7 ottobre, giornata di preghiera e digiuno: tacciano le armi
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Mentre si attende l'annunciata risposta militare di Israele contro l'Iran, e la guerra imperversa a Gaza e in Libano, la Chiesa di Gerusalemme chiama oggi tutti alla preghiera e al digiuno per la pace, nel primo anniversario della terribile strage compiuta da Hamas in territorio israeliano, che ha precipitato tutto il Medio Oriente in un vortice di odio e violenza senza precedenti.
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Il 7 ottobre è sicuramente l’11 settembre degli israeliani. Un giorno drammatico, che ha fatto riemergere una paura sempre radicata nella popolazione, ma che ha evidenziato, soprattutto, le falle della sicurezza. Da più parti si invoca la pace. Si chiede di deporre le armi. Ma sono parole inascoltate.
La Chiesa indice una giornata di preghiera e digiuno in occasione del funesto anniversario. Con lo sguardo rivolto all’icona della Salus Populi Romani, collocata sull’altare maggiore della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, nel pomeriggio di ieri, domenica 6 ottobre, il Santo Padre ha presieduto la recita del Rosario. Un momento di preghiera, in comunione con tutti i cristiani, per invocare la pace nel mondo in quest’ora drammatica, mentre i venti di guerra soffiano sempre più forti e minacciosi in tutto il Medio Oriente.
Nella basilica, gremita di fedeli e alla presenza dei partecipanti al Sinodo sulla sinodalità, iniziato lo scorso 2 ottobre, il papa ha invocato l’intercessione di Maria Regina della pace. Erano presenti anche i sacerdoti del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, attualmente a Roma per motivi di studio, preoccupati per quanto sta accadendo a Gaza, in Cisgiordania e in Libano. Alcuni di loro hanno svolto il loro ministero nei luoghi oggi bersaglio della furia dell’esercito israeliano. Sono tutti in ginocchio e con il rosario in mano. Pensano ai loro ex parrocchiani, e in particolare, a quelli che sono stati uccisi o feriti.
«Domani (oggi per chi legge) sarà trascorso un anno dall’attacco terroristico contro la popolazione in Israele, alla quale rinnovo la mia vicinanza - aveva detto, poche ore prima, papa Francesco all’Angelus -. Non dimentichiamo che ancora ci sono molti ostaggi a Gaza, per i quali chiedo l’immediata liberazione. Da quel giorno il Medio Oriente è precipitato in una sofferenza sempre più grave, con azioni militari distruttive che continuano a colpire la popolazione palestinese. Questa gente sta soffrendo tantissimo a Gaza e negli altri territori. Si tratta perlopiù di civili innocenti, gente che deve ricevere tutti gli aiuti umanitari necessari. Chiedo un cessate il fuoco immediato su tutti i fronti, compreso il Libano. Preghiamo per i libanesi, specialmente per gli abitanti del sud, costretti a lasciare i loro villaggi».
Sono i cristiani, quelli che probabilmente soffrono di più in questo contesto. La guerra ha dissotterrato antichi rancori, oggi la vendetta e l’odio hanno raggiunto livelli carichi di rivalse. I cristiani, nonostante le forti angherie che subiscono, cercano una convivenza di pace, sia con gli ebrei, che con i musulmani. E se quest’ultimi invocano Allah perché è grande e gli ebrei sottolineano che Dio è con loro, i cristiani proclamano, invece, che Dio è amore, la più sublime intuizione sull’Essere Supremo che sia mai stata espressa.
Guerra, morte, violenza, odio, distruzione, vendette. Dopo un anno di quest’assurdo conflitto, sono parole che hanno creato assuefazione, un pericoloso adattamento; la guerra, infatti, aumenta la sfiducia e la rassegnazione.
Molti ormai stanno lasciando Betlemme e anche Gerusalemme. Sono preoccupati per il futuro dei loro figli. Le violenze sono ormai considerate azioni normali, inevitabili. Il rispetto della dignità umana e della vita non esiste più. In Terra Santa, l’indifferenza, «una delle parole più brutte del nostro vocabolario» utilizzando le parole della senatrice Liliana Segre, ha preso il sopravvento: si finge di non vedere cosa di orrendo sta accadendo.
Oltre a fuggire dai bombardamenti, la popolazione deve lottare anche con la carestia che semina ugualmente morte, perché si è costretti a consumare cibo contaminato dal fosforo e acqua inquinata. Si attende con fiducia l’aiuto della Chiesa, di quella Chiesa Madre, che attraverso i suoi pastori, non ha abbandonato coloro che sono nel bisogno. «È uno dei momenti più difficili e dolorosi della storia della Terra Santa», ha dichiarato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa.
In questo vortice di violenza e di odio, mai visto prima, «è necessario pregare, portare il nostro dolore e il nostro desiderio di pace a Dio», ha detto Pizzaballa. E i fedeli della Chiesa Madre, da Cipro alla Giordania, da Israele alla Palestina, si raccoglieranno oggi in preghiera e digiuneranno per la pace, «preservando il cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno» come auspicato dal loro patriarca. Oggi, alle 17 (ora italiana) il cardinale Pizzaballa presiederà l’adorazione eucarestica nella concattedrale, situata nel cuore del quartiere cristiano di Gerusalemme.
Dopo 365 giorni di guerra è evidente che la diplomazia ha fallito e il conflitto rischia di espandersi in tutta la regione. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato: «Nessun Paese accetterebbe raffiche di razzi sui propri cittadini» rivendicando così il diritto di rispondere all’attacco dell’Iran.
Ma è ora che le armi tacciano. Che la legge del più forte si fermi. Se Macron chiede di non inviare più armi ad Israele, Donald Trump invita Tel Aviv a distruggere i siti nucleari dell’Iran. Gli alleati d’Israele procedono in ordine sparso, le Nazioni Uniti stanno attraversando una crisi di identità e Washington mostra le proprie debolezze.
Gaza, il Libano e ora l’Iran. La risposta israeliana non si farà attendere, anche se «non sono stati decisi ancora gli obiettivi», ha dichiarato, mentre scriviamo, il ministro della Difesa Yoav Gallant. Netanyahu ha incontrato le truppe impegnate al confine con il Libano. «Se Israele agisce, non ci saranno dubbi che verrà effettuato un contrattacco iraniano. È stata predisposta una lista di molti obiettivi – affermano in una nota i dirigenti iraniani –. Il piano sarà la risposta necessaria ad una possibile azione dei sionisti».
Mentre a Gaza l’aviazione israeliana bombarda una scuola e una moschea a Deir al-Balah, uccidendo 24 persone e ferendone 93, a Beersheba, nel sud di Israele, un nuovo attentato terroristico, nei pressi della stazione degli autobus, ha provocato la morte di una persona e il ferimento di otto, mentre il terrorista è stato neutralizzato. L’attacco israeliano a Gaza, per le forze israeliane, è stata un’azione mirata contro i miliziani di Hamas, ma sono morti donne e bambini. In Libano nonostante il martellamento dell’aviazione israeliana, Hezbollah continua a lanciare missili contro Israele. Un ordigno ha colpito una casa nel nord del Paese, ferendo tre israeliane.
Se ci sarà pace a Gaza le ostilità cesseranno anche sugli altri tre fronti di guerra, ma i mediatori non possono che riproporre la soluzione dei “Due stati”. Ma con quale leadership, e soprattutto con quali confini, visto che i coloni, con la complicità del governo, continuano ad occupare territori palestinesi?
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