Zanchetta, un nuovo caso di abusi lambisce Santa Marta
Le accuse al vescovo Zanchetta, sospeso dal suo incarico in Vaticano, per un'indagine su abusi sessuali. Lasciò la diocesi argentina nel 2017 per problemi di salute, ora il Vaticano parla di autoritarismo. Qual è la versione corretta? Ma la sua promozione a assessore dell'Aspa getta interrogativi sulla sua "carriera" lampo: la Santa Sede sapeva dei suoi problemi coi sacerdoti, cionostante è stato promosso ad un importante incarico di curia.
Brutte notizie sul fronte dell’occultamento di abusi sessuali da parte del Vaticano. La cosa grave è che ora il nuovo caso denunciato non solo proviene dalla patria di Francesco, ma colpisce un vescovo suo amico personale fin da quando era un semplice sacerdote nella diocesi di Quilmes, nella periferia sud della provincia di Buenos Aires. Parliamo di monsignor Gustavo Zanchetta, dimessosi misteriosamente da vescovo di Oràn nell’agosto 2017 (lo aveva nominato papa Francesco nel luglio 2013), poi nel novembre successivo nominato assessore dell’Apsa, l’organismo che si occupa della gestione del patrimonio economico della Santa Sede, fino all’astensione forzata dal lavoro annunciata nei giorni scorsi per l’avvio di una indagine su di lui per abusi sessuali.
Ancora una volta un caso di copertura di abusi sessuali arriva dunque a lambire la residenza di Santa Marta, e sempre riguardanti amici personali del pontefice, prima con l’ex cardinale Theodore McCarrick e ora con monsignor Gustavo Zanchetta.
Nel primo dei casi le testimonianze del vescovo Carlo Maria Viganò sono state lapidarie e contundenti, senza essere confutate minimamente. Nel secondo caso la forma attraverso la quale si è amministrata la sua rinuncia in tempi lampo e fuori dal protocollo ufficiale della Chiesa in casi come questi e la sua più che immediata promozione in un organismo così delicato come l’Amministrazione Apostolica della Santa Sede (Apsa) solleva ombre su papa Francesco: difficile credere infatti che si possa abbandonare una diocesi senza attendere l’accettazione di quella rinuncia e subito dopo passare da un’umile diocesi in una provincia argentina a un incarico altissimo, creato in tempi record e su misura dal Vaticano, senza che non sia coinvolto in qualche modo il suo amico Papa.
Il vescovo Gustavo Oscar Zanchetta che oggi ha iniziato a cadere in disgrazia, arrivò all’episcopato di Oràn (Salta) nell’anno 2013 semplicemente per essere stato parte della “cerchia di amici” dell’allora cardinal Bergoglio e questo nonostante le numerose testimonianze negative che pervennero al nunzio in Argentina e alla Santa Sede quando fu nominato.
Più che “pastore con l’odore delle pecore”, numerosi fedeli lo descrissero come “pastore con la pelle di lupo” portando alla luce i suoi traffici economici e gli abusi di potere praticati nella diocesi di Quilmes, nella quale aveva prestato servizio come vicario episcopale degli Affari Economici, procuratore generale del vescovado e rappresentante legale di tutti i collegi della diocesi. Nominato vescovo di Oràn a 49 anni, appena un anno dopo fu coinvolto in una disavventura che ebbe una forte ripercussione pubblica sui giornali locali, ma che è stata ignorata dalla gerarchia ecclesiastica vaticana. Accadde nel dicembre 2014 quando si servì della sua condizione ecclesiastica e delle sue relazioni politiche per non sottomettersi a un controllo alcolemico e antidroga su una strada della Provincia di Salta, a seguito di un posto di blocco della Gendarmeria nazionale.
Come abbiamo detto sopra, fece clamore la sua rinuncia come titolare del vescovado di Oràn non solo per la sua età al momento delle dimissioni (52 anni), ma anche per l’inopportunità della procedura: si allontanò dalla sua diocesi con una semplice lettera, abbandonò la diocesi e si rifugiò immediatamente sotto la protezione di monsignor Andrès Stanvnik, OFM, vescovo di Corrientes, a 800 km dalla diocesi di Salta, adducendo “problemi di salute” che lo obbligavano a presentare le sue dimissioni perché quei problemi “non mi permettono di attendere pienamente il ministero pastorale che mi è stato affidato, soprattutto considerando la vasta estensione del nostro territorio diocesano e le enormi sfide che come Chiesa abbiamo nel nord del Paese”, come si legge nella lettera di Zanchetta e protocollata col numero 0597/17.
Però il 25 dicembre, il 28 dicembre 2018 e il 4 gennaio di quest’anno il quotidiano El Tribuno de Salta ha pubblicato alcuni articoli redatti dalla giornalista Silvia Noviasky, che rivelano come il vero motivo dell’autorinuncia di monsignor Zanchetta nel 2017 fosse dovuto fondamentalmente alla denuncia di vari casi (tra i 9 e i 10) di abusi sessuali su seminaristi della diocesi, commessi tra il 2014 e il 2015, denunciati da tre sacerdoti della diocesi.
Il modo in cui reagì e si dimise il prelato ora indagato dalla Santa Sede rivela che “il problema di salute” era in realtà un tentativo di occultare e sviare dagli abusi sessuali ora denunciati.
Anche il neo direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha smentito totalmente le affermazioni ufficiali di Zanchetta affermando il 4 gennaio che il vescovo argentino aveva rinunciato a causa delle “sue difficoltà nella direzione del clero diocesano e le tese relazioni con i sacerdoti”, come a dire che i problemi di cui soffriva l’allora vescovo di Oràn erano a causa del suo “autoritarismo”.
Ciò che colpisce di questa dichiarazione è che fa conoscere i motivi della rinuncia di Zanchetta che non sono mai stati menzionati ufficialmente. Questo significa che il Vaticano e il suo “capo supremo” sapevano dei problemi “sacerdotali” che affliggevano il vescovo ora denunciato, il quale non solo non ha impedito di coprirlo, ma gli ha dato persino responsabilità maggiori e ancor più delicate. E sicuramente in questo caso non si può dire che papa Bergoglio non avesse informazioni di prima mano, né che fosse all’oscuro di questi passaggi.