Yemen, la tragedia che non si vede
La guerra civile yemenita è entrata nel suo settimo mese, ha già provocato 4500 morti, di cui la metà civili. Al Qaeda rialza la testa e a farne le spese è la piccola comunità cristiana. Ma nessuno ne parla. Perché è il "cortile di casa" dell'Arabia Saudita e Riad, nel suo braccio di ferro con l'Iran e le milizie sciite locali, ha l'autorizzazione a fare tutto ciò che vuole.
Venticinquemila raid aerei da marzo a oggi (circa 140 al giorno). In un conflitto che - secondo le stime delle Nazioni Unite - in soli sei mesi ha provocato oltre 4500 morti, di cui la metà civili. Eppure è il più invisibile dei conflitti di oggi: non ne parla proprio nessuno. Anche qui ci sono bambini che muoiono (già oltre 400) come sulla spiaggia di Bodrum, ci sono città ridotte in macerie come Gaza, ci sono tesori archeologici distrutti per sempre come a Palmira. Ci sono pure i profughi e devono essere particolarmente disperati, se come meta arrivano a scegliere una terra già disastrata di suo come il Somaliland. C'è tutto. Ma sulla guerra che da marzo si combatte nello Yemen è silenzio assoluto.
«Abbiamo già troppe crisi da seguire», si dirà. E forse sarà anche vero. Però è un dato di fatto che nella «guerra mondiale a pezzi» - come la chiama papa Francesco - ci sono angoli nei quali è più sconveniente di altri mettere il naso. Perché la guerra nello Yemen è la guerra nel cortile di casa dell'Arabia Saudita. Quella dove - anche in tempi di sorrisi tirati per via dell'accordo sul nucleare iraniano – Riyad sembra aver avuto dalla comunità internazionale (Washington in primis) disco verde a fare tutto ciò che vuole. E con le armi che vuole, tra l'altro lautamente comprate in Occidente (made in Italy compreso).
Ricapitoliamo la situazione: 24 milioni di abitanti, con una maggioranza sunnita ma anche una forte comunità sciita concentrata nel Nord-Ovest del Paese, proprio ai confini con l'Arabia Saudita. E sciita era l'ex presidente-padrone dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, l'uomo che nel 1990 con l'appoggio americano riunificò il Paese, liquidando l'esperienza dello Yemen del Sud, l'unico regime marxista della storia del Medio Oriente. Solo che nel 2011 anche nella poverissima Sana'a arriva «il vento della primavera araba» e anche qui ai sauditi non sfugge l'opportunità di liquidare Saleh (che pure per trent'anni avevano appoggiato). Morale: il nuovo cavallo di Riyad e Washington diventa l'ex vicepresidente, il sunnita Abd Rabbuh Mansur Hadi. E inizia quella che ufficialmente dovrebbe essere una «transizione» alla democrazia e che invece giorno dopo giorno prende la solita via del precipizio verso la «guerra civile» con (guarda caso) Riyadh e Teheran a sostenere le due fazioni. Gli sciiti qui hanno il volto delle milizie houthi, che complice anche il malgoverno di Hadi e con l'appoggio di Saleh, dall'autunno scorso dilagano nel Paese. A gennaio arrivano ad assumere il controllo di Sana'a costringendo alla fuga il presidente. Così - di fronte all'«instabilità» ai confini di casa - i sauditi mettono in piedi la coalizione sunnita (non manca praticamente nessuno) che sotto la loro guida dal mese di marzo martella coi raid aerei le città dello Yemen. Questo ha permesso nello scorso mese di luglio alle milizie lealiste di riprendere il controllo di Aden, il grande porto del Sud del Paese. Solo che il quadro - come sempre - in realtà è più complesso; perché da tempo l'Est dello Yemen era una roccaforte di al Qaeda (tanto per dire: i fratelli Kouachi, quelli del massacro nella redazione di Charlie Hebdo, erano passati di qui...). E il risultato è che adesso le bandiere jihadiste circolano liberamente per le strade di Aden, che in teoria dovrebbe essere tornata sotto il controllo del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale.
Tra i primi a farne le spese - guarda ancora le coincidenze - in questi giorni è stata la minuscola comunità cattolica, poche centinaia di persone, in gran parte lavoratori stranieri indiani e filippini, oltre alle suore di Madre Teresa di Calcutta a cui Saleh aveva aperto le porte del Paese. Piccolissimo gregge anche perché a perseguitarlo ad Aden ci avevano già pensato i comunisti, che ai tempi della Repubblica Popolare avevano espulso i frati cappuccini e le suore comboniane e nazionalizzato le scuole. Ma la chiesa della Sacra Famiglia, costruita a metà dell'Ottocento e prima sede del vicariato cattolico d'Arabia, ad Aden c'è ancora. Così mercoledì un gruppo di miliziani qaedisti ha pensato bene di darla alle fiamme, tanto per far capire quale tipo di Yemen abbiano in mente.
Intanto la guerra prosegue sanguinosa, perché a Sana'a - con l'appoggio di Teheran - gli houthi resistono, infliggendo anche dure perdite alla coalizione sunnita. E dalle zone di confine sparano pure i loro razzi direttamente in territorio saudita: ieri uno si è abbattuto su un cantiere edile provocando - secondo la Protezione civile di Riyad - la morte di tre lavoratori stranieri. Qualche giorno fa, invece, erano stati sette marinai indiani a morire su una nave colpita dall'aviazione saudita mentre cercava di forzare il blocco navale di Aden, probabilmente per rubare del carburante. Pescatori indiani uccisi in mare in un'operazione militare: non vi ricorda qualcosa? Stavolta però New Delhi si è guardata bene dal fare fuoco e fiamme, come nel caso dei due marò italiani. Troppo scomodo anche per loro mettere il naso nella guerra che nessuno vuol vedere.