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IL CASO

Zika e altri virus: così l’aborto è diventato epidemia

E passato quasi un anno da quando una nuova emergenza sanitaria ha scosso il mondo: Zika, un virus africano trasmesso dalle zanzare. L’allarme è scattato quando l’Oms ha l’ha messo in relazione alla microcefalia fetale. Così, l Zika è diventata lo strumento della campagna per la liberalizzazione dell’aborto. 

Esteri 03_09_2016
Emergenza Zika

Presto sarà un anno da quando una nuova emergenza sanitaria ha scosso il mondo: Zika, un virus africano trasmesso dalle zanzare Aedes aegypti (vettori anche di dengue e febbre gialla), ritenuto non particolarmente temibile finché non è sorto il sospetto che, se contratto dalle madri durante la gravidanza, possa provocare nei feti la microcefalia, una malformazione del cranio che può comportare ritardi nello sviluppo e danni cerebrali. 

L’allarme è stato lanciato dall’Oms all’inizio del 2016 in seguito a un’epidemia scoppiata in America Latina nel 2015 e che dei medici in Brasile hanno messo in relazione con la nascita di un numero insolitamente elevato di neonati microcefali: migliaia di casi, si era detto in un primo tempo, per poi scoprire che in effetti, per fortuna, quelli accertati erano poche centinaia e assai di più i falsi allarmi. 

Tuttavia l’Oms nel frattempo, senza attendere che la correlazione tra Zika e microcefalia fosse verificata, ha dichiarato il virus un’emergenza di salute pubblica mondiale per il numero di persone a rischio di contrarlo, soprattutto donne incinte. Come si ricorderà, è iniziata subito dopo una campagna serrata per la liberalizzazione dell’aborto in America Latina, dove l’aborto è proibito o soggetto a restrizioni, allo scopo di consentire alle donne incinte ammalatesi di Zika di interrompere la gravidanza evitando così di dare alla luce bambini con malformazioni: e, di fatto, permettere a ogni donna di abortire, pur senza la certezza di aver contratto il virus, essendo che la malattia provocata da Zika per lo più è asintomatica e comunque si manifesta spesso con sintomi lievi che non sempre vengono rilevati. 

La campagna, che ha visto in prima linea la International Planned Parenthood Federation, è stata accompagnata da attacchi diretti alla Chiesa cattolica accusata di essere la principale responsabile degli ostacoli culturali e legali al libero accesso a contraccezione e aborto in America Latina. In realtà, del virus si sapeva poco e, a distanza di quasi un anno, molto resta da scoprire. Mancano ancora risposte certe a domande cruciali: l’incidenza di Zika sui casi di microcefalia e su altre malformazioni, e anche quali altri eventuali modi di contagio esistono oltre alla puntura di zanzare infette. 

Il Centers for Disease Control, negli Stati Uniti, il 31 agosto ha divulgato l’esito di una serie di rilevazioni che se non altro ridimensionano l’allarme per gli effetti di Zika sui feti. Il rischio di partorire un bambino microcefalo riguarda solo donne contagiate nei primi tre mesi di gravidanza – dicono i ricercatori – e la probabilità di malformazioni è del 1-2%. Su 600 donne seguite, il 98% ha dato alla luce bambini del tutto normali. 

 «A proposito del virus Zika ci sono molti malintesi e tanta paura immotivata», sostiene la dottoressa Donna Harrison, direttore della American Association of Pro-life Obstetricians and Gynecologists, «sfortunatamente le paure sono alimentate per scopi politici». Lo scorso aprile la Planned Parenthood, che in Florida, Usa, sta conducendo una vera e propria campagna porta a porta per informare le donne sul virus Zika e sui suoi effetti, ha dichiarato che abortire i bambini che potrebbero nascere con malformazioni dovute al virus è un «diritto umano». 

Il 1° settembre il Journal of Clinical Virology ha pubblicato i risultati di uno studio condotto da ricercatori brasiliani secondo i quali la diffusione di Zika potrebbe essere sottostimata perché i suoi sintomi sono simili a quelli di altri flavivirus, ad esempio la dengue. Sul Lancet Infectious Diseases sono stati appena pubblicati dati raccolti da ricercatori dell’Università di Toronto sulla prevedibile diffusione dell’epidemia. Le aree più a rischio sarebbero in Africa, Asia e Pacifico con 2,6 miliardi di persone esposte al contagio: 1,2 miliardi in India, 242 milioni in China, 197 in Indonesia, un numero elevato, di quantificazione difficile in Africa. Quattro fattori rendono quelle regioni più pericolose di altre: i molti viaggiatori provenienti da aree in cui Zika è endemico, la scarsità di risorse destinate ai servizi sanitari, la presenza di zanzare Aedes e un clima che ne favorisce la proliferazione. 

Merita soffermarsi su questi due ultimi fattori. Da anni la lotta alla malaria, trasmessa da zanzare Anopheles, si è incentrata sulla distribuzione di zanzariere da letto trattate con insetticida, integrate in certi Paesi con insetticidi ambientali e repellenti per uso personale. Centinaia di milioni di zanzariere: a qualcosa servono, ma durante il sonno, se intatte e ogni notte ben posizionate. Però le zanzare pungono già al calar del sole e di mattina presto finché il sole non sale nel cielo. Certe specie, ad esempio quella nota come “zanzara tigre”, sono attive e pungono anche durante il giorno. In altre parole: le regioni del mondo oggi al sicuro dai virus di cui le zanzare sono vettori sono quelle in cui le zanzare sono scomparse, private del loro habitat con le bonifiche e sterminate con disinfestazioni accurate. 

Se si fosse speso di più per bonificare e disinfestare, come sarebbe stato logico fare, forse la grande emergenza Zika neanche si porrebbe. Da mesi inoltre è in corso e si va estendendo in Africa un’epidemia di febbre gialla che dall’Angola, malgrado i tentativi di contenimento, si è estesa alla Repubblica Democratica del Congo dove ha già ucciso centinaia di persone ed è considerata la peggiore epidemia degli ultimi 30 anni. L’Oms ha praticamente esaurito le proprie scorte di vaccino per vaccinare la popolazione dell’Angola.