RIVOLTE ARABE
Yemen, in piazza le donne che non ti aspetti
Intervista a Nadia Abdulaziz Al-Sakkaf, direttore di Yemen Times: la rivoluzione vincerà e renderà il nostro paese più aperto e liberale.
Attualità
03_06_2011
In Italia, per l’incontro della “Pietra coalition”, l’organizzazione internazionale che intende promuovere l’emancipazione economica delle donne, Nadia Abdulaziz Al-Sakkaf introduce il suo intervento con un video che ha come protagoniste le donne yemenite in protesta per le strade della capitale Sana’a. Nadia Al-Sakkaf è editore e direttore di “Yemen Times”, unico giornale in inglese del suo paese, in edicola due volte alla settimana, ma con un’aggiornata pagina web. Fu fondato nel 1991 dal padre di Nadia, economista e attivista per i diritti umani, e a detta di molti, è un giornale di provata indipendenza.
Ci fa effetto vederle sullo schermo le molte donne che sfilano a Sana’a. Quando, alcuni anni fa, eravamo per lavoro nella capitale yemenita, era capitato raramente di intravedere qualche donna per le sue strade. Le poche incontrate, ricordavano più dei pinguini, tutte vestite di nero dalla testa ai piedi con il solo pertugio per gli occhi sul velo. Le immagini portate da Nadia ci mostrano invece ragazze spavalde, con il solo il nijab in testa, il fazzoletto legato sotto il collo, come Nadia; tante e molto coinvolte nella rivoluzione. Inoltre sono impazienti di dire cosa pensano appena intervistate dall’operatore: “Vogliamo esser parte della liberazione del nostro paese”, dice una di loro alla piccola rete televisiva su internet.
“Il problema del governo yemenita - ci dice Nadia Abdulaziz - è che da un lato ha approvato leggi per modernizzare il paese, come quelle a favore dell’uguaglianza fra donne e uomini, ma d’altro canto non ha mai avuto la forza di opporsi ai gruppi fondamentalisti dello Yemen, che non hanno mai smesso di pretendere che le tradizioni più antiche venissero rispettate, così nulla è mai veramente cambiato”.
Ma tutte queste donne, dove hanno trovato il coraggio per uscire di casa?
Le donne in Yemen esistono, sono anche nel governo e molte hanno sempre partecipato alla vita pubblica tramite organizzazioni femminili, che si trovano ovunque nel paese.
Sarà come dice lei. Ma tanto potere non l’avevano di certo le donne yemenite.
E’ vero, è per questo che vogliono essere protagoniste della protesta oggi, perché alla fine e alla vittoria delle manifestazioni, non vogliono esser dimenticate e pretendono di contare nel loro paese.
Cosa vi aspettate dalla fine di questa rivoluzione? In fondo lei stessa ha ammesso che il governo attuale ha fatto molte concessioni sulla strada della modernizzazione del paese, non ci sarà adesso il rischio che la vostra rivoluzione finisca come quella dell’Iran contro lo Scià?
No. Su questo non ho dubbi. Anche i partiti fondamentalisti, oggi, nello Yemen non hanno interesse a far un tipo di politica che chiuda il paese a scambi con il resto del mondo. Il primo obiettivo di qualsiasi nuovo governo è di combattere la povertà dilagante nel paese e soprattutto fra le donne. Il governo attuale e il suo partito di riferimento, il GPC, non poteva riuscirci: troppo corrotti e non si sono mai occupati dei problemi del paese.
Chi può diventare leader dell’opposizione in Yemen? Insomma ci sono partiti di governo che possono correre per le elezioni, dopo 32 anni di potere dell’attuale presidente, Ali Abdullah Saleh e del suo partito?
Ci sono i socialisti, i nasseriani, il partito della shiad, e la coalizione che è nata dallo smembramento del partito al governo, potrei definirli i “liberali”, il partito si chiama “Justice coalition”.
Alcune statistiche dicono che in Yemen solo il 4% della popolazione ha accesso e sa utilizzare internet. Crede, che la rivoluzione sia iniziata da voi con le stesse modalità che in Tunisia o in Egitto?
Si, la notizia delle rivoluzioni della primavera araba è arrivata tramite internet e le televisioni, i media in genere, poi si è diffusa con il passaparola nelle strade.