioni dello Stato Islamico. Nell’area della Diga di Mosul fino a pochi mesi or sono contesa aspramente tra i miliziani del Califfo e i peshmerga curdi.

Politica 19_12_2015
Militari italiani in Iraq

Entro i prossimi 4 mesi un battaglione di paracadutisti con unità del Genio, forze speciali e forse artiglieria (in tutto oltre 500 militari circa) verrà dislocato nell’area della diga di Mosul sul fiume Tigri, fino a pochi mesi or sono contesa aspramente tra i miliziani del Califfo e i peshmerga curdi che la riconquistarono nel settembre del 2014 grazie all’appoggio aereo statunitense. Nella battaglia l’infrastruttura è stata danneggiata e verrà riparata dall’azienda italiana Trevi spa di Cesena, che si è aggiudicata un appalto da oltre 2 miliardi di dollari, ma che per aprire il cantiere ha bisogno di condizioni di sicurezza quanto meno decenti.

Benché costretti ad arretrare verso Mosul, gli uomini del Califfo si trovano a non più di 15 chilometri dalla diga e il timore è che possano tentare di distruggerla una volta che i vedessero sconfitti nella battaglia per il controllo della città. Inaugurata nel 1983 col nome di “Diga Saddam”, l’infrastruttura è alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, ha una capacità di 11 milioni di metri cubi d’acqua e fornisce elettricità a 1,7 milioni di abitanti della regione. Il bacino artificiale è il più  grande dell'Iraq e il quarto nel mondo arabo e se la diga dovesse cedere le acque devasterebbero parte delle province di Ninive, Kirkuk e Salahuddin, causando probabilmente danni fino a Baghdad, 350 chilometri più a sud.

Anche se andrà a proteggere il cantiere di un’azienda italiana, la nuova missione militare ci è stata di fatto imposta ancora una volta dagli Stati Uniti. Non a caso è stato Barack Obama ad annunciare il «maggiore impegno contro l’Isis» dell’Italia costringendo Matteo Renzi a vuotare il sacco a Porta Porta: «Siamo in Iraq per l'addestramento, ma anche con un'operazione importante nella diga di Mosul, cuore di un'area molto pericolosa al confine con lo Stato Islamico». La diga è ora controllata dai peshmerga con consiglieri militari e forze speciali statunitensi, ma i curdi vorrebbero un maggior supporto terrestre dalla Coalizione, soprattutto per tenere sotto controllo l’area circostante tra la diga e il fronte.

Washington inoltre premeva da tempo per un maggior impegno italiano contro l’Isis, anche bellico, in cambio delle pressioni statunitensi (rivelatesi decisive) nell’indurre i due governi rivali libici a siglare l’accordo in Marocco. Renzi invece puntava a evitare di coinvolgere le forze italiane in azioni di combattimento. Per questo l’accordo che vedrà i nostri militari presidiare l’area della diga è soddisfacente per tutti anche se espone il contingente tricolore al fuoco nemico al pari dei reparti di forze speciali e consiglieri americani che affiancano le truppe irachene a ridosso della prima linea. «Non andiamo a combattere, bensì a compiere interventi per preservare la diga, un'infrastruttura fondamentale per il futuro dell'Iraq, che se abbandonata rischia di provocare un grave danno ambientale», ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

Proteggere la diga e il cantiere della Trevi non coinvolgerà gli italiani in azioni offensive ma non imprimerà nessuna svolta alla guerra sempre più ambigua al Califfato. Finora il contingente italiano della Coalizione anti-Isis è stato impiegato tra Erbil (Kurdistan iracheno) e Baghdad, con funzioni prevalentemente di addestramento e in Kuwait dove sono basati 4 bombardieri Tornado due droni Reaper e un’aerocisterna B-767A che volano sull’Iraq in missioni disarmate di ricognizione e sorveglianza. L’aspetto più critico è che l’accordo tra Italia e Usa non sembra essere stato esteso ai “padroni di casa” iracheni. Recentemente il premier Haider al-Abadi ha criticato il dispiegamento di forze speciali statunitensi in Iraq e ha condannato l‘arrivo di un reggimento meccanizzato turco a nord di Mosul, penetrato in Iraq col via libera dei curdi ma non di Baghdad.

Anche le potenti milizie scite irachene hanno reso noto che qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante, compresi gli italiani come ha riferito il portavoce delle Brigate sciite irachene Hezbollah, Jaafar al Husseini. «La nostra posizione è chiara: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata una potenza occupante a cui dobbiamo resistere». Dovremo guardarci dalle milizie sciite oltre che dai jihadisti sunniti?  In attesa di scoprirlo meglio ricordare che sono discordanti anche i pareri sulle condizioni strutturali della diga, il cui direttore, Riad Ezziddine, intervistato dall’emittente tv irachena al-Sumaria news ha detto che «alcune dichiarazioni diffuse ultimamente circa un imminente crollo della diga non si basano sulla realtà». Inoltre, Ari Harsin, deputato al Parlamento della regione autonoma del Kurdistan iracheno, ha detto che i rischi ci sono, ma dipendono dalla mancata manutenzione e ha parlato di danni quantificabili in 250/450 milioni di dollari.

Restano quindi molte le perplessità per una missione ancora una volta imposta dagli Stati Uniti (alleati sempre più ingombranti) e che ci costerà almeno 50 milioni annui oltre ai 200 già spese quest’anno per la partecipazione alla Coalizione. Sul terreno la necessità di pattugliare un’ampia area circostante la diga e il cantiere imporrà di abbinare ai veicoli Lince mezzi ruotati più grandi e meglio armati e protetti come i blindati Centauro o Freccia oppure i cingolati Dardo (“bestia nera” dei talebani) per aumentare protezione e potenza di fuoco, mezzi speciali del Genio per ripulire le strade da mine e ordigni improvvisati ed elicotteri per garantire collegamenti rapidi con la base di Erbil. In realtà, la difesa della diga potrebbe essere affidata più proficuamente a una società di contractor affiancati ai peshmerga curdi ma la decisione di inviarvi i militari italiani è tutta politica e serve a pagare ancora una volta l’obolo chiesto dagli alleati americani senza esporci in azioni belliche dirette

Eppure reparti militari come quello di paracadutisti che verrà schierato alla diga di Mosul sarebbero idonei a sbaragliare i jihadisti e cancellare rapidamente dalle mappe lo Stato Islamico se solo ci fosse la volontà concreta di farlo. Invece, con un po’ di fortuna, i lunghi tempi richiesti dal dispiegamento delle forze italiane intorno alla diga (4 o 6 mesi) potrebbero consentire alle offensive curde e irachene di respingere l’Isis più lontano o addirittura di riconquistare Mosul ridimensionando così le esigenza difensive degli italiani. Certo, mantenere truppe da combattimento “crociate” a presidiare una vasta postazione fissa in Iraq rischia di attirare contro i militari italiani orde di aspiranti kamikaze jihadisti per garantire a Trevi spa una sicurezza senza precedenti anche se in Italia i militari vengono da tempo impiegati per proteggere i cantieri in “aree difficili”: quelli della Tav in Val di Susa o quelli dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.

Ciò nonostante nessuna azienda italiana che opera in Paesi a rischio con cantieri e attività ha mai potuto contare sui parà della Folgore pagati dal contribuente. Gli armatori navali, ad esempio, hanno dovuto pagare allo Stato 3 mila euro al giorno per ottenere i team del San Marco da imbarcare sui mercantili che attraversano mari infestati da pirati e oggi pagano cifre simili per imbarcare guardie armate private.