A chi non piace la missione "coloniale" in Libia
La missione navale italiana contro il traffico di esseri umani dalla Libia ha tanti nemici. Prima di tutti il generale Haftar, che minaccia addirittura di attaccare le nostre navi. E poi anche il redivivo figlio di Gheddafi, Saif al Islam, che (pare abbia) definito la nostra politica come un retaggio del colonialismo. Esattamente come, in Italia, la definisce Filippo Miraglia, vicepresidente dell'Arci.
Che la missione navale italiana in Libia sia sgradita a molti è apparso chiaro fin dall’annuncio dell’intesa tra Roma e Fayez al- Sarraj.
A cominciare dalle “stizzite” reazioni di Parigi con l’annuncio, poi rientrato, di Emmanuel Macron di voler istituire hot-spot per identificare i migranti in Libia, fino all’annuncio del parlamento di Tobruk (legittimo e che non ha mai accordato la fiducia al governo di al-Sarraj) di non riconoscere al premier riconosciuto dall’Onu il potere di stipulare accordi internazionali come quello con l’Italia.
A quanto riportato dal Libya Herald, la Camera dei rappresentanti ha sollecitato un intervento delle Nazioni Unite per scongiurare una crisi con l'Italia, ma il dibattito più acceso riguarda però le minacce del generale Haftar, le cui truppe stanno avanzando anche in Tripolitania, e che secondo quanto riportato da al-Arabiya, rete televisiva emiratina, quindi di un paese che appoggia anche con le armi il generale, avrebbe minacciato di bombardare le navi italiane entrate in acque libiche. Ipotesi difficile da attuare (i vecchi jet Mig e Mirage di Haftar, ereditati dall’aeronautica di Gheddafi, non sembrano in grado di attaccare con efficacia moderne navi militari) e che del resto fonti governative italiane hanno definito "inattendibile" e "infondata". Scettici anche gli ambienti Ue di Bruxelles ma secondo al-Arabiya, il generale Haftar considera la missione italiana "una violazione della sovranità nazionale libica".
L’impressione è che il generale cerchi di alzare il livello dello scontro cercando un riconoscimento ufficiale da parte di Roma, specie dopo che il suo ruolo di “uomo forte” della Libia è stato legittimato a Parigi nel summit con al-Sarraj voluto dal presidente Macron.
Quella tra Italia e Libia è una ''collaborazione seria e reale'' nella ''lotta all'immigrazione illegale'' ha dichiarato il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qassem, in un'intervista ad Aki - Adnkronos International, affermando che ''il sostegno fornito da Roma nel contrasto ai trafficanti di essere umani ci costerebbe molto di più se lo dovessimo fare a spese nostre. La Marina Militare è contraria ad ogni ingerenza straniera nelle acque territoriali libiche, ma ciò che vogliamo, in accordo con Roma, è ristabilire la sovranità libica sulle nostre acque territoriali''. In passato, prosegue Qassem, “abbiamo rifiutato molte richieste provenute dall'Italia che ritenevamo in contrasto con la sovranità libica. Abbiamo insistito sulla riattivazione dell'accordo firmato nel 2008” da Gheddafi e Berlusconi, e “ora l'Italia ci prende in considerazione molto seriamente”. Per ribadire il proseguimento della collaborazione tra Italia e Libia, nonostante le minacce di Haftar, il militare libico ha quindi ricordato che “l'8 agosto arriverà al porto di Tripoli una unità navale italiana allestita con una officina per le riparazioni navali”.
Se a Tripoli si cerca di buttare acqua sul fuoco le polemiche con Haftar vengono rilanciate da Saif Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, che ha accusato l'Italia di una politica neocoloniale e fascista verso la Libia, ricordando che è stata l'Italia a rovinare i rapporti con Tripoli consentendo agli aerei della Nato di partire dalle proprie basi, nel 2011, per bombardare città e territorio libico. Per il secondogenito del Colonnello, riporta la tv Libya 24 che però cita fonti che riportano parole attribuite a Saif, “gli italiani ripetono la scenario Nato provocando i sentimenti dei libici e l'amore verso la loro terra con l'invio di navi militari a violare la sovranità della Libia a causa del comportamento irresponsabile di alcuni funzionari libici".
Saif al-Islam però non è certo un osservatore imparziale: imprigionato dopo la guerra del 2011 a Zintan (città nell’ovest della Tripolitania alleata di Haftar e legata alla Francia) e liberato l’anno scorso dopo essere stato graziato dal governo di Tobruk, vive oggi a Baida protetto proprio da Haftar che gli ha riconosciuto il diritto di entrare in politica.
Curioso che l’accusa di “neocolonialismo” l’abbia rivolta ieri al governo italiano non solo Saif Gheddafi ma anche il vicepresidente nazionale dell’Associazione Ricreativa e Culturale Italiana (Arci), Filippo Miraglia che ha definito la missione navale in supporto alla Guardia costiera libica come ''un chiaro esempio di neocolonialismo per fini elettorali, che ha per obiettivo quello di ridurre, se possibile a zero, i flussi migratori nel Mediterraneo centrale''. Come se fosse un crimine.