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Zuppi come Prodi: vuole il Partito della Felicità

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L'ultima iniziativa dell'arcivescovo di Bologna è un percorso con i sindaci di 31 comuni: obiettivo un "Manifesto per la felicità pubblica". È una forma di utopia pericolosa, che non c'entra nulla con il cristianesimo e con la Chiesa.

Editoriali 29_09_2025

Il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani e arcivescovo di Bologna ha tenuto nel seminario diocesano di villa Revedin la prima di una serie di riunioni con 31 sindaci di comuni che rientrano nel territorio della diocesi di Bologna, di diverso orientamento politico. Gli incontri per “organizzare la speranza” continueranno nei prossimi mesi e una prima fase del percorso si concluderà il 6 giugno 2026 con la firma di un “Manifesto per la felicità pubblica” che nel frattempo i 31 avranno redatto. Dopo quel momento si allargherà lo sguardo oltre il territorio bolognese tramite l’incontro con Mattarella e il coinvolgimento dell’Anci. I lavori, all’insegna del dialogo, dell’amicizia e dello scambio di esperienze, partono quindi “dal basso”, come tiene a specificare Zuppi, e saranno guidati dai quattro princìpi di papa Francesco: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte.

A leggere il titolo del Manifesto in programma ci corre un brivido lungo la schiena. Se la politica pretende di fare la nostra felicità si prevedono guai grossi. I cittadini della diocesi di Bologna dovrebbero avere una grande paura di un simile progetto. L’espressione “felicità pubblica” richiama alla mente la “salute pubblica” dell’omonimo Comitato che tentò di realizzarla con il Terrore. Certamente la buona vita della comunità rimane un obiettivo alto della politica, ma non coincide certo con la felicità, che esprime un ideale utopistico molto pericoloso. In ogni caso, ammesso che la felicità sia cosa umana e di questa vita, essa deriva da altre fonti e non dalla politica.

L’espressione rimanda anche al bene comune inteso come il “bene pubblico”. Qui si incontra un’altra carenza concettuale dell’impresa. Per “bene pubblico” si intende o il bene dello Stato, inteso come “persona civitatis” ossia come il Grande Individuo, oppure si intende il bene di ogni singolo cittadino come soddisfazione dei suoi desideri e come somma numerica e a-qualitativa di queste soddisfazioni. In ambedue i casi Zuppi e la carica dei 31 sarebbero su una strada sbagliata.

Il titolo del Manifesto in questione, e quindi l’intento generale della nuova iniziativa zuppiana, richiama alla mente anche quanto promesso da Romano Prodi agli italiani alla conclusione di un dibattito con Silvio Berlusconi. Se non erro eravamo nel marzo 2006: «Perché le energie ci sono a condizione che ci mettiamo insieme. E allora sarà possibile, a mio parere, organizzare anche un po’ di felicità per noi». L’assonanza delle parole – a parte quel “un po’” di finta modestia” - con la proposta Zuppi è perfino impressionante. Si era trattato di un messianismo politico fuori luogo, molto pericoloso, che, come era prevedibile, ha dato vita ad iniziative decisamente infelici. Quando il politico promette felicità, aspettatevi grandi infelicità. Prodi insegna.

I criteri guida del percorso sarebbero i quattro principi di papa Francesco. In molti hanno notato che Zuppi non riesce a liberarsi da Francesco e questa ne è una prova ulteriore. Ora, ad essere precisi, questi quattro principi sono quattro slogan, non hanno nessuna densità teologica, non hanno valore dottrinale né magisteriale in senso stretto, non sono in grado di orientare l’azione di chicchessia. Si tratta, tra l’altro, di frasi interpretabili in senso anche molto diverso e addirittura opposto. Il tempo è superiore allo spazio: non è accettabile se si conclude col dire che tutto è sottomesso al tempo; l’unità prevale sul conflitto: non è così se l’unità prescinde dalla verità; la realtà è più importante dell’idea: non vale se per realtà si intende la situazione esistenziale e sociologica; il tutto è superiore alla parte: ma la persona è un tutto e si rapporta alla comunità politica come ad un altro tutto. I quattro princìpi possono dare vita a politiche contrarie al vero bene comune e non credo che il dialogo, l’amicizia e lo scambio di esperienze tra i 31 siano in grado di coprire questo gap concettuale piuttosto grave. Poi, vedendo queste cose, uno pensa: ma non c’erano altri principi nella Dottrina sociale della Chiesa da proporre per questa maratona di sindaci?

Dunque, si comincia dal basso, ossia dall’esistente, non vengono forniti criteri che permettano di elevarsi al di sopra dell’esistente interpretandolo cristianamente e facendolo lievitare: cosa c’entra tutto questo col cristianesimo, con la Chiesa e con la diocesi di Bologna? I 31 sindaci sono di colore politico diverso. Il che significa che tutti i colori politici vanno bene. E anche che le idee politiche su gravi questioni umane vanno bene. Al tavolo di Zuppi siederà anche chi distribuisce le pipe per il crack o chi vuole impiegare i soldi pubblici per l’educazione gender nelle scuole comunali. Senza criteri orientativi iniziali - e i principi di Francesco non lo sono - tutto diventerà ammissibile se avvalorato dal dialogo e dal consenso tra i 31. Oppure, ed è l’esito più probabile, si dedicherà il dialogo solo ad alcuni temi amministrativi, scelti con grande correttezza politicante, evitando quelli decisivi. L’unità prevarrà così sul conflitto, il principio di Francesco sarà salvo, ma si tratterà di una unità ideologica e deprecabile sia politicamente che religiosamente.



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