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MEDIO ORIENTE

Dialoghi senza pace, ancora nessuna tregua a Gaza

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Nonostante le proteste americane e dell'opinione pubblica, Netanyahu tira dritto: Hamas non può porre condizioni di pace. Sfuma l'occasione di un'altra tregua.

Esteri 08_02_2024
Benjamin Netanyahu al fronte (La Presse)

Nonostante le pressioni americane e le proteste dei familiari degli ostaggi tuttora nelle mani di Hamas, Netanyahu prosegue imperterrito per la sua strada. I vertici del gruppo terroristico che controlla Gaza, sotto pressione di Egitto, Qatar e Arabia Saudita, hanno invece, dovuto ammettere che nell’ultima mediazione proposta sono presenti degli aspetti positivi, anche se si insiste sul cessate il fuoco definitivo.

Ora tocca ad Antony Blinken, Segretario di Stato Usa, che ha dato il via alla spola tra Arabia Saudita, Egitto e Qatar, per smussare le posizioni dei vari attori della scacchiera, ma soprattutto con Israele. Dopo aver incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog, ribadendo il sostegno degli Stati Uniti al diritto di Israele di garantire che eventi come quelli del 7 ottobre non si ripetano più, ha avuto uno scambio di opinioni con Mahmoud Abbas, noto come Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese, al quale ha garantito che gli Stati Uniti sosterranno la nascita di uno Stato palestinese per garantire pace e sicurezza sia ai palestinesi, che agli israeliani. Ma molto atteso era il faccia a faccia tra Blinken e Netanyahu, al quale il Segretario di Stato americano ha ribadito la preoccupazione della Casa Bianca per l’espansione dell’operazione di terra nella città di Rafah, nel sud di Gaza, con il rischio di creare contrasti anche con l’Egitto.

Netanyahu, nel corso di una conferenza stampa, oltre a respingere le richieste di Hamas, ha ribadito che è indispensabile distruggere l’organizzazione terroristica, riportare a casa gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele. In un’altra conferenza, ma separata, Blinken ha ribadito la preoccupazione della Casa Bianca per un eventuale allargamento del conflitto nel resto della regione. Ha poi affermato che nonostante si sia concentrati sulle molte cose da fare, si spera ancora sulla possibilità di riprendere la trattativa interrotta per il rilascio degli ostaggi.

Oggi sono previsti altri incontri, e mentre le trattative proseguono a ritmo serrato, dalla Striscia giungono notizie sempre più raccapriccianti: 31 dei 136 ostaggi imprigionati nei cunicoli sotterranei di Gaza sarebbero stati uccisi. È questo il più grave bilancio per Israele, dopo quel tragico 7 ottobre, in cui persero la vita 1139 cittadini israeliani in seguito all’attacco improvviso del gruppo di Hamas.

Ma il conteggio delle vittime potrebbe allungarsi. I servizi segreti israeliani parlano di altri 20 ostaggi di cui non si hanno più notizie. L’esercito israeliano sta impiegando tutte le risorse a disposizione per avere più informazioni possibili.

Il nodo più spinoso della trattativa è il cessate il fuoco totale e il ritiro dell'esercito dalla Striscia, visto che il governo di Netanyahu considera queste condizioni di Hamas "inaccettabili". Infatti, in più di un'occasione, il primo ministro israeliano ha sostenuto la necessità di continuare la guerra sino all'annientamento di Hamas. Ma resta il nodo che per riportare a casa i prigionieri è necessario scendere a patti con Hamas, che ha impiegato più di una settimana per rispondere alla proposta, illustrata a Parigi, lo scorso 28 gennaio, da funzionari israeliani, americani, qatarioti ed egiziani.

La proposta “messa sul tavolo” prevede un primo cessate il fuoco di sei settimane e il rilascio graduale degli ostaggi in cambio dei palestinesi presenti nelle carceri israeliane. L'ala politica di Hamas chiede oltre 3mila prigionieri in cambio dei civili israeliani. Tra i carcerati, di cui Hamas chiede la liberazione, ci sono molti condannati all’ergastolo, tra i quali Marwan Barghouti. I mediatori dei vari paesi, dal canto loro, sperano che durante la tregua si possa negoziare per un blocco definitivo della guerra.

Intanto l’Arabia Saudita, attraverso il ministro degli Esteri del Regno, ha rimarcato che Israele deve riconoscere lo Stato della Palestina sulla base dei confini già stabiliti dalle Nazioni Unite nel 1967, con Gerusalemme Est capitale. Solamente a queste condizioni ci potranno essere relazioni diplomatiche tra il Regno Saudita e Israele. Il ministro ha poi aggiunto: «Il Regno ha rinnovato recentemente, a tutti i componenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che non hanno ancora riconosciuto lo Stato palestinese, di accelerarne il riconoscimento, entro, ovviamente, i confini del 1967». 

Intanto a Gaza la guerra prosegue. Almeno altri 107 palestinesi sono stati uccisi e altri 143 sono rimasti feriti tra lunedì e martedì scorsi, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute di Gaza. Questo nuovo aggiornamento porta il bilancio delle vittime palestinesi, dall’inizio dell’operazione di terra, a 27.708 e i feriti a 67.147.  La Mezzaluna Rossa ha fatto sapere, martedì scorso, che l'ospedale al-Amal di Khan Younis, è rimasto sotto assedio israeliano per due settimane, sottoposto a violenti bombardamenti e a continui attacchi da terra, che hanno ferito numerosi pazienti ricoverati nel nosocomio. Mentre al valico di Karem Shalom, nel sud di Israele, numerosi manifestanti israeliani hanno impedito che i mezzi con gli aiuti umanitari entrassero nella Striscia.

Nel frattempo, in Cisgiordania la situazione è sempre  più esplosiva e la popolazione è stretta in una morsa. Non c’è giorno che l’esercito non compia incursioni. Un convoglio israeliano, composto di veicoli militari e di ruspe, ha preso d'assalto, martedì scorso, la città di Jenin nella Cisgiordania. I soldati israeliani hanno attaccato poi il centro di Tulkarem, imponendo un assedio al campo di Nur Shams, mentre le ruspe distruggevano le infrastrutture vicine. Sempre in Palestina, i medici sono in agitazione: da mesi non percepiscono lo stipendio pieno. Per gli insegnanti è lo stesso: le scuole sono aperte, le università tengono lezioni da remoto, ma del salario, già magro, ne ricevono solo la metà. La «fortuna» è che quasi in ogni famiglia c’è un componente che lavora nella pubblica amministrazione e che può così assicurare un minimo di sopravvivenza.