A Diogneto
Un classico dell'apologetica cristiana da rileggere per l'eleganza e la finezza argomentativa. Un testo che sintetizza l'eccezionale testimonianza dei primi martiri della fede e dei santi nel corso dei secoli: come Giovanni Paolo II.
L’apologetica cristiana fra i suoi risultati più alti annovera il testo greco noto come A Diogneto, scritto al più tardi all’inizio del III sec. d. C. In parte apologia, in parte però protrettico, cioè esortazione, secondo Marrou, è a volte chiamato, erroneamente, Lettera a Diogneto, prendendo spunto dal vocativo in posizione incipitaria. Eppure non di lettera si tratta, ma d’un logos sulla natura del cristianesimo, che diventa un “trattato teologico-spirituale a forti tinte paideutiche” (p. 15).
È un testo da rileggere, per l’eleganza e la finezza argomentativa, nella bella traduzione commentata pubblicata per Medusa, e perché queste pagine, vicine al pensiero di Clemente Alessandrino, possono ancora illuminarci. Infatti, sembra necessaria una moderna apologetica, oggi, in un tempo in cui, anche se, o proprio perché, impera il politicamente corretto, l’unico bersaglio polemico contro cui è ammissibile, anzi, è persino indice di scafatezza, brio e vivacità intellettuale prendersela, sembra essere spesso il Cristianesimo.
Fin dall’inizio, il paganesimo, religione dell’ortoprassi, mal comprendeva una Fede rivelata, e le accuse rivolte dalla supersofisticata cultura pagana al nascente Cristianesimo erano di vario tipo; ad esempio, Minucio Felice, nell’Octavius, parlando dell’onniscienza divina, definisce il nostro Dio curiosus, “impiccione”, sempre pronto a spiare le sue creature invece di farsi i fatti propri, come le più tolleranti divinità pagane. Del resto, l’inammissibilità logica della Fede cristiana per i pagani è tutta nello scacco pastorale di Paolo davanti all’Areopago (At. 17): di fronte all’annuncio d’una nuova divinità, l’élite della cultura antica, rappresentata dai colti Ateniesi, non è contraria in linea di principio; poi, però, l’incomprensibilità della Rivelazione, quando l’Apostolo parla di Resurrezione, lo fa tacciare di creduloneria.
L’apologetica nasce, quindi, per riscattare la Fede, illustrandone i fondamenti; l’interlocutore di Diogneto, poi, sembra proprio voler parlare a chi si trova in limine, sulla soglia di un cambiamento radicale, d’una conversione, non tanto per difendere il cristianesimo, quanto per realizzare una persuasiva dimostrazione della Fede in dialogo con la ragione, tratto, questo, di stretta attualità. L’argomento più fortemente persuasivo sta nel richiamo alla felicità, all’eudaimonía, fulcro di tutta la filosofia ellenistica: l’Ad Diognetum affronta il problema a partire non dalla soddisfazione della pulsione individuale (del piacere, dell’hedoné, cui miravano le diverse scuole filosofiche), ma, con un’intuizione moderna, a partire dalla relazione con l’altro. La felicità non si ottiene soddisfacendo sconsideratamente i nostri desideri, dice l’apologista, perché praticare l’ingiustizia non dà mai gioia (X, 4-5).
E nemmeno rifugiarsi nello spiritualismo astratto assicura la felicità, perché essa non si conquista applicando formule o massime; la sua ricetta, se così si può dire, sta nella capacità dei cristiani di innervare il mondo con uno spirito buono e positivo, che guarda all’uomo e non alla norma astratta, “cercando sempre il dire di fronte all’altro e non la generale oggettivazione assiologica”(ibid.): e proprio fra queste due polarità di errore è compreso il fallimentare e inconcludente affaccendarsi (polypragmosyne VII, 1-2) dei filosofi antichi.
Volendo sintetizzare (p. 8), “la prima parola è l’accoglienza, il primo gesto è l’apertura, la prima istanza la martyría”. La religione delineata dall’Ad Diognetum è viva, con una forte componente relazionale, di testimonianza attiva: in questo senso il fresco e dinamico modello di vita delineato da quest’opera antica delinea l’attivismo positivo, non disgiunto dal rimando all’agápe che innerva il mondo da prima che l’uomo lo contraccambi, tipico di tanti Santi, Giovanni Paolo II in primis.
(traduzione e cura di) R. Gisana e A. Sichera
A Diogneto
Medusa, Milano 2008, 133 pagine, 13, 80 euro.