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ARMI NUCLEARI

A 72 anni da Nagasaki la paura frena il disarmo

A 72 anni dalla bomba atomica su Nagasaki, la seconda e ultima mai usata in guerra, tutti condannano moralmente l'"arma totale". Ma è facile predicare il disarmo quanto difficile praticarlo. Attualmente ci sono 9 potenze nucleari nel mondo e il loro numero è in crescita. Il pericolo di un conflitto atomico è ancora attuale. Specie a causa dell'incognita costituita da nuove potenze nucleari la cui dottrina è ignota. Per non parlare del possibile terrorismo nucleare.

Esteri 09_08_2017
Corea del Nord, parata

Il 6 agosto 1945 e il 9 agosto successivo, le prime e ultime bombe atomiche vennero impiegate in guerra. Furono sganciate da bombardieri americani sulle città giapponesi di Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto), provocando 240mila morti e la fine del conflitto. A 72 anni di distanza, il 6 agosto a Hiroshima si celebra il funesto anniversario. Il periodo che va dal 6 agosto e si conclude oggi è dedicato, in tutto il mondo, alla consapevolezza della minaccia nucleare. Le armi atomiche non sono mai più state impiegate in un conflitto, non hanno più provocato morti. Tutti, nessuno escluso, condannano l’immoralità dell’arma totale, la più distruttiva mai concepita dall’uomo. Eppure le atomiche tuttora pronte all’uso sono migliaia, riempiono gli arsenali di almeno 9 paesi. E non è detto che la nostra generazione non assista a un loro secondo impiego.

Prima di tutto è bene fare un piccolo ripasso dei paesi che dispongono di armi nucleari. Sono: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord. Nell’elenco compariva anche il Sud Africa, fino alla fine degli anni ’80. Tuttavia, finito il regime dell’apartheid e il lungo ostracismo internazionale, il Sud Africa è stata l’unica potenza nucleare che si è volontariamente disfatta del suo arsenale. Purtroppo nessun altro paese ha seguito l’esempio. Anzi, la lista delle potenze nucleari, negli anni 90 si è allungata con Pakistan e India. E negli anni 2000 con la Corea del Nord. Il prossimo a compiere il test potrebbe essere l’Iran, magari già alla fine di questo decennio. L’allungamento della lista delle potenze nucleari è la chiara dimostrazione del fallimento del Trattato di Non Proliferazione, il principale strumento diplomatico con cui la comunità internazionale ha cercato di frenare la diffusione della tecnologia nucleare militare.

Negoziato a partire dal 1968 e firmato nel 1970, il Trattato di Non Proliferazione è attualmente siglato da 191 paesi in tutto il mondo. Tre paesi non hanno mai aderito al Trattato: Israele, India e Pakistan. Gli ultimi due sono dichiaratamente potenze nucleari. Israele, invece, non ha mai ammesso di avere armi atomiche (ma è il classico “segreto di pulcinella”, perché possiede, a seconda delle stime, dalle 200 alle 300 testate nucleari). La Corea del Nord ha aderito nel 1985, ma solo per mascherare i lavori in corso del suo programma nucleare. Una volta che questo venne portato a termine con successo, il regime di Pyongyang si è ritirato dal Trattato nel 2003. Nel 2015 l’Iran, che ha aderito al Trattato, ha anche firmato gli accordi di Vienna, con cui si impegna a non produrre armi nucleari in futuro. Ma la sua sincerità è sospetta, perché fino ad ora ha continuato a raffinare uranio arricchito, utile anche a produrre testate nucleari.

Più che il numero preoccupa la dottrina di impiego. Ogni paese ha la sua, fissa una “linea rossa” passata la quale prende in considerazione l’uso delle armi nucleari. Non sempre queste “linee rosse” sono tracciate in modo razionale. Per tutti gli anni della Guerra Fredda, gli Usa seguirono la dottrina del “primo impiego”: in caso di invasione sovietica dell’Europa occidentale (o della regione del Golfo Persico, a partire dalla Dottrina Carter del 1980), anche solo con armi convenzionali, gli Usa si sarebbero riservati il “diritto” di lanciare per primi le armi nucleari sull'esercito invasore. Questo scenario è datato. Anche se la dottrina del “primo impiego” è sempre teoricamente in vigore negli Usa, l’uso di armi nucleari oggi verrebbe preso in considerazione solo in casi veramente estremi. Questo vale, attualmente, anche per le due potenze nucleari europee, Regno Unito e Francia. La Russia ha ereditato l’arsenale sovietico e l’ha modernizzato. Con la modernizzazione è seguita anche la riforma della dottrina: sin dal 1993, si è passati dalla quella del “secondo colpo” sovietica a quella del “colpo di de-escalation” russa. Detto in parole povere: in caso di sconfitta convenzionale, la Russia farebbe ricorso a un limitato lancio di armi nucleari per intimidire il nemico e indurlo a firmare un armistizio. Una dottrina dettata dalla disperazione dell’esercito russo post-sovietico, incapace di reggere, allora, alle sfide poste dai potenziali nemici con le sue sole forze convenzionali. Man mano che procede la modernizzazione delle forze convenzionali russe, la dottrina della de-escalation (che c’è ancora, comunque) perde terreno e viene presa sempre meno in considerazione nelle esercitazioni. La Cina ha una dottrina puramente difensiva, un “secondo colpo”. In caso di attacco nucleare, grazie alla vastità del suo territorio, all’immensità della sua popolazione e allo schieramento delle sue armi in bunker irraggiungibili, la Cina è sicura di sopravvivere e di riservarsi un secondo colpo di rappresaglia. Tuttavia, con la modernizzazione della marina e con la crescita delle spinte espansioniste verso il Pacifico occidentale e il Mar Cinese Meridionale, la Cina sta riformando anche la sua dottrina nucleare. Un processo che non è ancora finito, ma che potrebbe concludersi con l’adozione di una dottrina più aggressiva.

I veri pericoli, però si annidano laddove non conosciamo neppure la dottrina nucleare. Non sappiamo quando Israele, ad esempio, potrebbe ritenere giunto il momento di lanciare le sue testate. Che ufficialmente non possiede neppure. Tuttavia, nella guerra del 1973, il governo israeliano, anche se con parte del territorio invaso da eserciti nemici, dimostrò di mantenere i nervi molto saldi. Già allora disponeva dell’arma atomica e non la usò. Difficile dire, invece, come si comporterebbe il Pakistan in caso di invasione indiana. L’arsenale del Pakistan è quello che cresce più rapidamente in tutto il mondo. Crescono soprattutto le armi nucleari tattiche, impiegabili sul campo di battaglia, anche nelle prime fasi di una guerra con l’India. Dall’altra parte, anche l’India dispone di un arsenale con più di 100 testate. Il paese fondato da Gandhi proclama una dottrina del “secondo colpo”. Ma è la postura convenzionale indiana ad essere diventata più aggressiva nell’ultimo decennio: in caso di scontro con il Pakistan, o anche di un grave attentato terroristico riconducibile al paese musulmano nemico, l’India è pronta a lanciare un attacco convenzionale preventivo, portando la guerra sul territorio pakistano. Ciò potrebbe innescare una guerra nucleare in pochi giorni. Non va dimenticato, poi, che è sempre rimasta l’inimicizia fra l’India e la Cina (alleata del Pakistan) e tuttora avvengono incidenti militari sul lungo confine comune. Sia India che Cina sono potenze nucleari ed entrambe dispongono i missili capaci di coprire l’intero territorio del nemico. Infine c’è il mistero della Corea del Nord. Kim Jong-un ha annunciato, l’anno scorso, una dottrina “responsabile” e difensiva: l’atomica deve scoraggiare un attacco statunitense e sudcoreano al regno eremita. Ma c’è da fidarsi di un personaggio volubile (e non si sa quanto mentalmente stabile) come Kim Jong-un?

L’Iran, poi, costituisce un’incognita ulteriore. Se dovesse dotarsi dell’atomica, prevarrebbe la razionalità a Teheran, o il “martirio” di massa? Non solo: la prospettiva stessa di un Iran nucleare sta spingendo l’Arabia Saudita a procurarsi le sue armi atomiche. Gliele potrebbe vendere il Pakistan, il cui programma nucleare era foraggiato dai sauditi. L’Iran appoggia scientemente movimenti terroristi internazionali, come Hezbollah. Che freno potrebbe mai avere un terrorista islamico suicida, se disponesse di un’arma atomica? O anche solo di una bomba sporca, cioè di esplosivo convenzionale misto a materiale radioattivo? Lo stesso problema è già attuale in Pakistan, da anni, dove operano movimenti terroristi sunniti quali lo Stato Islamico, Al Qaeda e varie sigle dei Talebani. Che cosa potrebbe accadere alle nostre città, se uno di questi gruppi si impossessasse anche solo di una singola testata nucleare pakistana? 

Le dottrine di impiego delle armi nucleari delle nove potenze che le possiedono, si “incastrano” fra loro in modo da scoraggiare il disarmo. Ciascuna ha i suoi nemici che teme e contro i quali tiene in serbo anche l’arma totale. Senza contare la minaccia terroristica nucleare, che non ha precedenti e resta un’incognita assoluta, terrorizzante. E’ questo il nodo principale della questione: il terrore. In teoria dovrebbe indurre tutte le potenze nucleari a disfarsi dei propri arsenali. In pratica, però, è la paura della bomba (del nemico) che fa sì che, a 72 anni da Hiroshima e Nagasaki, gli arsenali siano ancora pieni.