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L'ALTRA GUERRA

Yemen, la tragedia lontana dai riflettori

Nel Medio Oriente c’è un'altra guerra di cui non si parla praticamente mai. Questa guerra invisibile si combatte nello Yemen e sta compiendo il suo secondo anno. A commettere crimini, in questa fase, sono soprattutto i sauditi che combattono contro gli sciiti locali.

Esteri 10_10_2016
Bombardamento saudita nello Yemen

Nel Medio Oriente c’è una guerra di cui si parla e si vede molto, in Siria. E ce n’è un’altra, non meno sanguinosa, di cui non si parla praticamente mai e della quale non abbondano le immagini. Questa guerra invisibile si combatte nello Yemen e sta compiendo il suo secondo anno. La tragedia umanitaria di questo paese arabo, nell’estremo Sud della penisola araba, affacciato sul Mar Rosso e sul Mare Arabico, sta emergendo pezzo dopo pezzo nei rapporti dell’Onu e di un’associazione indipendente, lo Yemen Data Project. Il quadro è sconfortante, soprattutto considerando che nell’ultimo anno e mezzo, almeno, i principali crimini di guerra sono commessi dall’Arabia Saudita, alleata delle democrazie occidentali.

Recentemente La Nuova Bussola Quotidiana aveva già parlato del caso delle fabbriche italiane bombardate dai sauditi nello Yemen. Quello è solo un tassello di un quadro molto grave. L’indagine indipendente condotta dallo Yemen Data Project rivela che oltre un terzo degli attacchi sferrati dalla coalizione araba a guida saudita in Yemen ha centrato obiettivi civili. Fra queste figurano scuole, ospedali, mercati, moschee ed infrastrutture economiche. Ad oggi sono morte circa 10mila persone, di cui oltre 3700 civili. Gli sfollati sono ormai due milioni e mezzo.

Per capire come si sia arrivati fino a questo punto, occorre fare un salto indietro di due anni, quando, nel settembre del 2014, i miliziani ribelli sciiti Houthi (che prendono il nome dal loro primo comandante, ucciso nel 2004) presero la capitale Sanaa, costringendo il governo di Abdrabbuh Mansour Hadi a fuggire in esilio. La guerra si è poi estesa quando gli Houthi, forti di un appoggio iraniano che Teheran ha sempre ufficialmente negato, hanno consolidato le loro posizioni e hanno iniziato a lanciare razzi anche in territorio saudita. Nel marzo del 2015, su iniziativa di Riad, forte dell’appoggio di Stati Uniti e Gran Bretagna, una coalizione di Stati arabi sunniti ha iniziato una campagna militare contro gli Houthi e in appoggio al governo in esilio.

Le premesse di questa guerra civile sono state gettate dalle primavere arabe del 2011. Lo Yemen ne è stato “contagiato” quasi subito. Il dittatore dello Yemen, Alì Abdallah Saleh, ha resistito per un anno alle pressioni interne e internazionali. Dopo brutali tentativi di schiacciare nel sangue l’insurrezione, nel 2012, grazie alla mediazione degli Stati Uniti, ha ceduto il potere a un uomo a lui vicino, Abdrabbuh Mansour Hadi. La crisi, allora, pareva sventata. Tanto è vero che l’amministrazione Obama vantava la soluzione del caso yemenita come un modello di risoluzione dei nuovi conflitti ed era pronta ad applicare lo stesso schema anche per la Siria, che nel 2012 compiva il primo anno di guerra civile.

Ma nello Yemen la guerra civile era solo congelata ed era pronta a scoppiare di nuovo a causa di due grandi bombe ad orologeria: le milizie di Al Qaeda (lo Yemen è terra di origine della famiglia Bin Laden) e le milizie Houthi, sciite. Da sempre ribelli e desiderose di ottenere l’indipendenza nelle regioni del nord dello Yemen, gli Houthi hanno colto l’occasione della primavera yemenita per consolidare il potere nel proprio territorio. E poi per iniziare a espanderlo nelle regioni circostanti. Dal 2012 al 2014, il presidente Hadi riuscì a tenere a bada entrambe le minacce, concentrandosi soprattutto nella lotta ad Al Qaeda. Anche lasciando che venisse combattuta dagli alleati statunitensi: il maggior numero di raid di droni americani nella guerra al terrorismo si conta proprio nello Yemen, più che in Pakistan e in Somalia. La guerra dei droni, però, ha suscitato un'ulteriore ondata di odio contro gli Stati Uniti. Di conseguenza, l'odio si è volto anche contro il presidente Hadi. Quest’ultimo, dopo la formazione di un nuovo governo di coalizione, nel 2014, ha inaugurato una fase di riconciliazione nazionale. Questa politica, però, ha contribuito a far scoppiare la rabbia degli sciiti. Il movimento Houthi accusa il governo di incoraggiare la diffusione di Al Qaeda nello Yemen. Come si leggeva in un loro proclama alla nazione, nel gennaio del 2015: “Li hanno aiutati a svilupparsi in tutte le province e il presidente si è rifiutato di dare l'ordine all'esercito di sferrare una guerra contro di loro”.

Così si è giunti alla situazione attuale, di cui si stila il tragico bilancio. L’intervento militare saudita in appoggio al presidente Hadi sta portando alla distruzione delle infrastrutture civili, anche quelle essenziali, in tutto lo Yemen settentrionale controllato dagli sciiti. La coalizione araba a guida saudita ha inoltre colpito più obiettivi non militari che siti militari per almeno cinque dei 18 mesi presi in esame dall’inchiesta: ottobre 2015 (291 contro 208); novembre 2015 (126 contro 34); dicembre 2015 (137 contro 62); febbraio 2016 (292 contro 139); marzo 2016 (122 contro 80). Nell'arco del conflitto si sono registrati 942 attacchi contro luoghi residenziali, 114 contro mercati, 34 hanno centrato moschee, in 147 le scuole, in 26 le università e in 378 i mezzi di trasporto. Fra gli esempi vi sono un edificio scolastico a Dhubab, nel governatorato di Taiz, centrato almeno nove volte dagli aerei sauditi. E ancora, un mercato di Sirwah nel governatorato di Marib, colpito ben 24 volte. L’ospedale di Abs, di Medici Senza Frontiere, è stato distrutto in un raid di agosto. Teresa Sancristoval, la coordinatrice di MSF nello Yemen, ha dichiarato che l’organizzazione aveva fornito regolarmente le coordinate degli ospedali al comando saudita, ma i raid sono continuati comunque. 

Le comunità internazionale sta iniziano a reagire contro il modo saudita di condurre la guerra. A giugno, la coalizione araba è stata inserita nella lista nera Onu delle nazioni che violano i diritti dell’infanzia. Leila Zerrougui, rappresentante speciale Onu per l’infanzia e i conflitti armati, in quella occasione aveva sottolineato che “in molti casi di conflitti, gli attacchi aerei hanno contributo a creare un ambiente complesso, in cui molti bambini sono stati uccisi o feriti”. Secondo il rapporto Onu la coalizione a guida saudita impegnata nel conflitto è responsabile per il 60% dei 785 bambini uccisi e dei 1168 minori feriti nel 2015 in Yemen. Dall’altra parte, su 762 casi di bambini soldato reclutati nei combattimenti, il 72% è da attribuire ai ribelli Houthi. Ma è comunque grave che il 15% dei bambini in armi sia stato reclutato dalle forze governative. I bambini sono quelli che stanno soffrendo di più la distruzione delle infrastrutture, oltre che gli effetti di lungo termine del blocco navale imposto dai sauditi ai porti del Nord. L’agenzia Onu per l’infanzia parla di 1,5 milioni di bambini che soffrono di malnutrizione, di cui 370mila in condizioni critiche a causa di un indebolimento generale del sistema immunitario. Circa la metà dei bambini sotto i cinque anni presenta problemi di rachitismo a causa della malnutrizione cronica.

Riad risponde per le rime, contestando sia la metodologia che i risultati degli studi dello Yemen Data Center. Per quanto riguarda la metodologia, il governo saudita ritiene che i rapporti non tengano conto con la dovuta attenzione della storia recente dei bersagli civili colpiti, che diventano basi dei ribelli Houthi, poi tornano civili passando di mano parecchie volte. In secondo luogo, lo stesso Yemen Data Center ammette che i crimini commessi dalle milizie sciite siano meno scrutinabili. E va tenuto conto anche del fattore Al Qaeda, che è ancora attiva. Le quattro suore di Madre Teresa martirizzate lo scorso 4 marzo sono vittime dei miliziani jihadisti di Al Qaeda, così come è tuttora in quelle mani padre Tom, il sacerdote salesiano rapito durante il massacro. 

Da un punto di vista politico, però, questa tragedia umanitaria sta creando non poco imbarazzo negli Stati Uniti, dove è ancora in discussione al Congresso una legge che mira a bloccare gli aiuti militari all’Arabia Saudita finché non finiranno i bombardamenti su obiettivi civili nello Yemen. Il sostegno americano non è solo indiretto (la vendita di armi, concordata ad agosto, è pari a 1,15 miliardi di dollari), ma anche una partecipazione diretta: secondo i dati forniti dal comando americano nel Medio Oriente (Centcom), gli aerei cisterna hanno effettuato 1200 voli per rifornire più di 5600 missioni dei caccia sauditi. Anche la Gran Bretagna ha fornito all’Arabia Saudita armi per 3,3 miliardi di sterline. Contenere l’influenza dell’Iran nella regione, combattendo le milizie Houthi, è certamente nell’interesse delle democrazie occidentali, nonostante l’accordo sul programma nucleare di Teheran. Ma non si può poi pretendere di far da guida morale al Medio Oriente, porsi alla testa della coalizione contro l’Isis, protestare per le vittime civili di Assad, predicare la democrazia e i diritti umani, dopo che gli alleati sauditi hanno violato sistematicamente le leggi di guerra.