LIBERTA' RELIGIOSA / 19
Zimbabwe, dove la fede è temuta
Nel Paese africano le attività missionarie sono considerate con sospetto e la polizia interviene per impedire anche l'assistenza.
Cultura
23_07_2011
In Zimbabwe, nonostante la Costituzione preveda la libertà religiosa, resta in vigore una legge del 2002 sull’Ordine pubblico e la Sicurezza che pone limiti molto gravi alla libertà di riunirsi, di esprimersi e di associarsi e che spesso viene invocata dal governo per interferire anche nelle attività delle organizzazioni religiose. I gruppi religiosi non hanno bisogno di registrarsi. Devono, però, farlo le organizzazioni che gestiscono istituzioni scolastiche e sanitarie. Le scuole cristiane costituiscono circa un terzo di tutte le scuole del Paese; specialmente nelle grandi città, ci sono anche scuole islamiche, indù ed ebree.
Le attività missionarie sono considerate con sospetto, per timore che abbiano finalità politiche. In questo caso, la polizia interviene ad impedire ogni attività, persino nella distribuzione di viveri e vestiti o in altre operazioni di assistenza umanitaria. L’Istituto di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”, riferisce nel suo rapporto che i gruppi cristiani sono piuttosto critici verso il governo, “accusato di continui abusi contro i diritti umani e di una politica economica fallimentare che ha portato il Paese letteralmente alla fame. Il governo non accetta queste critiche e colpisce i gruppi religiosi con diffamazioni e intimidazioni, soprusi e violenze”.
Nel gennaio 2009, un comunicato dell’Assemblea plenaria dei Vescovi di Botswana, Sudafrica e Swaziland aveva rilevato che “Dieci mesi dopo le elezioni del marzo 2008, considerate da tutti come espressione della volontà del popolo dello Zimbabwe, il Presidente Mugabe e il suo entourage rimangono illegittimamente aggrappati al potere. Noi, i Vescovi cattolici dell’Africa meridionale, invitiamo Mugabe a dimettersi immediatamente. Rivolgiamo un appello per la formazione di un governo di coalizione che guidi la ripresa nazionale e la preparazione, nel più breve tempo possibile, di elezioni presidenziali sotto la supervisione internazionale”. Nel febbraio 2009, i leader della Sadc, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe che riunisce vari Stati della regione, riuniti a Pretoria, dopo un lungo negoziato hanno concordato un governo di unità nazionale, nel quale Robert Mugabe conserva il ruolo di presidente e Morgan Tsvangirai, capo del principale partito d’opposizione (il Movimento per il Cambiamento Democratico), diventa primo ministro.
Si è cercato così di risolvere un lungo confronto politico, sfociato spesso in scontri e violenze, tra il presidente Mugabe e Tsvangirai. Quest’ultimo contestava la vittoria al primo turno di Mugabe nelle elezioni presidenziali del marzo 2008. Il 28 maggio 2009, l’autorevole arcivescovo sudafricano Desmond Tutu ha detto che il Paese è diventato “un inferno in terra”; ma ha anche aggiunto che il governo di unità nazionale era la migliore opzione possibile e che un’effettiva alternativa potrebbe venire solo da nuove elezioni politiche. A fine ottobre 2009, Manfred Novak, il relatore speciale dell’ONU sulla tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti, non è stato fatto entrare nel Paese ed è stato bloccato e poi respinto all’aeroporto della capitale, Harare. Si era recato in Zimbabwe su invito di Morgan Tsvangirai; ma la polizia, controllata dal Presidente Mugabe, lo ha respinto.
L’Alleanza Cristiana dello Zimbabwe, della quale fanno parte cattolici, anglicani, evangelici e pentecostali, ha espresso il timore che questo possa essere il segno di una prima tappa verso la disintegrazione e il fallimento del governo di unità nazionale. “Siamo preoccupati – ha spiegato l’Alleanza – per il fatto che il crollo del governo possa scatenare delle violenze generalizzate nel Paese, con un impatto negativo sull’intera regione; e il rischio di un bagno di sangue”. Sono stati sistematici gli abusi, le intimidazioni e le vere violenze compiute da autorità e polizia contro gli anglicani: irruzioni durante le funzioni religiose, arresti di sacerdoti e fedeli, chiusura forzata delle chiese. Il governo infatti appoggia Nolbert Kunonga, ex vescovo anglicano di Harare e membro dello Zanu-PF, che nel 2007 ha costituito la Chiesa della Provincia di Zimbabwe (Cpz), una organizzazione più a carattere politico che religioso, nel tentativo di sostituirsi alla legittima Chiesa Anglicana dello Zimbabwe. In questi anni è proseguito il tentativo di questa organizzazione di acquisire beni e strutture della Chiesa anglicana.
Secondo fonti locali, la polizia più volte ha fornito aiuto alla Cpz. Così, la Cpz cerca di prendere il controllo delle scuole anglicane della provincia di Harare. Il 27 gennaio 2009 sacerdoti del Cpz, insieme alla polizia, hanno cacciato con la forza il preside e il vicepreside di una scuola secondaria superiore a Mashonaland Est, insediando al loro posto persone della stessa Cpz. Fonti locali hanno accusato i nuovi leader di utilizzare i proventi delle tasse scolastiche per gli autoveicoli personali. Tra i tanti episodi, il 29 marzo 2009 una ventina di poliziotti ha impedito ai fedeli di entrare nella Chiesa Anglicana di S. Francesco a Glen Norah, sobborgo di Harare. Poiché i fedeli si erano radunati, la polizia li ha caricati e percossi con bastoni. Il sacerdote si è rifiutato di dire alla gente di andare via; ed è stato arrestato, insieme a tre presenti, per disturbo alla quiete pubblica.
La polizia ha sparato gas lacrimogeni in aria, per intimidire la folla; e un uomo è stato ferito da un proiettile. Il sacerdote è stato poi incriminato per “istigazione alla violenza”. Il 16 marzo, la polizia ha impedito l’ingresso ad un sacerdote nella chiesa di S.Andrea, per celebrare il servizio. Ma il prete ha celebrato sotto un albero antistante la chiesa. Per disperdere la riunione, la polizia ha lanciato gas lacrimogeni. Il 22 marzo, seguaci di Kunonga hanno impedito ad alcune donne di entrare nella chiesa anglicana a Tafara, sobborgo di Harare. Le donne hanno resistito e ne è scoppiato un tafferuglio, con danni alle porte e alle finestre della chiesa. I seguaci di Kunonga hanno chiamato la polizia, che ha arrestato alcuni parrocchiani con l’accusa di avere danneggiato la chiesa. I seguaci di Kunonga hanno addirittura impedito ai fedeli anglicani di seppellire i propri morti nel cimitero anglicano di Chitungwiza.