YouTube, la censura politica su Covid e Trump c'era per davvero
La rivelazione al Congresso Usa: Alphabet, società proprietaria di YouTube (e di Google) censurava contenuti e rimuoveva utenti, su pressione dell'amministrazione Biden. Le cause erano Covid ed elezioni del 2020.

Allora eravamo veramente censurati! Almeno negli Usa, la compagnia Alphabet (quella di Google) proprietaria di YouTube, ha ammesso pubblicamente e ufficialmente di aver censurato i contenuti video dei suoi utenti. E di averlo fatto per motivi squisitamente politici, sotto pressione dall’amministrazione Biden, negli anni successivi al Covid e alle elezioni presidenziali del 2020.
Alphabet, con una lettera firmata dal suo capo consulente legale, Daniel Donovan, dichiara alla Commissione Giustizia della Camera del Congresso Usa, che ha censurato persone e anche intere testate giornalistiche che pure non avevano violato né la legge, né gli standard della comunità digitale. Donovan afferma, comunque, che d’ora in poi, tutto cambia: la compagnia ha già rivisto le proprie politiche “sull'integrità elettorale”, che avevano portato alla rimozione di contenuti da YouTube a seguito delle elezioni del 2020. Al tempo stesso dichiara che sono state rimosse anche le politiche che portavano alla censura di contenuti sul Covid-19, non conformi alle politiche e al consenso scientifico dettati dall’autorità politica di allora. YouTube sta ora accogliendo nuovamente sulla piattaforma tutti i creatori di contenuti che erano stati rimossi in base a tali politiche.
Il cambiamento avviene a seguito di una lunga inchiesta sulla censura dell’amministrazione Biden condotta dalla Commissione Giustizia, presieduta dal deputato repubblicano Jim Jordan. Alphabet, nella sua missiva, ha dichiarato apertamente che: «Alti funzionari dell'amministrazione Biden, compresi funzionari della Casa Bianca, hanno condotto ripetute e continue pressioni su Alphabet e hanno esercitato pressioni sulla società in merito a determinati contenuti generati dagli utenti relativi alla pandemia Covid-19 che non violavano le sue politiche. Mentre la società continuava a sviluppare e applicare le sue politiche in modo indipendente, i funzionari dell'amministrazione Biden hanno continuato a esercitare pressioni sulla società affinché rimuovesse i contenuti generati dagli utenti che non violavano le norme». La scorsa amministrazione democratica, insomma: «ha creato un clima politico che cercava di influenzare le azioni delle piattaforme sulla base delle loro preoccupazioni relative alla misinformazione» (corsivo nostro).
Il consulente legale di Alphabet ha anche affermato nella sua missiva al presidente della Commissione Giustizia Jim Jordan che YouTube “non ha mai” vietato la pubblicazione di contenuti relativi alle origini del COVID e che il sito non ha mai “gestito un programma di fact checking”: «YouTube prende sul serio l'importanza di proteggere la libertà di espressione e l'accesso a una vasta gamma di punti di vista», ha affermato Donovan. Perché; «È inaccettabile e sbagliato che qualsiasi governo, compresa l'amministrazione Biden, tenti di dettare come la società [Alphabet] deve moderare i contenuti». E, così scrive: «la società ha costantemente combattuto contro tali tentativi sulla base del Primo Emendamento».
Potrebbe essere uno sfogo sincero di un’azienda finora repressa. O semplicemente il prodotto di un imprevisto cambiamento al vertice: i censurati di ieri, infatti, sono ora tutti sul ponte di comando. Utenti come l’attuale vicedirettore dell'Fbi Dan Bongino, l'attuale capo dell'antiterrorismo della Casa Bianca Sebastian Gorka e il conduttore del podcast War Room Steve Bannon erano stati tutti rimossi da YouTube ed ora vengono riammessi con mille scuse.
Anche interi giornali come The Hill (un quotidiano generalista, sicuramente non un foglio estremista), avevano subito sospensioni. Scrive Robby Soave, editorialista del quotidiano: «Nel marzo 2022, siamo stati informati di aver violato una politica sull'integrità delle elezioni pubblicando informazioni false sulle elezioni del 2020, perché avevamo trasmesso nel programma un filmato in cui Donald Trump affermava che le elezioni erano state rubate. Noi non abbiamo detto che le elezioni erano state rubate, abbiamo solo riportato il fatto che Trump lo aveva affermato. Pensate a quanto sia assurdo: in base alla precedente politica di YouTube, non era possibile distinguere tra Trump che diceva qualcosa e un canale di notizie che riportava ciò che lui aveva detto».
I procuratori generali repubblicani degli Stati Uniti avevano intentato una serie di cause legali durante l'amministrazione Biden, sostenendo che il governo federale avesse violato la libertà di parola degli americani esercitando pressioni su varie piattaforme tecnologiche. E quella a cui assistiamo in questi giorni è la fine di un lungo processo di liberazione del web. La sinistra non gradisce. Basti leggere il titolo dell’editoriale di Jennifer Elias sul sito della Cnbc: Come Google è passato dall'essere un baluardo di informazioni accurate a un garante della libertà di espressione. Come se "fatti" e "libertà" fossero due concetti necessariamente antitetici.
Ma in Europa la libertà di espressione è limitata, con gran gioia di giornalisti e intellettuali progressisti, ed Alphabet continuerà a censurare, secondo la Digital Services Act, la legge che regolamenta le Big Tech. L’ultima parte della missiva di Donovan infatti, riguarda proprio noi: «Queste leggi (dell’Ue, ndr) impongono un onere normativo sproporzionato alle aziende americane, e l'azienda ha da tempo espresso la sua preoccupazione per il rischio che il Digital Services Act (Dsa) possa rappresentare per la libertà di espressione sia all'interno che all'esterno dell'Unione Europea, a seconda di come alcune disposizioni potrebbero essere applicate». Soprattutto: «Il Dsa potrebbe essere interpretato in modo tale da richiedere ad Alphabet e ad altri fornitori di servizi di intermediazione di rimuovere contenuti legali, compromettendo la capacità delle aziende di sviluppare e applicare politiche globali a sostegno dei diritti alla libertà di espressione e all'accesso alle informazioni».