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COERENZA EUCARISTICA

A chi giova il no dei vescovi Usa al peccato pubblico

Il peccato pubblico del sovrano non è mai solo una questione “personale” e i pastori della Chiesa hanno il dovere di proteggere il popolo dei fedeli dallo scandalo: non sappiamo cosa potrà provocare a livello politico l'eventuale posizione chiara dei vescovi americani; ma una cosa è certa: ribadire l’insegnamento della Chiesa sulla necessità di rifiutare l’Eucaristia «a quanti ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» provocherà una salutare riflessione su Chi sia presente sostanzialmente in questo sacramento.

Editoriali 21_06_2021 English Español

«Promuovere l’insegnamento della Chiesa e proteggere l’integrità del Santissimo Sacramento»; in queste affermazioni di Mons. Salvatore J. Cordileone, arcivescovo di San Francisco, intervenuto giovedì scorso alla trasmissione The World Over di EWTN, si trova la ragione profonda che ha portato i vescovi statunitensi a richiedere, a larghissima maggioranza (circa il 75%), che venga prodotto all’interno di un documento sull’Eucaristia il tema della coerenza eucaristica (vedi qui). Certamente occorrerà attendere il reale contenuto dello scritto annunciato, ma di certo il segnale giunto dagli Stati Uniti è un richiamo forte e salutare per questi tempi nei quali l’Eucaristia è divenuta un mero mezzo per rivendicazioni di ogni genere.

I 168 vescovi che hanno votato a favore hanno resistito intelligentemente e coraggiosamente alla trappola diffusa mediaticamente di voler usare la coerenza eucaristica come un’arma politica anti-Biden (vedi qui); ed hanno tenuto ben presente, come lo stesso Cordileone ha ricordato, che decidere su problemi morali che hanno necessariamente anche risvolti politici, non significa buttare tutto in politica.

All’interno del dibattito non sono mancate le obiezioni che già erano nell’aria. Mons. Robert McElroy, vescovo di San Diego, chiamato solo due mesi fa a far parte del Dicastero vaticano per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, ha paventato il pericolo che l’esclusione dalla Comunione di quanti sostengono pubblicamente l’aborto e l’eutanasia minerebbe l’integrità della dottrina sociale della Chiesa, sminuendo l’importanza di altre problematiche come il razzismo, la povertà o l’attacco all’ambiente.

Altri interventi hanno enfatizzato il rischio di provocare divisione. Il Cardinale Blase Cupich sembra un marziano quando mette avanti la perplessità da parte di molti sacerdoti «nel sentire che adesso i vescovi vogliono parlare di esclusione delle persone in un momento in cui la vera sfida davanti a loro è di riaccogliere le persone alla pratica regolare della fede». Evidentemente deve essergli sfuggita qualche riga del Diritto Canonico ed alcuni punti essenziali di teologia sacramentaria e morale.

E’ chiaro che ad aver provocato il dibattito all’interno della riunione dei vescovi americani sono le possibili conseguenze che una presa posizione su questo tema solleveranno, dal momento che, per la prima volta nella storia degli USA, a risiedere alla Casa Bianca è un cattolico pro-choice. Sarebbe però più corretto dire pro-right, come ha voluto sottolineare l’arcivescovo di Kansas City, Mons. Joseph F. Naumann, che ha appunto fatto notare che Biden e i DEM non parlano tanto di scelta, quanto di un diritto ad abortire. Da una parte, dunque, ci sono quelli preoccupati dei contraccolpi politici, con il rischio di non poter sfruttare appieno – per quali finalità, è tutto da vedere - la presenza di un Presidente cattolico; ma dall’altra ve ne sono altri che invece hanno compreso che ben altre conseguenze, decisamente più importanti in una logica autenticamente pastorale, potrebbero derivare dalla mancata presa di posizione sulla Comunione a chi sostiene in modo pubblico ed ostinato posizioni radicalmente contrarie alla fede cattolica su questioni di particolare gravità.

Se ne parla poco, ma il problema dello scandalo non può essere liquidato come se riguardasse la pedanteria di una manciata di pii devoti. Nella maggior parte delle situazioni sono proprio gli esempi cattivi a trascinare al male il prossimo; e quanto più la persona che commette il male gode di visibilità, approvazione, autorità, tanto più la malizia delle sue azioni può generare una vera pestilenza morale per un’intera nazione e persino per il mondo intero.

Le Scritture parlano con estrema chiarezza di come un re che commette e protegge il peccato, trascina l’intera nazione nel baratro: «Il Signore abbandonerà Israele a causa dei peccati di Geroboamo, commessi da lui e fatti commettere a Israele» (1 Re 14, 16). E ancora: «Renderò la tua casa come la casa di Geroboamo, figlio di Nebàt, e come la casa di Baasa, figlio di Achia, perché tu mi hai irritato e hai fatto peccare Israele» (1 Re, 21, 22). Anche peggio sono andate le cose al tempo dell’ellenizzazione di Israele, che sollevò la reazione dei fratelli Maccabei.

Il peccato pubblico del sovrano non è mai solo una questione “personale” ed i pastori della Chiesa hanno il dovere di proteggere il popolo dei fedeli dallo scandalo, e, in questo modo, di custodire la nazione dalle calamità che l’accettazione sistematica e diffusa del peccato – e nel nostro caso, del più abominevole dei peccati – attira sulla nazione.

La predicazione del Vangelo della vita da parte di tutta la Chiesa, ma in particolare da parte dei pastori, è semplicemente incompatibile con l’idea che possa essere accolto al sacramento della comunione più intima tra il fedele ed il Corpo mistico di Cristo, nel Corpo sacramentale del Signore, quanti coscientemente, ostinatamente e pubblicamente si separano dalla fede di questo stesso Corpo mistico.

Né dev’essere taciuta la reale blasfemia di accostarsi al Pane della vita eterna da parte di quanti sostengono, promuovono e realizzano azioni mortifere contro il prossimo, particolarmente quel prossimo che più di ogni altro è indifeso, in quanto la sua vita dipende totalmente da altri. L’Eucaristia è la vita di Cristo, l’Innocente, donata a noi, per strapparci dai vincoli della morte – futurae gloriae nobis pignus datur! -; l’aborto procurato traduce invece la pretesa di strappare la vita ad altri, a bambini innocenti: esiste qualcosa di più drammaticamente contrapposto?

Non sappiamo cosa potrà provocare a livello politico una eventuale posizione chiara dei vescovi americani; ma una cosa è certa: ribadire l’insegnamento della Chiesa sulla necessità di rifiutare l’Eucaristia «a quanti ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (Can. 915), provocherà una salutare riflessione su Chi sia presente sostanzialmente in questo sacramento.